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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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mercoledì 24 aprile 2013

SE GRILLO (UNA VOLTA TANTO) L'AVESSE DETTA GIUSTA? di Riccardo Achilli



SE GRILLO (UNA VOLTA TANTO)

L'AVESSE DETTA GIUSTA? 

di Riccardo Achilli

Nella sua lunga intervista odierna alla tedesca Bild, impostata sul suo consueto delirio di stronzate pescate dal fondo del barile della demagogia, Grillo ha detto una cosa che merita invece attenzione: da questo autunno, ci dice, lo Stato potrebbe non avere più i soldi per pagare stipendi pubblici e pensioni, e più in generale andrebbe al default. 
Vediamo. Dai dati del Documento Economico e Finanziario per il 2013, appena presentato, emerge che, per il 2012, le amministrazioni pubbliche hanno pagato 414,8 miliardi di stipendi e pensioni, pari al 26,5% del PIL. Le previsioni per l'anno in corso, formulate su una stima di calo del PIL di 1,3 punti percentuali, sono quelle di una spesa di 418,8 miliardi, ovvero il 26,6% del PIL, in cui peraltro l'aumento è interamente dovuto alla spesa pensionistica, visto che gli oneri per stipendi pubblici continuano a scendere. Ci sono 3,95 miliardi di maggiore spesa da coprire, quindi, fra 2012 e 2013. Tale maggiore esborso è coperto dal miglioramento delle altre voci del bilancio consolidato delle AAPP, che porta ad una riduzione dell'indebitamento netto totale di 2,23 miliardi, sempre fra 2012 e 2013. In pratica, in base alle previsioni del DEF, non c'è problema di copertura delle maggiori spese per pensioni: malgrado l'aumento di tale voce di costo, l'indebitamento netto complessivo si riduce, quindi la pressione sul debito pubblico necessario per finanziarlo diventa meno onerosa. 
Peccato però che le previsioni di riduzione del PIL di 1,3 punti per il 2013 siano eccessivamente ottimistiche. Senza volersi avventurare su previsioni che parlano addirittura di un calo di 1,7 punti, come quelle formulate da Morgan Stanley, possiamo fare riferimento al dato stimato dal FMI (-1,47%). In questo caso, utilizzando lo stesso moltiplicatore fiscale desunto dai dati a consuntivo del DEF per il 2012, l'indebitamento netto passerebbe da un valore negativo di 47,633 miliardi nel 2012 ad uno di 47,774 nel 2013, quindi avremmo un aumento di indebitamento netto per circa 100 Meuro, a fronte della "ottimistica" stima governativa di un fabbisogno in calo fino a 45,408 miliardi. Ciò comporterebbe un rapporto deficit/Pil pari al 3%, a fronte del 2,9% stimato dal Governo.
In pratica, in queste condizioni, verrebbe violato l'impegno a portare il deficit/PIL sotto il 3% del PIL entro il 2013, assunto come base per uscire dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo a nostro carico, e sfumerebbe anche l'obiettivo di pareggio del bilancio in termini strutturali per il 2013. Essendo le maggiori spese previste per il 2013 per pensioni non considerabili come uscite una tantum, e non essendo legate al ciclo economico, l'avanzo strutturale pari allo 0,2% del PIL previsto per il 2013 nel DEF diverrebbe un disavanzo pari allo 0,05%.
Ovviamente, diverrebbe a quel punto molto più difficile anche finanziare il nostro disavanzo di bilancio tramite l'emissione di nuovo debito pubblico, sia perché ciò è proibito dal fiscal compact, sia perché i mercati finanziari diverrebbero pressoché proibitivi, una volta che l'Italia avesse dimostrato di non riuscire a rispettare gli obiettivi di finanza pubblica stabiliti in sede europea. I rendimenti dei titoli del debito pubblico andrebbero alle stelle, rendendone di fatto il rimborso insostenibile. La strada per il default sarebbe segnata. 
Se quindi consideriamo stime sull'andamento del PIL più realistiche di quelle formulate dal governo nel DEF, effettivamente ci troveremmo, non nell'autunno del 2013 come dice il clown di Genova, ma certamente ai primi del 2014, sulla strada verso il default. Le strade sono due. La strada migliore, che ovviamente un Governo di venduti e di pavidi come quello italiano non imboccherà, sarebbe quella di accodarsi a Francia e Spagna, che chiedono un riscadenzamento di un anno della tempistica del percorso di risanamento finanziario concordato con Bruxelles, in modo da evitare di impiccarsi ad un obiettivo irragiungibile nel 2013, subendo poi la sanzione del rating e dei mercati.
La seconda strada, che sicuramente il Governo di pavidi e venduti di cui sopra imboccherà, sarà quella di una manovra finanziaria aggiuntiva varata entro fine primavera-inizio estate, in modo da reperire i fondi per coprire partite emergenziali non coperte (il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, il rinvio della TARES, ed altre partite) ed anche per coprire i maggiori costi per pensioni. L'entità di tale manovra è stimata in circa 8 miliardi, più probabilmente saranno 8,5. Il problema però è che una ulteriore manovra non può che incidere in modo peggiorativo sulla crescita, inducendo quindi un incremento endogeno del deficit. Per limitare i danni, sarà necessario selezionare interventi che abbiano un effetto ritardato sulla crescita, portando quindi il grosso degli effetti recessivi sul 2014, quando è prevista una lieve ripresa che potrebbe compensarli. Occorrerebbe quindi evitare interventi come l'aumento dell'IVA, o il taglio di spese con effetto anticiclico, come le spese sociali. Puntando magari su interventi "neutri" sotto il profilo del ciclo, come ad esempio una accelerazione delle procedure di dismissione di beni immobiliari pubblici, o una riduzione drastica delle spese correnti per stipendi ed indennità di politici e manager pubblici apicali. Oppure imponendo forme di prelievo aggiuntivo su beni patrimoniali considerabili di lusso (auto di grossa cilindrata, barche, aerei privati, seconde o terze case, ecc.). O infine aumentando ulteriormente l'aliquota dell'imposta sui capital gain e le rendite finanziarie (al netto, come sempre, dei titoli del debito pubblico). 


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