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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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lunedì 7 gennaio 2013

IN QUESTO MARIO CI SONO MOLTI SILVII... di N. Fragiacomo



di Norberto Fragiacomo


La campagna elettorale di Mario Monti, cominciata nel 2011, è entrata nel vivo il 26 Dicembre scorso: da allora l'illustre cattedratico “salito” in politica (con l'ascensore del Quirinale) bivacca letteralmente in tivù, dispensando verità di fede. Accendi il televisore e te lo ritrovi davanti, ospite invadente e sgradito, mentre fa balenare il suo sogghigno in risposta alle timide, ossequiose domande di giornalisti-funzionari che neppure fingono di volerlo contraddire. I giudizi lapidari del premier cadono dal cielo, come una pioggia di acuminate meteore: in più, il professore mostra particolare talento nell’utilizzo della neolingua, quella che inverte il significato delle parole, trasformando il regresso in “riforme”, la difesa (neanche troppo convinta, ahinoi!) di diritti irrinunciabili in “conservatorismo”, l’ingiustizia sociale in “equità”. 

Dopo l’Agenda Monti (altro che il cognome sul simbolo elettorale, qui siamo dalle parti del Λόγος!), il nostro ha pubblicato anche le liste di proscrizione: Vendola, Fassina, CGIL e FIOM sono da silenziare perché “conservatori”. Il verbo, che lui dice rubato al blog di Stefano Fassina, richiama alla mente torbide storie di sicari e agenti segreti, ma non stona affatto in bocca al Terminator giunto da un futuro liberalschiavista, con la pistola spread nascosta sotto il loden blu. 

Strana bestia lo spread: un giorno ti appare con le sembianze di un mostro mitologico dalla fame insaziabile, quello successivo si accuccia ai piedi del padrone (del custode?) come un mite bassethound [1]. Sembra di ascoltare una barzelletta sconcia, o di giocare con dadi truccati: mentre il governo viene lasciato cadere, il Silenziatore si prefigge un dimezzamento del differenziale rispetto agli ultimi giorni di Berlusconi. Una preghiera schernita dagli speculatori? Macché, trattasi di ordine di servizio: i mercati – magari poco intelligenti, ma disciplinati come granatieri prussiani – rispondono yes, we can!, e nel bel mezzo di un’incerta competizione elettorale paracadutano lo spread a quota 275.

Miracoli del montismo, il cui fondatore viene infatti trattato dai media come un profeta – un profeta pieno di sé, che quando non pontifica sfotte, e spesso fa entrambe le cose insieme. Il 4 gennaio, intervistato su La7 da una Lilli Gruber ginocchioni, il Silenziatore ci regala autentiche perle: “può darsi che io sia chiuso in un angusto provincialismo – ridacchia – per l’Italia sarebbe un disastro. (…) La scelta mi costa fatica, spero solo di trovare a destra e sinistra forze che condividano il rifiuto del populismo (…) però ci sono forze a destra e sinistra che viaggiano sul populismo e privilegiano la tutela dell’esistente.” Poi - con la sua tipica disinvoltura, che riduce storia e cronaca a favolette per bambini -, Mario l’ottimate si paragona a Socrate, attribuendosi doti maieutiche, e chiude con l’immancabile appello al patriottismo (questo sì populista al massimo grado!): saremo “fieri di essere italiani” (ma solo dopo aver ingerito la sua pillola, s’intende). Nel mezzo, ha spiegato chiaramente le ragioni del suo impegno politico. “E’ stata la passione per la politica a spingerla?”, chiede soavemente la telediva.  “Decisamente no, è una cosa che mi impongo contro la mia natura, è una cosa che mi impongo non certo sulla base del cuore, ma della ragione e della coscienza.” Non nutrivamo dubbi in merito, così come non ci stupisce che Monti sia “enormemente soddisfatto dell’opera fatta per fare crescita”, malgrado l’Italia sia in piena decrescita, il PIL stia franando, il debito pubblico sia aumentato di 100 miliardi in un anno (colpa dei soldi alla Grecia, si difende il nostro, e alla Gruber manca persino la decenza di ridergli in faccia) e, nonostante lo scempio del diritto del lavoro, la disoccupazione si diffonda come gramigna. Ad un certo punto, la spalla ha domandato al mattatore (erano le 9 e mezza, SuperMario ha sforato di 20 minuti, ma Lilli la rossa non se ne è avveduta): “farà anche comizi?” “No”, risponde con un ghigno il Silenziatore, e prosegue il suo comizio in prime time per qualche minuto ancora.
Quello scambio demenziale andava suggellato con un bel po’ di risate preregistrate (stile I Jefferson), ma siamo contenti comunque: chiunque sia avvezzo a pensare con la propria testa avrà capito cosa sia Mario Monti, e quali i suoi progetti per il futuro. Il premier targato Goldman Sachs è un conservatore di stampo ottocentesco, che accomuna sotto l’etichetta di “populismo” tanto il welfare quanto Costituzione e democrazia; un falsificatore del linguaggio corrente, che, al pari dei suoi mentori Reagan e Thatcher, si avvale di tecniche psyops per impaurire l’elettorato e convincerlo che alla schiavitù capitalista non c’è alternativa; un dittatore in pectore che, non pago di scegliere d’autorità i suoi candidati/vassalli (quelli di Scelta cinica, appunto), pretende di imporre la propria volontà anche ai contendenti (si fa per dire); un populista della peggior specie, che, in perfetta malafede, contrabbanda per verità indiscutibili altrettante menzogne; un Berlusconi ripulito ma al cubo, infinitamente più spietato ed efficiente, che non ha neppure bisogno di possedere due o tre televisioni, questo o quel giornale, perché ha in pugno tutti i media che contano.
Il disegno di quest’individuo è chiaro, almeno nelle linee generali: logorare e indebolire il PD, forzandolo a schierarsi al suo fianco in posizione subalterna; ritornare a palazzo Chigi da padrone (alla docilissima Lilli ha detto chiaro e tondo che per lui fare il semplice ministro sarebbe una deminutio: come tutti i baroni, l’uomo è ridicolmente arrogante), per completare l’opera di cui è “enormemente soddisfatto”: la svendita dell’Italia, della sua istruzione e della sanità alle multinazionali, con un occhio di riguardo per la gerarchia ecclesiastica.
Lo ribadiamo: Monti è l’erede di Berlusconi – ma in questo Mario ci sono molti Silvii (possa il buon Silla perdonarci la storpiatura)!

E gli altri? 


Silvio Berlusconi, anche lui televisivamente in auge, ora blandisce il padrone ora lo attacca, pronunciando persino, all’occorrenza, frasi sensate. Non va preso sul serio: il vecchio satiro si è assunto il ruolo di sparring partner – del mestierante che, senza impensierire il campione, gli consente di provare i colpi. Per il premier, l’impresentabile è l’avversario-alleato ideale: distrae gli elettori di sinistra, indebolisce Grillo e consente a Monti stesso di far mostra di virtù, misura (?) e sobrietà. Ogni attacco del Berluska (così come ogni quesito spuntato dei conduttori televisivi) è un assist per il Silenziatore che, sfoderando una smorfia truccata da sorriso, può fare goal nella rete sguarnita dell’informazione italiana.

Quanto a Bersani, lui incassa e basta. Avesse un po’ di coraggio, fosse in buona fede, contrattaccherebbe con vigore: il cantore dei tacchini sul tetto è pur sempre il segretario del maggior partito italiano, e ha stravinto le primarie. Potrebbe rompere con Monti definitivamente, condannare le sue politiche scellerate, mandare in pensione lo spettro di Berlusconi… invece niente, inghiotte e si limita a un balbettio di replica. Ha votato ogni porcata, d’accordo, ma non è soltanto questo a bloccarlo: è un fatto che il Partito Democratico è ormai stabilmente inserito nell’orbita liberista, e rinnegare l’Agenda Monti implicherebbe rimettere in discussione una strategia concepita almeno vent’anni fa – una strategia che non prevede vie di fuga o piani alternativi. Che dire allora dei Fassina, degli Orfini ecc.? Che, sotto sotto, sono effettivamente un po’ “conservatori” – ma non nel senso che Mario Monti attribuisce al termine. La c.d. sinistra piddina ha rinunciato a contestare il Fiscal compact/patto di stabilità (?) europeo, gli altri trattati capestro e la logica ad essi sottesa, guadagnandosi de facto la patente di sostenitrice dell’attuale sistema. Se non è conservatorismo questo…

Veniamo alle vicende di casa nostra, vale a dire al Quarto Polo. Non è nato sotto i migliori auspici, ma è nato, e già questa è una buona nuova. Rivoluzione Civile somiglia poco alla sinistra che sognavamo: fare della lotta alla mafia il punto qualificante del programma, nella presente situazione, significa andare clamorosamente fuori tema, e la cooptazione di noti cacciatori di poltrone non induce a esagerati ottimismi. Sbagliano, però, personaggi autorevoli come Pepino, il prof. Gallino ecc., e politici capaci come Alfonso Gianni a chiamarsi fuori (specie dopo che una consultazione telematica, svoltasi tra gli aderenti a Cambiare si può, ha dato esito favorevole alla prosecuzione del cammino unitario): il problema non è l’apporto di partiti come IdV, PdCI e PRC, senza i quali non si va da nessuna parte (e non si raccoglierebbero manco le firme per la presentazione delle liste). 

La questione autentica riguarda i rapporti con il c.d. centrosinistra e la posizione da assumere nei confronti dei vincoli europei. Antonio Ingroia ha già chiarito di non voler rinunziare al dialogo con PD e M5S: escluso che abbia in mente un apparentamento di comodo, volto a superare ad ogni costo le barriere del Porcellum (al pari dei professori di Alba, l’ex PM ci pare una persona seria e onesta), nutriamo dei dubbi sulla bontà del piano. 
Riportare il PD a sinistra è impresa impossibile; SeL è forse recuperabile a un’alleanza anti-Monti, ma su una remota possibilità non è lecito costruire un progetto politico. Paradossalmente, meno assurda è la ricerca di un contatto con Grillo, che i sondaggi (genuini? contraffatti? Certo, non sgraditi al potere…) danno in discesa libera – in vista non tanto di un improbabile patto elettorale, quanto della costruzione di un’agguerrita opposizione parlamentare, e dunque della convergenza su singole questioni che, all’indomani del voto, potrebbero imporsi all’attenzione generale.
Tocca, secondo noi, ai militanti plasmare un movimento ancora amorfo, e dargli una chiara connotazione anticapitalista e di sinistra: lo scopo non è la conquista del governo, palesemente fuori portata, bensì l’ottenimento di una rappresentanza che, all’interno delle istituzioni, faccia da quinta colonna, ed agevoli – fornendo informazioni e combattendo battaglie di principio – la formazione ed il consolidamento di una contestazione sociale capace di impadronirsi delle piazze.
Se vogliamo cambiare il sistema e liberarci di Monti, Berlusconi ecc. dovremo sviluppare una strategia di lungo termine, che non faccia perno su un episodio elettorale ma punti, piuttosto, a restituire sogni e fiducia all’Italia migliore, quella disposta a impegnarsi in presenza di un progetto credibile. Dei pecoroni non vale la pena di occuparsi: seguiranno belando il vincitore, come sempre avviene.




[1] Non sosteniamo affatto che lo spread sia un’invenzione recente dei banchieri: esiste da molti anni, e di per sé è nient’altro che un’unità di misura di cui, a partire dall’estate 2011, si è fatto un uso improprio e criminale. In fondo, anche un coltello da cucina, pensato per tagliare carne o verdure, può diventare, nelle mani sbagliate, un’arma mortale.



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