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mercoledì 5 dicembre 2012

Rovesciamento delle alleanze in Nord Africa? di Riccardo Achilli



Riccardo Achilli


Dietro ciò che sta succedendo in Egitto, con un presidente della Repubblica, eletto trionfalmente pochi mesi fa, costretto a fuggire dal palazzo presidenziale dalla folla inferocita, e dietro ciò che succede negli stessi giorni in Tunisia, in cui il governo islamico moderato di Ennahda sembra arrivato al capolinea, dopo un tentativo di repressione feroce delle proteste a Siliana (cittadina dell'interno del Paese di appena 25.000 abitanti, normalmente molto tranquilla ed addormentata, ci sono anche stato diverso tempo per lavoro, nel 2008, per cui mi riesce difficile capire come, "spontaneamente", la rivolta sia nata in un centro così piccolo, sonnecchiante e periferico) naturalmente c'è una nuova fase della Primavera araba, c'è un incontestabile movimento delle masse insoddisfatte dagli esiti assolutamente insoddisfacenti, in termini di redistribuzione della ricchezza e delle opportunità lavorative, ottenuti dai partiti islamici moderati, legati al network della Fratellanza Musulmana, che hanno preso il potere nel 2010/2011, inseguendo il modello islamico/liberista e filo occidentale della Turchia di Erdogan. In particolare, in Egitto, sembra che al cuore della rivolta vi sia una presenza massiccia della piccola borghesia urbana, ovvero giornalisti, liberi professionisti e lavoratori indipendenti, magistrati e più in generale dirigenti pubblici, ma anche privati, studenti e intellettuali ma anche, trasversalmente alle classi, dalla minoranza copta, che rappresenta il 10% della popolazione. Tali gruppi sono infatti quelli maggiormente danneggiati da una islamizzazione del Paese, prevista dalla contestata nuova Costituzione, che prevede l'introduzione della sharia. Sembra tuttavia che le opposizioni più di sinistra stiano trovando le stesse difficoltà riscontrate nella prima fase della primavera araba a prendere la testa di tali rivolte, che appaiono, come in passato, caratterizzate da una notevole dose di spontaneismo. Spontaneismo che in generale è la strada maestra affinché le rivolte popolari finiscano per essere strumentalizzate da poteri imperialistici esterni. 

C'è la sensazione che l'Occidente, e gli USA, stiano approfittando della crisi egiziana e tunisina per abbandonare l'alleanza tattica con la Fratellanza Musulmana, che contraddistinse la prima fase di uscita dalla primavera araba. Il Dipartimento di Stato sembra prendere le distanze da Mursi, condizionando i prestiti al governo egiziano ad una maggiore apertura democratica ed all'economia di mercato, ad iniziare dal recente prestito di 4,7 miliardi del FMI. Da parte sua, la Francia, potenza neoimperialista di riferimento della Tunisia, ha duramente criticato la repressione poliziesca attuata contro i manifestanti, invitando al rispetto dei diritti umani dei manifestanti ed a una maggiore apertura democratica, persino per bocca del sindaco di Parigi, Delanoe.

L'abbandono repentino dell'alleanza con il network della Fratellanza Musulmana da parte dell'imperialismo occidentale è rapidissimo: basti pensare che proprio ieri il poco reattivo Governo italiano stava completando la consegna gratuita di due motovedette alla Marina tunisina, e che le munizioni con cui la polizia tunisina ha sparato ai manifestanti di Siliana sono di fabbricazione italiana. La prima fase fu contraddistinta da un endorsement ufficioso degli USA a Morsi, in cambio di un accordo fatto di allontanamento dei militari dalla gestione politica del Paese, senza però aprire processi, che avrebbero esposto gli USA ad imbarazzanti rivelazioni circa i rapporti più che amichevoli intercorsi con Mubarak negli anni, ma anche di sostegno ad una svolta moderata di Hamas. In nome di ciò, gli USA accettarono di vedere perdere i campioni nell'opposizione laica, teoricamente più amichevoli rispetto agli interessi occidentali, ovvero Elbaradei e Moussa (Elbaradei, con le sue critiche all'amministrazione Bush per i suoi progetti di invasione dell'Iran, e con le sue amicizie in ambienti universitari progressisti statunitensi, è particolarmente vicino ad Obama). Una cosa simile avvenne in Tunisia con Ennahda, braccio locale della Fratellanza.

Adesso si apre uno scenario diverso, proprio nel momento in cui la Fratellanza Musulmana ha giocato un ruolo fondamentale nella recente tregua in Palestina. Molte sono le spiegazioni possibili, e non ci sono gli elementi, ad oggi, per farne di ragionevolmente fondate: il sostegno occidentale ai rivoltosi in Tunisia ed in Egitto potrebbe essere un tentativo di isolare Hamas, dopo che il suo avversario Al Fatah ha ottenuto il riconoscimento ONU della Palestina come Stato osservatore, uscendo, grazie al voto favorevole di tutto il blocco occidentale, Italia compresa, da un lungo periodo di indebolimento politico che aveva favorito la crescita strepitosa di Hamas. In questo caso, quindi, la volontà di tagliare ad Hamas la sua retrovia politica ed economica in Egitto e Tunisia potrebbe essere un modo per compensare Israele della doppia sconfitta politica patita sia con il riconoscimento parziale della Palestina da parte dell'ONU, sia con il blocco ad una più che probabile offensiva terrestre nella striscia di Gaza, che Tsahal stava preparando. Al contempo, l'abbandono dell'alleanza con l'islamismo moderato potrebbe favorire il ritorno al potere di una opposizione laica considerata più friendly, ed economicamente più liberista ed aprta agli investimenti diretti esteri, di un movimento islamico, sia pur moderato e pragmatico, come la Fratellanza Musulmana (non a caso il portavoce del Dipartimento di Stato parla di "necessità di maggiore apertura al mercato", come condizione dello sblocco dei prestiti all'Egitto). Vi potrebbe poi essere, come ipotizza Valeria Talbot, la volontà di Israele di evitare lo sdoganamento politico di Hamas, sostenuto dal presidente egiziano Mursi, e di bloccare ogni possibile collateralismo nascente fra Hamas e la Fratellanza Musulmana egiziana: non è infatti sfuggito al governo di Gerusalemme che Mursi, pur lavorando per la tregua, abbia preso posizione nettamente a favore dei palestinesi e di Hamas, durante i giorni convulsi dell'offensiva aerea israeliana su Gaza. Per cui Israele potrebbe aver fatto pressioni su USa ed Europa per abbandonare a loro stessi i governi islamisti al potere in Egitto e Tunisia. Solo la Turchia, alleato strategicamente troppo importante e potente, si salva da questo schema: i rapporti fra il Governo Erdogan e l'Occidente rimangono ottimi, come testimonia anche la recente autorizzazione della NATO a posizionare missili Patriot sul territorio turco, per proteggerlo da possibili sconfinamenti dell'aeronautica di Assad (molto più probabilmente per fornire copertura antiaerea ai cosiddetti "ribelli" filo-occidentali che operano a ridosso della frontiera fra Siria e Turchia).

La rottura dell'alleanza con l'islamismo politico moderato aprirebbe scenari nuovi in tutto il fronte arabo: tornerebbe il tradizionale schema dell'Occidente alleato con i governi arabi laici, riporterebbe l'islamismo politico verso l'opposizione, e quindi una nuova radicalizzazione politica, chiuderebbe ogni possibile spiraglio (ammesso che ve ne siano mai stati) verso una soluzione negoziale per la Palestina, con Hamas costretta ad abbandonare l'unità di azione con Al Fatah sperimentata in occasione del voto dell'ONU sul risconoscimento parziale dello Stato palestinese ed a tornare, in maggiore isolamento e quindi con minori possibilità di incidere, verso forme di confronto armato più radicali (a loro volta ottimi veicoli per rafforzare la destra guerrafondaia israeliana). Rialzerebbe il livello del confronto con il regime teocratico iraniano, con esiti imprevedibili. 

Mentre il governo tunisino vacilla in modo evidente, ed il presidente della Repubblica già parla di governo di transizione, non è ancora dato sapere come si concluderà la rivolta in Egitto. La Fratellanza Musulmana gode ancora di notevole e solido consenso fra gli strati popolari e il proletariato, specie quello rurale, come dimostra la manifestazione a favore di Mursi tenutasi qualche giorno fa al Cairo. Molto dipenderà dalle Forze Armate: se i militari non si riterranno sufficientemente tutelati dalla nuova Costituzione, che pure assegna loro un qualche ruolo istituzionale nel nuovo Egitto, abbandoneranno Mursi. E' tuttavia un dato di fatto che, sinora, la polizia ha difeso il governo islamista dai manifestanti. 

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