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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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martedì 4 febbraio 2014

SQUADRISTI, FURBERIE E (LE SOLITE) MELINE POLITICHE di Norberto Fragiacomo



Avvertenza per i militanti severi di gucciniana memoria: quello che state per leggere è un pezzo “di colore”, incentrato su fatti e sceneggiate che attengono alla sovrastruttura, e nello specifico a quell’enclave un po’ avulsa dalla realtà (e con limitata influenza su quest’ultima) che convenzionalmente viene definita “politica italiana”. Solita commedia dell’arte, insomma, malgrado le pose tragiche esibite, per qualche giorno, dalle maschere più in vista (il Sovrano ammonitore, la Presidentessa vilipesa, il decisionista fiorentino, i fanti-cantori piddini).

Mercoledì sera arriva trafelato alla Camera, a passo di corsa, il c.d. decreto IMU. Si tratta di scongiurare il pagamento della seconda rata dell’imposta sulla prima casa per il 2013, ma non solo: viene rivalutato (e non di un’inezia: da 156 mila a 7,5 miliardi di euro!) il capitale di Bankitalia che, com’è noto, è di proprietà degli istituti bancari nazionali. Un regalo alle banche? Indirettamente sì, e – visto l’importo – più un dono di nozze che un presente. Per impedire l’ostruzionismo del M5Stelle contro il cadeau (sulla soppressione della rata i “grillini” sono invece d’accordo), che rischia di far decadere il decreto, la presidente Boldrini attua un colpo di mano, anzi di ghigliottina: dibattito ucciso in fasce, conversione in legge d’imperio dell’intero provvedimento. I pentastellati non ci stanno e, in segno di protesta, occupano pacificamente i banchi del governo e della presidenza. Violenza? Sì, ai loro danni: un questore alto e massiccio percuote sul volto una deputata grillina bassa la metà di lui.



Le immagini, riprese dalla tv, fanno il giro dei talk show: si viene a sapere che il bruto è tale Dambruoso, montiano e persino magistrato. Siamo in buone mani, non c’è che dire! L’indignazione monta, poi cambia repentinamente direzione: il “moderato” si difende attaccando a La7, e rivolta la frittata con tanta spudorata arroganza (la “violenza” è naturalmente quella dei 5Stelle, tacciati persino di “squadrismo” dal picchiatore) da provocare un travaso di bile allo spettatore onesto. La conduttrice del programma, invece, lo ascolta estasiata: è “un grande magistrato”, non si stanca di ribadire, e poi è stato suo ospite in studio. Il dolo evidentissimo è derubricato a colpa, anzi no, ad atto lecito (legittima difesa? Esercizio dello ius corrigendi?): l’arringa, mai interrotta, si conclude con una sentenza di autoassoluzione con formula piena, colpevoli sono semmai le vittime. E il video che ha immortalato la scena? Irrilevante, i fatti sono un optional, le immagini “si interpretano” a piacimento: adesso bisogna demonizzare i “grillini”, e al canto di Bella ciao (che era una canzone partigiana, ma il PD ha da tempo perduto qualsiasi ritegno) il potere bipartisan cala i suoi assi, dalle pasionarie indignate (Moretti) agli intellettuali al seguito (Corrado Augias). L’accusa è stantia, ma bruciante: fascismo – ed è recitata a memoria da grigi manager di partito alla Roberto Speranza. Poco conta che ad assumere un atteggiamento fascista – impedendo la discussione in Parlamento, inchinandosi agli interessi delle lobby economico-finanziarie ecc. – sia stato proprio il PD: basta dominare i media per riscrivere secondo convenienza cronaca e storia. La grossolanità di Grillo (che pubblica un assurdo video “comico” sulla presidente espressa da SeL), poi, fornisce un assist al vincitore di giornata: la seriosa, compunta Boldrini può presentarsi come una vergine oltraggiata, ruolo al quale, non somigliando fisicamente a Razzi, si presta bene.

Risultato: la sacrosanta battaglia di merito contro una porcata, condotta nell’unica maniera possibile (visto che il diritto d’espressione è stato calpestato), diventa una “provocazione fascista”. Gli italiani ci cascheranno? Mi sembra plausibile: il senso critico è merce rara, di questi tempi. Spero perlomeno non ci caschi la sinistra che però, cocciutamente, seguita a mantenere col PD un rapporto ambiguo: in Sardegna il PRC si offre come ruota di scorta al carrozzone dei democratici che, insieme al Socialismo, hanno rinnegato pure la democrazia (formale, s’intende). Antonio Ingroia, con le sue infruttuose giravolte, non ha evidentemente insegnato (né imparato, ma sarebbe chiedere troppo) un bel niente: pazienza, teniamoci i 5Stelle come supplenti, nelle aule parlamentari, di un socialcomunismo battagliero a parole ma cauto e irresoluto nell’azione (?).

Considerazione: alla luce degli sviluppi brevemente riassunti, l’idea di un CLN con il MoVimento – avanzata a Chianciano da Pasquinelli – pare a chi scrive un po’ più convincente di prima. Sarò naif, ma dovessi additare tra Di Battista e Speranza (o tra la Sarti, calma e preparata, e l’aggressiva Moretti) il “nemico di classe” non avrei un istante di dubbio. Il problema però è sempre quello: la Rivoluzione non si fa nelle urne, sarebbe troppo comodo.
Intanto, in tv, si è rivisto Berlusconi, risorto a vecchia vita e antiche abitudini. Non tragga in inganno la performance con Cappellacci, battezzato “Ugo merda” al culmine di uno spettacolo che profumava di osteria periferica: nonostante la voce impastata, le battute demenziali e certe gaffe che gettano una luce caravaggesca sulla fangosa umanità del personaggio (quella sull’alluvione in Sardegna era semplicemente inqualificabile), Berlusconi è ancora in gioco, e si è ben ripreso dallo schiaffetto parlamentare di fine anno. La prova non sta negli applausi di un pubblico anch’esso da bettola, ma – ad esempio – nella scelta del callido Azzurro (Casini) di tornare all’ovile forzista, dopo un’inconcludente passeggiata in centro.

Il rilancio porta la firma di Renzi, anche se l’indignazione della “sinistra” piddina è roba da cabaret: correre in soccorso a Berlusconi è da sempre la mission degli ex comunisti convertiti al neoliberismo. Certo la sentenza della Consulta n. 1/2014 – che bocciava il Porcellum per il premio di maggioranza “in difetto del presupposto di una soglia minima” e per la sottrazione all’elettore “di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti” – non preludeva necessariamente ad una riscrittura normativa sotto dettatura del cavaliere, ad una legge che, ancor più della precedente, butta al macero l’articolo 48 della Costituzione e l’uguaglianza del voto, ma il quesito che mi tormentava mentre attraversavo in treno un’Italia ridotta a risaia era il seguente: come mai il fiorentino ha scelto di suicidarsi politicamente? D’accordo, per lui conta più la forma (leggi: l’approvazione di una legge elettorale purchessia, da esibire come trofeo politico) che la sostanza (norme equilibrate e condivisibili), ma Renzi non può non sapere che, facendo fuori SeL con lo sbarramento del 4,5% e, al contempo, ripescando la Lega, favorisce la vittoria dell’avversario alle prossime politiche. L’illusione dell’autosufficienza è già costata carissima a Veltroni: senza l’appoggio vendoliano, quantitativamente modesto ma imprescindibile, PD e segreteria Renzi vanno a sbattere. Anche un’operazione stile PSI, con candidati sellini in lista, o addirittura un’incorporazione da parte del partito maggiore recherebbero scarso giovamento: la somma di sigle non è somma di voti, quelli vendoliani - almeno in parte - si disperderebbero. E allora a che gioco sta giocando il fiorentino? E’ solo un altro Toti, un uomo di paglia del Berlusca a “sinistra”? Mi pare inverosimile: il giovanotto è ambizioso, e lavora anzitutto per sé, per ritagliarsi uno spazio.
Più credibile, a parer mio, che gli alti sbarramenti (il 4,5 in coalizione, un irraggiungibile 8% per chi va da solo) gli servano come arma di pressione: desiderando liberarsi dei vecchi arnesi interni (D’Alema, Bersani, Fassina ecc.) per avere una ditta tutta sua, promuove una comunanza di interessi tra i c.d. oppositori e Sinistra Ecologia e Libertà, in vista della nascita di un partitello che abbia voti sufficienti per superare la soglia – e contribuire al trionfo renziano – ma resti comunque socio di larga minoranza, un ininfluente e controllabile portatore d’acqua. Viste in quest’ottica, trovano adeguata spiegazione le umiliazioni inflitte a Fassina e al povero Cuperlo, cui pochi giorni prima era stata magnanimamente donata la presidenza del partito (più trappola che sinecura, dunque).
Renzi caccia i suoi polli, per tenerli più saldamente in pugno: pare una buona mossa, che per essere attuata richiederà un po’ di tempo. Letta, quindi, nel breve periodo dovrebbe restare in sella e continuare la sua melina da governicchio balneare, in attesa del momento giusto (per il segretario).
Schermaglie anche divertenti, che però non riescono ad appassionare lo spettatore: fuori dalla bolla politica sta il mondo vero, con il suo carico di tragedie (ad es., i tanti casi Electrolux) e problemi autentici.
Ma noi, in fondo, vi avevamo preavvertito: questo è soltanto un articoletto “di colore”.

1 commento:

Vecchia Talpa ha detto...

Fatto salvo la canea dei mass media scatenatesi e l'atto antidemocratico che toglie la parola alle minoranza ( ma ci si stupisce ancora che queste istituzioni sono putrescenti e che anche il formalismo della democrazia è andata a farsi benedire?) non vi viene il dubbio che la razione scomposta dei grillini denota appunto la loro ingenuità e la sconfitta sul piano dei loro stessi principi e della loro stessa ideologia?

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