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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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giovedì 28 novembre 2013

UN ACCORDO DIGNITOSO di Riccardo Achilli



UN ACCORDO DIGNITOSO
di Riccardo Achilli


Qualsiasi considerazione circa gli esiti dell’accordo di Governo fra la Merkel ed i socialdemocratici, stipulato all’alba di stamattina, deve partire dal presupposto che, ovviamente, le elezioni le ha vinte la prima, e che quindi la lady di ferro tedesca è nella posizione di minacciare di socialdemocratici con opzioni alternative a sua disposizione, da un possibile accordo con i Verdi (il cui contenuto sarebbe molto meno progressista dell’accordo raggiunto stanotte, atteso che i Gruenen non hanno la stessa sensibilità della Spd sui temi economici e sociali) ad un altrettanto possibile governo di minoranza, che la Costituzione tedesca consente, a differenza della nostra, poiché è possibile, per il Presidente federale, nominare un cancelliere che raccolga il maggior numero di voti al Bundestag, qualora quest’ultimo non abbia aggregato una maggioranza parlamentare vera e propria (e c’è da scommettere che, messa alle strette, la destra interna dell’Spd potrebbe decidere di far votare per la Merkel i propri parlamentari, temendo, irrazionalmente, una maggioranza che includa la Linke, oppure temendo di tornare alle urne). 

IN VIAGGIO CON RYSZARD di Norberto Fragiacomo




IN VIAGGIO CON RYSZARD
di
Norberto Fragiacomo


Mi pare che mi trovassi proprio a Varsavia, in quel gelido principio del 2007, mentre in una sala operatoria della capitale il cuore generoso di Ryszard Kapuściński cedeva all’improvviso, sotto i ferri del chirurgo. Grave perdita per l’affezionato lettore, a quattro anni appena da quella altrettanto dolorosa di Tiziano Terzani.

martedì 26 novembre 2013

LE CINQUE GIORNATE DI GENOVA CHIAMANO LA SINISTRA DI CLASSE ... di Giancarlo D'Andrea






LE CINQUE GIORNATE DI GENOVA CHIAMANO LA SINISTRA DI CLASSE ...
di Giancarlo D'Andrea



Genova la rossa, Genova dei camalli e della rivolta contro il Governo Tambroni, ha vissuto cinque giornate significative per la sua importante storia di lotte sindacali e politiche.
Questa volta protagonisti sono stati i lavoratori delle aziende del trasporto pubblico genovesi in rivolta dura e rabbiosa contro la delibera di PRIVATIZZAZIONI  varata dalla  Giunta Doria, sindaco in quota SEL.
Si è trattato infatti di una mobilitazione straordinaria, non priva di  limiti e contraddizioni, ma comunque straordinaria: per ben cinque giorni i lavoratori hanno sfidato la Giunta Comunale, i partiti e i sindacati ufficiali, senza indietreggiare di un millimetro neanche di fronte alla precettazione con annesse salatissime multe per interruzione di pubblico servizio.
A Genova è scoppiata una  rabbia profonda accumulatasi nell’arco degli anni, con istituzioni incapaci di prendere decisioni, partiti imprigionati nelle logiche delle compatibilità impossibilitati  a dare indicazioni a fronte  di un dissesto finanziario delle aziende partecipate del trasporto, dissesto che ormai tutte le più autorevoli fonti inseriscono nel dissesto generale del trasporto pubblico dell’intero Paese, che vede ormai tecnicamente in default il 44% delle aziende di trasporto pubbliche italiane, nel frattempo, mentre si insiste in progetti costosi e fallimentari come la TAV, la soluzione è la privatizzazione a scapito dei livelli occupazionali e salariali dei lavoratori e a costi sociali altissimi .
Le improvvide dichiarazioni del Sindaco Doria, cui si sono aggiunte le posizioni apertamente antipopolari del PD, hanno rischiato di aprire la porta a qualche Masaniello della destra di cavalcare la protesta correndo il rischio di sbocchi pericolosi.
Nonostante i disagi fortissimi per la popolazione costretta a piedi ininterrottamente per ben cinque giorni, si percepiva immediatamente che la simpatia del popolo genovese era tutta per i lavoratori in lotta, studenti, lavoratori, anziani non hanno esitato a sostenere e simpatizzare attivamente con i tranvieri in lotta. Tutta Genova ha espresso una solidarietà forte creando il clima, l’atmosfera favorevole, che ha sostenuto la dura lotta dei tranvieri e spinto lavoratori di altre aziende, e gli studenti medi e universitari a scendere in piazza e nelle strade piene di migliaia lavoratori .

E  il sindacato?

Quelli confederali e gli autonomi, in particolare quelli dei tranvieri,  compreso che senza  l’autorevolezza necessaria ad un’opera di contenimento, una volta scoppiata la protesta e constatato che assumeva radicalità e durezza col passare dei giorni, ha tentato  di cavalcarla: senza indicare obiettivi concreti tali da costituire una vera piattaforma rivendicativa, senza una strategia chiara e condivisa dai lavoratori, dimostrando una grande irresponsabilità.
I lavoratori si sono così  trovati in una strettoia tale per cui o si sarebbero strappati risultati concreti accettabili  oppure si sarebbe stati costretti ad andare avanti a oltranza, con la consapevolezza che in ogni caso si sarebbero fatte avanti  la stanchezza, le sanzioni, la pressione per riprendere il servizio .
La rabbia crescente e la compattezza dei lavoratori ha spinto il sindacato ad avviare una trattativa senza alcun mandato diretto dei lavoratori che si è conclusa con la firma di un accordo che prevede l’ingresso del privato in AMT attraverso l’esternalizzazione delle linee collinari, la  copertura del buco finanziario con risorse in parte improbabili (recupero dell’evasione),  e infine “garanzie” su occupazione e retribuzione per i lavoratori sulla cui  inesigibilità si aprono grandi perplessità.
Emblematica è stata la conclusione nella incredibile assemblea svoltasi sabato 23 , che ha visto una grande esposizione mediatica.
Il pasticcio finale della “votazione o di qua o di là “ in assemblea, come se non fosse bastata la condotta irresponsabile seguita dalle burocrazie sindacali, ha creato le premesse per risentimenti  e ulteriore rabbia che solo in parte si è manifestata con la contestazione ai sindacalisti e il lancio di decine di tessere contro la presidenza segno evidente  che il sindacato, come la Giunta Doria e i Partiti politici,  ne escono con un crollo di credibilità ricco di opportunità per la sinistra di classe ma anche carico di pericoli di derive spurie.

Ormai appare evidente che il peso della crisi economica, il crollo di credibilità della politica e delle istituzioni, stanno comprimendo una rabbia sorda e profonda, che così come è successo a Genova potrebbe esplodere con violente e rabbiose esplosioni di collera, ormai il problema di una strategia per uscire dalla crisi a sinistra è all’ordine del giorno, la sinistra di classe deve farsene carico e farne una ragione decisiva per gettare le basi per una unità programmatica, politica ed organizzativa, altrimenti l’uscita dalla crisi potrebbe avvenire verso altre , tragiche, direzioni.



lunedì 25 novembre 2013

EUROPA ED EURO, LE DESTRE SI PREPARANO ALL’ATTACCO di Anna Lami





EUROPA ED EURO, LE DESTRE SI PREPARANO ALL’ATTACCO
di Anna Lami




Il tema dell’uscita dall’Unione europea e dall’euro è destinato a diventare uno dei più importanti argomenti  del confronto politico dei prossimi mesi, quando partirà la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo.
Cresce nel frattempo, in molteplici frange della società, un sempre più netto sentimento antieuropeista ed antieurista, certificato anche da diversi sondaggi che ricalibrano verso il basso i sentimenti di fiducia nell’Ue di quello, il nostro, che era considerato uno dei popoli più realisti del re.
Nelle scorse settimane la Stampa, con un’eloquente intervista al premier Letta, ha certificato la preoccupazione delle oligarchie che ruotano attorno a Bruxelles per l’inequivocabile ascesa dei movimenti populisti in tutto il continente. Lorsignori battezzano come “populisti” i partiti e movimenti più disparati storicamente ed ideologicamente, che tuttavia individuano nell’Unione europea e nelle sue politiche di austerity la principale responsabile dell’impoverimento repentino di milioni di persone.

domenica 24 novembre 2013

SIGNOR PRESIDENTE ENRICO LETTA di Renato Costanzo Gatti




SIGNOR PRESIDENTE ENRICO LETTA

di Renato Costanzo Gatti


“Presidente Letta tiri una linea, azzeri tutto, prenda atto che la (sua) legge di stabilità non è in grado di cogliere le priorità del Paese e di fornire risposte adeguate. Ha ancora pochissimo tempo a disposizione per porre rimedio, ma può ancora farlo se vuole dare un senso compiuto alla stabilità in linea con il sentimento e le esigenze vitali del Paese. Se non lo farà, il guscio di una governabilità fine a se stessa si rivelerà vuoto, segnerà la chiusura della sua esperienza governativa e, soprattutto, rischierà di aggravare irrimediabilmente il logoramento del tessuto economico e civile di un’Italia stremata e mai (davvero) ripartita. Abbiamo interpellato le forze produttive e sociali di questo Paese e abbiamo chiesto loro che cosa si attendono dalla prossima legge di stabilità. Siamo rimasti colpiti dal tasso comune (pesante) di una insoddisfazione  e dalla (straordinaria) convergenza su un punto strategico disatteso e. cioè, quello di rimettere al centro il lavoro, l’industria, la domanda interna”.

Chi scrive queste parole è il direttore del Sole 24 Ore organo ufficiale della Confindustria. La rimessa al centro del lavoro nelle sue forme variegate è un obiettivo di politica e di filosofia che implica e richiama ragioni costituzionali ed entra nella più perfetta logica della storia dell’analisi economica.
Rimettere al centro il lavoro significa criticare frontalmente la fase attuale del capitalismo: il capitalismo finanziario. Riuscire a entrare in questo concetto significherebbe aver posto le basi per una rivoluzione culturale che affossi gli ultimi trent’anni di storia dell’economia occidentale. Significherebbe inoltre mettere le basi per un nuovo inizio, di una ripresa ben diversa da quella preannunciata e sempre smentita prima da Monti e poi da Saccomanni. Significherebbe dare attuazione all’articolo Uno dell costituzione italiana.
Da quando Quesnay redasse il suo famoso Tableau, si cominciò a ragionare in termini sistematici dell’economia: per Quesnay c’era una classe di proprietari terrieri che tramite la rendita si appropriavano della ricchezza prodotta dall’unica classe produttrice, quella dell’imprenditoria agricola che riceveva uno e rendeva due, e da una classe sterile composta da lavoratori, commercianti, impiegati cui veniva distribuito ciò che ad essi serviva per sopravvivere. Poi Smith e Ricardo sostituirono all’imprenditoria agricola fisiocratica l’impresa ed il lavoro come produttori di ricchezza in permanenza di una classe parassitaria da superare: quella dei rentiers. Marx poi indico nel solo lavoro (inteso nel senso più vasto) la vera fonte della ricchezza che veniva distribuita in modo classista sfruttando, depauperando, alienando alla classe produttiva la ricchezza profonda per ridistribuirla ad un capitale che accresceva così la sua ricchezza e il suo potere.

IL “COSTITUZIONALISMO”, FASE SUPREMA DELL’ ASSOGGETTAMENTO DI CLASSE di Fausto Rinaldi




IL “COSTITUZIONALISMO”, FASE SUPREMA DELL’ ASSOGGETTAMENTO DI CLASSE
di Fausto Rinaldi



Sulla considerazione che i principi declamati nella nostra Costituzione repubblicana altro non siano che un’ipocrita elencazione di buoni intendimenti, validi unicamente per carpire la tradizionale credulità popolare, sarebbe il caso che non si dovesse più intervenire. Caso vuole, purtroppo, che fatti recenti abbiano riportato di attualità il tema di una Carta costituzionale posta come  ultimo, estremo, baluardo a difesa degli interessi della classe lavoratrice.
Indubitabilmente, si tratta di una pratica buona per pifferai magici alle prime armi (Landini) o per vecchi marpioni sul limitare del pensionamento politico (Rodotà); un vessillo da agitare per coprire una rovinosa mancanza di contenuti ideologici, o per sancire una sostanziale adesione alle logiche classiste di un sistema dal quale si traggono, pasciutamente, corpose sostanze.
Laddove i principi, con tanta prosopopea declamati, vengano storicamente disattesi o palesemente contravvenuti, si impone l’ obbligo morale di contestare questa discrasia semantica, disvelando il vero ruolo che ogni Costituzione borghese riveste nel processo storico di assoggettamento delle masse, da parte di élites, di volta in volta, mercantili, industriali, finanziarie, militari, etc...

Gli equilibri che sono stati costruiti sulla base della Costituzione Italiana – ed anche di una certa sua continuità con la legislazione fascista -  sono equilibri di dominio borghese e capitalistico: non credo servano dimostrazioni per suffragare come, quantomeno, questi dettati non siano sufficienti a determinare un minimo di giustizia sociale e di simmetrie dirittuali.
Tra l’altro, l’ Assemblea Costituente si è riunita sotto l’occhiuta sorveglianza del gendarme yankee con, in una mano, una cornucopia colma di dollari e, nell'altra, i simboli del dominio militare - quelli, per intenderci, che avevano vaporizzato un bel numero di giapponesi pochi anni prima - a decretare i sinistri progetti di un capitalismo predatorio impegnatone l’atto di conficcare bandierine a stelle e strisce nell’immenso Risiko del predominio imperiale planetario strappato al Regno Unito, nella conclamazione della seconda grande transizione capitalistica.

Poi, la storia è sempre quella, le sedicenti grandi democrazie costituzionali hanno sempre avuto bisogno di grandi simboli, di grandi modelli identitari per poter costruire e consolidare il proprio sistema di potere eminentemente classista.
Gli insigni giuristi, i costituzionalisti illuminati altro non sono che l’ avanguardia del potere ideologico messo in campo dal sistema borghese.Una società strutturalmente ben organizzata  e votata ad una autopoièsi organica e lineare, non potrà rinunciare alla formazione di una classe di intellettuali (tecnocrati) in grado di consegnare un solido substrato culturale e scientifico ai progetti di consolidamento del potere esercitato dalla società stessa; una categoria di esperti che, ben remunerati, svolgano una mera funzione di conversione del consenso attraverso la persuasione scientifica. Pertanto, questa categoria di ineffabili pensatori si vedrà consegnata la possibilità di diffondere i propri prezzolati dettami attraverso la massiccia partecipazione a programmi televisivi, articoli su giornali a grande tiratura, libri editi da grandi case editrici, partecipazione a premi di autoreferenziali istituzioni magari facenti capo a fondazioni appartenenti a banche o a grandi centri di potere istituzionale: una partita di giro in cui ogni partecipante conclama e certifica il ruolo e la partecipazione di ogni altro.

Se non vorremo condividere i nostri ideali fondanti con “strani compagni di letto” come Scalfari, Napolitano, Ingroia e tutta quella pletora di benpensanti borghesi vessilliferi, e portatori insani, di valori quali lo sfruttamento e l’ impoverimento di masse spossessate, faremo bene a mantenerci ad una salvifica distanza di sicurezza da questa indegna corruzione di quella pura idea di giustizia ed eguaglianza che è patrimonio culturale inviolabile per ogni vero comunista.
In questo tranello non si deve cadere, ancora.




venerdì 22 novembre 2013

SEL NON SOTTOVALUTI GENOVA! di Riccardo Achilli



SEL NON SOTTOVALUTI GENOVA! 
di Riccardo Achilli


Grave, gravissimo errore quello di Doria di scaricare i problemi del trasporto pubblico urbano genovese privatizzando l'azienda.
Denota, intanto, una modestissima capacità di pensare in termini innovativi il servizio di trasporto pubblico urbano. L'innovazione tecnologica che rientra nel concetto di smart city consente enormi risparmi di costo, a parità di efficienza, ad un servizio ripensato (con frequenze di passaggio legate al numero di persone in attesa, la possibilità di prenotare su determinati orari le linee più periferiche, a minor numero di passeggeri/mezzo, quindi più costose, anziché far fare loro passaggi ad intervalli fissi, la possibilità di passare a veicoli elettrici, con minori oneri di gestione rispetto a quelli a carburante tradizionale, ecc.). Già in questo ciclo, Jessica finanzia tali iniziative, così come l'Asse Città del PO FESR 2007-2013. Il ciclo 2014-2020 dei fondi strutturali (in cui il tema delle città è prioritario) ed Horizon 2020 forniscono ulteriori canali di finanziamento peril futuro. Ma Doria, in un anno e più di amministrazione, non ha proposto niente in tal senso, pur essendovi ancora fondi disponibili sull'Asse Città del PO FESR Liguria. 
Denota, poi, il carattere di un sindaco che, alla prima difficoltà sostanziale del suo mandato, cede.

giovedì 21 novembre 2013

COSTRUIAMO, DAVVERO QUI ED ORA, L’AREA DI PROGRESSO E CIVILTA’ di Giandiego Marigo




                                   https://www.facebook.com/events/466583610120960/?fref=ts


COSTRUIAMO, DAVVERO QUI ED ORA, L’AREA DI PROGRESSO E CIVILTA’ 

di Giandiego Marigo



Cosa sta succedendo?
L’ennesimo tentativo di unificare la “sinistra”? Una bella idea nata in un gruppo di intellettuali  e da un paio di sindacalisti “conseguenti”?
Un’altra bandiera sollevata, nuovamente? Un’altra variazione sul tema della nostalgia
Nulla di tutto questo ed anche tutto questo. Innanzi tutto non siamo intellettuali riconosciuti e ben remunerati, siamo un gruppo di persone vere, esistiamo in rete e nel territorio. Persone normali, anche se forse con una lunga storia di partecipazione , certamente, con un grandissimo amore e rispetto per i movimenti. Lontanissime, per molteplici ragioni,  da ogni segreteria e salotto. Non siamo nostalgici e non pratichiamo la Raccolta di bandiere cadute.
Crediamo però che questo paese, in realtà tutta l’Europa, abbia grandissima esigenza di un’AreA Anticapitalista, Alternativa, Social-Liberal-Libertario-Comunista, che sappia elaborare e fare propri i linguaggi e le esigenze del tempo che stiamo attraversando, che abbia una visione, che sappia descrivere e proporre un mondo altro da quello dell’unico Pensiero e dell’assoluto potere della finanza e delle grandi famiglie, che sappia opporsi al medio evo tecnologico prossimo venturo. Che sappia raccogliere e rappresentare le esigenze materiali e spiritualidi un grande, enorme popolo che crede nel progresso ed in uno sviluppo compatibile, in una cultura altra e popolare, le ragioni profonde e sacre della vera pace fra i popoli, del disarmo, dell’abbattimento delle frontiere, che non tenda alla strumentalizzazione ed alla manipolazione, ma liberi le creatività e le energie migliori di questo paese. Che ami Madre Terra e che non abbia l’arroganza d’esser  Razza Padrona , ma che si creda parte. Che usi la scienza, la storia, la politica per l’uomo e non per la conservazione d’un occulto antico potere personale, che preferisca le ragioni  dei molti rispetto ai privilegi dei pochi. Che conosca le proprie potenzialità e si avvicini all’agone sociale consapevole di essere, esistere e contare. che sappia distinguere l’internazionalismo e l’europeismo dal consegnare il proprio popolo al massacro della grande finanza mondiale
Quella che chiamammo Sinistra, forse, in quel che noi credevamo fosse, prima che innominabili interessi di poltrona e/o abitudine al compromesso senza valori, la corrompesse in modo definitivo riducendola a quel che è ora … in’assoluta confusione, un’area inesistente eppure abusata. Un termine vuoto, usato solo in termini di Marketing in occasione delle tornate elettorali. Una giustificazione per attuare progetti che si possono definire “ottimisticamente” neo-democristiani. Costringendo quel che resta di lei in alleanze “suicide, obbligate e demenziali” al cui accesso acquisisce il dubbio diritto solo rinnegando sé stessa e la propria storia.
Prima che la tendenza alla dissociazione e alla coltivazione orticola, unita all’incapacità di costruire ponti e ad un’insanabile propensione alla muratura, nonché ad una forma di semi-cecità ombelicale la frantumasse in mille inutili, inconsistenti, agguerriti del nulla, agglomerati e partitini, così com’è ora.
Quello che noi vogliamo fare non è solo “rilanciare” che sarebbe in fondo solamente un  progetto nostalgico e nemmeno rifondare, vorremmo far nascere dalla necessità, dal basso, dalla partecipazione e dalla circolarità, dall’orizzontalità e dall’ascolto del “femminino”. La Consapevolezza e l’Unità di un’AreA vasta e composita, plurale e multi voce, colorata, allegra e votata al perseguimento della felicità e della compatibilità, sensibile alla voce della propria spiritualità ed allo stesso tempo forte di una consapevolezza pratica che superi il pragmatismo sterile dell’amministrazione del nulla attuando gradualmente e passo dopo passo un reale cambiamento del modo in cui questa nostra società si organizza e si manifesta. Accettando il confronto, costruendo ponti ed abbattendo muri, ma rimanendo sempre “fortemente cosciente” d’essere quello che è, portatrice d’un pensiero e di una spiritualità conseguente, densa di valori e di proposte di percorso. Con una visione chiara di mondo possibile, che non nasca dall’esaltazione a teoria del meno peggio, ma che conosca il meglio per l’intera umantà.
Questo stiamo facendo … ed un poco ci tremano le vene ai polsi nel solo pensarlo, ma lo riteniamo necessario.
Certamente non sarà facile, ovviamente “attraverseremo il deserto”, ma lo riteniamo necessario e pensiamo che siano moltissimi coloro che sono disposti a condividere con  noi Pane Sale e Percorso. Abbiamo intenzione di usare la rete, ma anche di espanderci e radicarsi nei territori con un movimento d’opinione che spinga quella che chiammammo sinistra alla consapevolezza ed alla coscienza di questa necessità e dell’importanza i questo cammino. Le metodologie verranno scelte cammin facendo, per ora abbiamo avviato un evento su facebook https://www.facebook.com/events/466583610120960/?fref=ts, ma sentirete parlare di noi, in rete, per cominciare … sarebbe un onore ed un immenso piacere avervi con noi in questo viaggio.






martedì 19 novembre 2013

LA CONCLUSIONE DI UN CICLO. UN CONTRIBUTO DI ANALISI STORICO – POLITICA PER IL CONGRESSO DI RIFONDAZIONE COMUNISTA di Franco Astengo




LA CONCLUSIONE DI UN CICLO. UN CONTRIBUTO DI ANALISI STORICO – POLITICA PER IL CONGRESSO DI RIFONDAZIONE COMUNISTA
di Franco Astengo



Un punto di premessa
La scelta che traspare dalla lettura dei documenti preparatori al congresso di Rifondazione Comunista appare quella di una sostanziale conservazione di equilibri che ormai non corrispondono, definitivamente più alla realtà della situazione politica e sociale europea e italiana. Un partito stretto tra alcuni “ismi” del tutto negativi: elettoralismo, governativismo (in ispecie ormai ridotto a livello locale e per questo particolarmente deleterio), movimentismo. Un partito che esaurisce in questo modo il proprio ciclo, senza porsi il tema di fondo della soggettività che davvero servirebbe alla sinistra italiana.
Il dato fondamentale che, a mio giudizio, è ancora necessario portare avanti rimane quello della autonomia ideologica, culturale, politica, di una sinistra chiaramente determinata sui terreni dell’alternativa e dell’opposizione.

lunedì 18 novembre 2013

TRAGEDIA SIRIANA: LA PAROLA A ROBERTO SARTI (FalceMartello)





TRAGEDIA SIRIANA: LA PAROLA A ROBERTO SARTI (FalceMartello)



Dopo l'intervista ad  Antonello Badessi, esponente di SEL, riprendiamo l'approfondimento sulla drammatica situazione siriana ascoltando la voce di Roberto Sarti dirigente di FalceMartello, la storica tendenza marxista presente all'interno del Partito di Rifondazione Comunista
La sua chiave di lettura risulta interessante perché legata al recupero dell'internazionalismo classico, laddove nel dibattito a sinistra sulle "primavere arabe" e sul Medio oriente non è mancata sin qui una certa dose di improvvisazione.


1) FalceMartello, rispetto alla Siria, ha parlato d'una rivoluzione la cui direzione è col tempo passata a forze reazionarie. Quali ne sono state secondo te, però, le iniziali origini sociali?

 La descrizione è quella corretta. L'inizio della rivoluzione in Siria ha avuto dinamiche simili a quelle in Egitto e in Tunisia. Anche le cause scatenanti non sono affatto differenti. In Siria negli ultimi dieci-quindici anni vi è stato un aumento delle differenziazioni sociali, dovute a una serie di privatizzazioni e di tagli ai servizi sociali portate avanti dal governo di Assad. Dopo il crollo dello stalinismo, quest'ultimo ha progressivamente adottato una linea di transizione al capitalismo dal punto di vista economico. Alcuni esempi: nel 2007 il 70% dell'economia siriana era in mano a privati. La povertà è aumentata: nel 2005 5,3 milioni di persone (il 30% della popolazione) vivevano al di sotto della soglia di povertà.
Una pentola a pressione pronta ad esplodere, come è avvenuto nel marzo del 2011 sull'esempio delle rivoluzioni tunisina ed egiziana.

sabato 16 novembre 2013

NICHI VENDOLA E LE COLONNE D'ERCOLE di Maurizio Zaffarano




NICHI VENDOLA E LE COLONNE D'ERCOLE
di Maurizio Zaffarano




Non è francamente l'aspetto penale (il Presidente della Regione Puglia è indagato per concussione in concorso con alcuni dirigenti dell'ILVA con l'accusa di aver fatto pressioni sui vertici dell'Arpa, l'agenzia regionale per l'Ambiente, al fine di «ammorbidire» la posizione dell'agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall'impianto siderurgico) quello più interessante della vicenda Vendola – ILVA. Anche se poi, lette a posteriori, certe scelte riformiste, governative, pragmatiche, tanto più quando appaiono irrazionali e fatalmente destinate al fallimento sul piano elettorale spesso rivelano cattive coscienze, scheletri da continuare a nascondere nell'armadio, interessi inconfessabili o comunque la volontà di portare subito all'incasso – in termini di posti di potere, di poltrone parlamentari, di visibilità mediatica, di tranches di finanziamento pubblico –  la popolarità e il gradimento provvisoriamente raggiunti.
L'aspetto fondamentale è invece politico. L'idea di una politica cioè che accetta di restare prigioniera nel recinto costruito dalle compatibilità europee, dai dogmi del mercato, dalle riverenze verso Istituzioni (a partire da Napolitano) che palesemente si pongono in contrasto con i dettami costituzionali, dal fatto che con certi poteri forti – di volta in volta le mafie, gli speculatori, il grande capitale, le imprese criminali e inquinanti, il Vaticano, i partiti pro-tempore più premiati dal consenso elettorale – bisogna pur convivere.
Ciò che si rimprovera politicamente a Vendola non è di non aver risolto il caso ILVA e il suo tragico e forse inestricabile intreccio che si trascina da decenni tra la salute delle persone, le esigenze strategiche dell'industria nazionale, il diritto al lavoro, la non economicità (che richiederebbe comunque investimenti talmenti elevati da costituire oggi solo un miraggio) della messa a norma della produzione ma di aver scelto di navigare a vista, spacciando per risolutivi interventi ambientali solo di facciata e perseverando in un complice servilismo nei confronti dei Riva, cedendo al loro ricatto così come aveva ceduto al ricatto del PD imbarcando nella propria giunta i ras locali Tedesco e Frisullo.
Invece di tentare di dare un'immagine decente alla casa nascondendo la polvere (cancerogena) sotto il tappeto, Vendola (Presidente della Regione Puglia dal 2005) avrebbe dovuto far esplodere il bubbone ben prima della magistratura, denunciando con trasparenza e onestà la propria impotenza, facendone una questione nazionale e costringendo il Governo a farsi carico della questione. E mettendo comunque al primo posto la salute dei cittadini come bene irrinunciabile.
La sinistra che ha perso il coraggio di violare le colonne d'Ercole erette dal capitalismo come limite invalicabile dell'azione politica, che accetta la subalternità al potere economico e finanziario, che non è più capace di essere radicale e rivoluzionaria nemmeno nel linguaggio è la sinistra che si è condannata alla marginalità e al fallimento.




martedì 12 novembre 2013

SOCIALISMO E FELICITA' di Maurizio Zaffarano





SOCIALISMO E FELICITA'
di Maurizio Zaffarano



La crisi della sinistra è anzitutto una crisi culturale, è il suo essere spiazzata e resa inattuale dai sentimenti e dai valori oggi dominanti, è il suo non saper offrire una prospettiva condivisa e accettata di cambiamento e di governo. I sentimenti e i valori dominanti sono oggi quelli dell'individualismo e dell'affermazione personale che si realizzano nel desiderio di potere e di possesso di beni materiali. Il contesto culturale dominante è quello che forgia e rafforza questi sentimenti: sta nella realtà travisata e manipolata dalla narrazione dei principali media, nell'esistenza ridotta a competizione per la vittoria e il primato, nei divi miliardari dello sport e dello spettacolo assunti a miti e modelli da adorare e da imitare, in alcune merci - l'ultimo gadget elettronico, l'automobile di lusso, il capo firmato, il viaggio nei luoghi esotici – insieme alle conquiste sessuali da esibire quali prede e trofei identificate come le uniche cose per cui vale la pena di vivere. Di fronte a questo quadro di valori il degrado morale ne è diretta conseguenza: tutto è lecito per raggiungere il successo e la ricchezza, qualunque persona si può vendere o comprare. Grillo, Renzi e Berlusconi sono tre varianti tutte interne a questa cultura e a questo sistema: il loro messaggio politico comune è che bisogna consentire e facilitare l'affermazione e il successo individuale e non cambiare il sistema e i rapporti di forza economici e sociali che lo caratterizzano. Combattendo le caste e i privilegi che impediscono la mobilità sociale o eliminando i lacci e lacciuoli o le tasse e le regole che si mettono di traverso al pieno dispiegarsi del "mercato", della libera impresa, di un preteso 'merito' assunto a dogma ignorando la realtà delle disuguaglianze.

Di fronte a questa egemonia culturale dell'individualismo, dell'egoismo personale e di gruppo, al venir meno del sentirsi parte, con tutti i vincoli e i doveri che ne conseguono, di comunità più ampie, termini come lotta di classe, solidarietà, giustizia sociale diventano per la maggioranza, anche e soprattutto dei giovani, parole vuote o incomprensibili o comunque prive di una reale forza di seduzione.

La Sinistra dovrebbe allora ripartire ponendo come propria premessa la felicità ed il diritto alla felicità perché ciò consente di incunearsi in questo contesto culturale ed evidenziarne le contraddizioni. Consente cioè di lavorare su due piani contemporaneamente: quello del concetto di felicità come "essere", come ricchezza e completezza delle relazioni sociali e umane e come possibilità di liberare la propria essenza interiore, anziché come "avere" e quello del "bagaglio" minimo (lavoro, casa, ambiente, servizi sociali, istruzione e cultura) che deve essere garantito ad ogni essere umano perché possa realizzare pienamente sé stesso. Felicità dunque che disvela e si riconnette alla necessità del controllo collettivo sulla produzione e sulla distribuzione della ricchezza, sulla convenienza a far prevalere il bene di tutti sul profitto e sull'interesse individuale.


domenica 10 novembre 2013

UN POST AL VETRIOLO di Lucio Garofalo





UN POST AL VETRIOLO 
di Lucio Garofalo

Ho scritto un post al vetriolo sulle modalità con cui vengono formate (o deformate) le classi nella scuola in cui (ahimè) insegno. 
Brevemente, visto che l'argomento si potrebbe trattare per ore, l'unico criterio ad essere sistematicamente applicato in queste cruciali e delicate funzioni, vale a dire la composizione delle classi/sezioni, è senza ombra di dubbio la malafede, ossia la disonestà intellettuale da parte di chi è chiamato ad assolvere a simili adempimenti. Che non sono affatto burocratici o formali, bensì trattasi di questioni sostanziali estremamente importanti, nella misura in cui rischiano di condizionare e di compromettere il prosieguo negli studi e, quindi, determinare il "destino", e cioè il percorso psicologico, mentale, morale, culturale ed esistenziale di un'intera generazione di studenti e, di conseguenza, della comunità a cui essi appartengono. 
Dall'alto asseriscono di risolvere le questioni in maniera molto corretta, ma mentono spudoratamente sapendo di mentire. Affermano di adottare una serie di criteri all'insegna del "buon senso" e della "trasparenza", ma in realtà agiscono senza alcun criterio, giusto, logico o razionale che sia, né tanto meno di buon senso; inoltre, la trasparenza non sanno nemmeno dove stia di casa. Per ciò che concerne il sistema dei sorteggi, non ho mai avuto il "piacere" di assistire personalmente ad una operazione di sorteggio aperta al pubblico, dunque trasparente, sia in qualità di insegnante della scuola, sia nell'altra mia veste, ossia di genitore. 

È chiaro che sono solo capaci di mentire ed offendere l'intelligenza altrui, calpestando la dignità delle persone, a cominciare da quella dei bambini. I sorteggi, oltretutto, non si dovrebbero adottare in tutte le circostanze. Ad esempio, in casi particolari conviene evitare nel modo più assoluto di far ricorso alla sorte. Come quando si configurano due o più elementi difficili e problematici, o per motivi caratteriali e relativi al comportamento, o per ragioni riconducibili all'apprendimento, non si dovrebbe mai effettuare un sorteggio, proprio per evitare che essi possano capitare nello stesso gruppo-classe. Come accade puntualmente nella scuola in cui ho la sventura di insegnare. 

I numerosi riscontri empirici e le verifiche concrete che ho avuto modo di raccogliere e di registrare mi hanno convinto a denunciare un simile malcostume che porta a discriminare, in malafede, gli alunni e gli insegnanti, per cui si costituiscono classi di "serie A" che comprendono tutti quegli alunni opportunamente raccomandati, ovvero segnalati, e classi di "serie B", ossia "differenziate", in quanto riuniscono e ricevono gli elementi peggiori, trattati come "scarti". 
Le prime sono affidate (senza alcun sorteggio, bensì in modo arbitrario e discrezionale, in evidente malafede) ad insegnanti di "serie A", che in genere sono coloro che fanno parte della cricca che annovera i soggetti più privilegiati, ovverosia la cerchia delle cortigiane e delle favorite che gravitano nell'orbita del dirigente e di chi ne fa le veci. Le seconde, le "classi-scarto", sono assegnate a quei colleghi poco apprezzati e mal considerati, se non addirittura penalizzati, nella misura in cui non godono dei favori elargiti dalla cosiddetta "autorità scolastica" e, quindi, non appartengono al clan che ruota attorno alla figura centrale del preside. 
Altro che "meritocrazia"! I soliti tipi raccomandati, arrivisti, venali, cinici e mediocri, servi e leccapiedi sono quelli che riescono ad emergere e a "farsi strada" nel mondo della scuola. 

Mi fermo qua, per il momento. Il seguito, se ci sarà, lo rimando al prossimo post...


venerdì 8 novembre 2013

SUL MOVIMENTO DI LOTTA PER LA CASA DI ROMA di Federico Drigo




SUL MOVIMENTO DI LOTTA PER LA CASA DI ROMA
di Federico Drigo

Le occupazioni di case nella capitale si sono sviluppate a partire dagli anni 70 e 80 una pratica ed una forma di lotta che si generalizzò, ma i movimenti di lotta per la casa come li conosciamo oggi iniziano a occupare immobili abbandonati all inizio degli anni 90. In principio erano l'ASIA, associazione inquilini e assegnatari, e il coordinamento cittadino di lotta per la casa. La prima collegata all' area Radio Città Aperta - RdB, oggi USB, la seconda legata a quella Radio Onda Rossa-COBAS e centri sociali derivati dall' Autonomia Operaia come Sisto Quinto e Break out. Erano organizzazioni rivali che ogni tanto si accordavano per sporadiche manifestazioni in comune. Leader carismatico dell'ASIA era, ed e tuttora, Angelino Fascetti, del coordinamento bruno papale, colonnello dell autonomia di Valmelaina, poi occupante a San Basilio.
Poi venne ACTION, espressione del Centro sociale Corto Circuito, capofila della battaglia per l assegnazione dei centri sociali, non condivisa da tutti gli spazi occupati. Il leader di ACTION e ancora Andrea Alzetta, più noto con lo pseudonimo di Tarzan, che venne eletto nel 2009 come consigliere comunale di Roma per Rifondazione Comunista, si è poi candidato alle ultime amministrative con SEL dove venne rieletto con ben 1700 preferenze per essere poi dichiarato "incandidabile" per una vecchia condanna risalente al 1996. Un provvedimento che definire ingiusto e vergognoso è dire poco e che costituisce in realtà un vero atto di ritorsione politica.
Il coordinamento a fine anni '90 subisce la scissione del Comitato Popolare di lotta per la casa ancora attivo. Le occupazioni in quegli anni si diffondono in tutta Roma, e molti occupanti, salendo nelle graduatorie dei bandi in quanto emergenza abitativa, diventano assegnatari di casa popolare, quasi sempre fuori dal Raccordo Anulare. L' ASIA smette di occupare e aderisce all'USBLA sostituendo i blocchi precari metropolitani . Finalmente si costruisce l unita' tra le varie organizzazioni, nel movimento per il diritto all'abitare. Vi sono nuove ondate di occupazioni, fino ad arrivare alla riuscitissima manifestazione nazionale del 19 ottobre, convocata con un manifesto che giustamente strizzava l'occhio al ribellismo giovanile. Quindi la campada a Porta Pia e l incontro con il ministro Lupi, giudicato non soddisfacente. Nasce una nuova organizzazione, la r@p, l'autorganizzazione popolare -vicina a Rifondazione Comunista e all'Unione Inquilini- che dirige le occupazioni a Tor de' Schiavi. Prossimo appuntamento l assemblea nazionale del 9 novembre a Roma, dove le organizzazioni di lotta per la casa proveranno a lanciare il "movimento dei movimenti".


mercoledì 6 novembre 2013

MONEY SUPREMACY di Fausto Rinaldi





MONEY SUPREMACY 
di Fausto Rinaldi



Non c’ è posto per tutti sulla Terra: il capitalismo, affermatosi a livello planetario, decide, in funzione dei meccanismi propri del mercato iper-liberalizzato ed autoregolante, chi viva e chi muoia; chi abbia diritto ad una casa calda e confortevole e chi, invece, sia costretto ad vivere in una baracca; chi possa accompagnare verso un futuro promettente la propria progenie e chi la debba abbandonare ai perigli del mondo.
Queste le logiche appartengono ad uno spietato conflitto distributivo, che sancisce inesorabilmente il confine tra “sommersi” e “salvati”.
Le regole a fondamento della società sono chiare: il valore delle persone viene misurato sulla base della loro capacità di produrre un “profitto”, alla predisposizione del soggetto di farsi strumento di interessi estranei; siamo evidentemente di fronte ad uno scadimento di quei rapporti relazionali che dovrebbero essere posti a fondamento della società stessa.
Bisogna chiedersi se questo sistema produttivistico-consumistico, che si origina su basi economiche e finisce per colonizzare culturalmente gli assetti sociali, sia, in qualche modo, accettabile. Quale forma di legittimazione è possibile, di fronte alle clamorose distorsioni e asimmetrie alle quali, quotidianamente, siamo chiamati ad assistere? E quali forme possibili di rifiuto e di protesta abbiamo a disposizione?

martedì 5 novembre 2013

LA GERMANIA: UNA LOCOMOTIVA CHE NON TIRA PIU' di Riccardo Achilli





LA GERMANIA: UNA LOCOMOTIVA CHE NON TIRA PIU'
di Riccardo Achilli



Sono in pieno svolgimento le trattative per la formazione del Governo di coalizione Cdu/Csu/Spd in Germania. Il nucleo della trattativa è incentrato su questioni programmatiche interne, che la Spd ritiene fondamentali per convincere i propri militanti, che saranno consultati sul tema della partecipazione al governo del Paese.
Nel do ut des che si sta profilando, la Spd sembra propensa a lasciare i temi della politica europea all’esclusivo controllo della Merkel, e quindi di fatto ad una perfetta continuità con l’austerità in atto dal 2010 ad oggi, che nella visione tedesca corrisponde ad un interesse nazionale proprio.

I tre punti economici della trattativa considerati imprescindibili dai socialdemocratici tedeschi riguardano:
a) L’introduzione di un salario minimo legale pari a 8,5 euro all’ora. Oggi non esiste uno “SMIC” legalizzato i    in Germania, ma di fatto la paga oraria di un mini-job al minimo è di circa 4,8 euro all’ora, che rappresenta    il salario minimo “implicito”; 
b) l'aumento delle pensioni minime e la loro parificazione fra Est e Ovest
c) più fondi per l'assistenza di anziani e malati

lunedì 4 novembre 2013

MA DOVE VA A FINIRE IL CETRIOLO? di Renato Costanzo Gatti





 MA DOVE VA A FINIRE IL CETRIOLO?
di Renato Costanzo Gatti



Air France chiede una ristrutturazione dei debiti di Alitalia abbattendoli del 70-80% del loro valore. Naturalmente è difficile pensare che questo onere possa ricadere sui maggiori creditori AdR e Eni. Uno strumento possibile sarebbe la creazione di una bad company così come fu qualche anno fa con il fallimento Alitalia (la bad company) e CAI (la good company). Come sia finita è sotto gli occhi di tutti. Risiamo all’eterno ritorno della storia di Alitalia, una avventura che più che impossibile sembra essere diventata disperata.
Non è che non ci si renda conto delle conseguenze occupazionali e di sistema di un fallimento di Alitalia-CAI, ma occorre anche pragmaticamente lucidi nel chiedersi se il nostro governo, in questo momento di estrema difficoltà nei conti pubblici, possa o debba usare 75 milioni per un’operazione disperata ovvero per investirli in un investimento produttivo e/o infrastrutturale con una ricaduta certa e permanente anche a livello occupazionale. Purtroppo il governo ha ignorato un problema noto da anni, per affrontarlo solo quando esso è diventato un’emergenza, un aut aut, una corsa dell’ultimo minuto, con un ricatto morale che non permette di ragionare con un progetto chiaro a lungo termine, credibile. Ma abbiamo parlato di eterno ritorno, ma potremmo parlare di moral hasard ; cosa è stato fatto per controllare che la nuova Alitalia rispettasse i suoi piani iniziali? E perché non si è intervenuti quando gli scostamenti tra budget e dati effettivi denunciavano l’irrealizzabilità del progetto? Ma ci siamo dimenticati che i contribuenti si sono fatti carico di 5 miliardi per finanziare il progetto di salvataggio di Berlusconi e che quell’investimento si è dimostrato un disastro? Ma come fa Poste italiane ad investire 75 milioni in una azienda che perde un milione al giorno? Per dargli ossigeno per 75 giorni? E poi l’eterno ritorno, o meglio il moral hasard. Ma può il governo costringerci ad investire per via fiscale i nostri soldi in avventure impossibili o disperate?

Cambiamo fronte. I disastri causati dalla crisi che stiamo attraversando è costato all’Europa circa 4.000 miliardi per salvare le banche, colpite o complici, delle perversioni del capitalismo finanziario. Banche nazionalizzate, banche sovvenzionate, debiti ristrutturati e altri operazioni similari. Ora Romano Prodi dopo aver proposto di sgravare le nostre banche da crediti inesigibili in un suo articolo sul Messaggero del 6 ottobre, ritorna sull’argomento, sempre sul Messaggero del 2 novembre. Cosa è una bad bank. E’ un veicolo per cui una banca con molti crediti inesigibili crea una bad bank cui conferisce tutti i crediti spazzatura, sgravando la good bank da quel peso ingombrante, e tornando a operare sul mercato erogando crediti e aiutando le imprese a ripartire. L’obiettivo è nobile, è corretto, è sperimentato. Il nostro paese ne ha bisogno, e sarebbe colpevole rimandare questa operazione. 
Rimane tuttavia il punto che la bad bank deve avere un capitale per comperare a valore facciale crediti che in effetti valgono zero o giù di lì. E’ pacifico che nessuna persona sensata sottoscriverebbe azioni destinate a perdere tutto il loro valore. Ovviamente ci deve pensare lo stato, e quel pozzo di San Patrizio che sembra essere diventata la Cassa Depositi e prestiti. In sintesi lo Stato si fa carico dei disastri bancari, e scarica sui contribuenti l’onere delle colpe altrui. I peccati dei capitalisti finanziari ricadono sui lavoratori produttivi. Un eterno ritorno allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
La Spagna per gli stessi motivi è ricorsa all’Europa. L’Italia ha pagato alla comunità europea 51 miliardi per salvare i guasti causati dalla crisi finanziaria alle banche inglesi e tedesche, non potrebbe ora, come suggerisce Alberto Quadrio Curzio, chiedere che l’Europa facesse ora la sua parte nei nostri confronti? M tralasciando questa possibilità, la proposta Prodi sarebbe più attrattiva se disegnasse un’uscita dalla logica “paga Pantalone”. Ragioniamo. Questo sistema da una parte ha generato il disastro cui stiamo assistendo; dall’altra ha generato un accelerazione nel trend dell’indice Gini, in altre parole questo sistema ha arricchito i ricchi e ha impoverito i poveri. Ed allora invece di scaricare sui contribuenti produttivi i costi del dissesto del capitalismo finanziario, non si potrebbe pensare di scaricare quell’onere su chi ha beneficiato dello stesso? In sintesi, perché Prodi non ci parla di una patrimoniale?




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