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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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mercoledì 19 febbraio 2014

GLI ZINGARI E TOTA di Sara Palmieri




GLI ZINGARI E TOTA
di Sara Palmieri



Gli zingari sono accampati sotto i balconi del nostro appartamento che dà sul fiume.
Più che un fiume un torrente, in secca d’estate e impetuoso d’inverno senza che però sia mai straripato.
Gli zingari vivono là, tra i nostri balconi e il torrente “Cantagalli”. 
Noi, mia sorella ed io, siamo bambine, ma non abbiamo paura di loro anche perché i miei genitori non ce ne hanno mai incusso.
Non hanno mai detto e non dicono mai: “Se non fai la brava, non mangi, non dormi, non ubbidisci chiamo gli zingari o vengono gli zingari a prenderti!”
Le famiglie del rione e gli zingari vivono in pace. In quei primi anni Sessanta sono tutti più gentili, solidali e tolleranti di oggi. Forse perché sono usciti dalla povertà e dalla miseria da poco e non considerano “povertà” e “miseria” dei difetti, ma condizioni quasi sempre incolpevoli.
Quando penso a quegli anni la parola che mi sovviene, aldilà dei tumulti che seguiranno, è armonia.
Si sa che ogni tanto passano a chiedere roba da mangiare, così mia mamma ha sempre da parte una sporta con beni di prima necessità: farina, zucchero, pasta, caffè, caramelle per i bambini.
Si sa anche che rubacchiano: gli piacciono i ferri vecchi dell’officina di mio padre, qualche panno steso ad asciugare, qualcosa che perdiamo per strada e forse non ritroveremo. Ma per nessuno è un grave problema. Basta stare più attenti.
A me piace osservarli dalla finestra. Hanno vestiti dai colori sgargianti e foulard in testa. Vivono in tenda, cuociono all’aperto e hanno sempre sul fuoco pentoloni di acqua che bolle. Non sono rumorosi e neppure tanto sporchi. I bambini vanno a scuola, non tutti, ma qualcuno ci va.
Mi incuriosiscono e perfino li invidio un po’. Mi sembrano così liberi.
Ci sono ragazze adolescenti. Tra loro c’è Tota, ha sedici anni e una pelle d’ambra. E’ bella, ma ha un modo di fare selvatico e diffidente. Ogni tanto è lei che si presenta a casa per chiederci da mangiare. Qualche volta ha pranzato con noi. Mia mamma e Tota sono entrate un po’ in confidenza. Mia mamma è un’insegnante, siamo tre figli, mio padre è sempre in officina. Avrebbe bisogno di una mano in casa e così la chiede a Tota. Si accordano sui giorni e sulla cifra che le darà. Tota comincia a lavorare da noi; me la ricordo alla vasca che abbiamo in cucina a strofinare i panni con i grossi pezzi di sapone fatto in casa col grasso di maiale e la soda caustica. Non ricordo quanti giorni durerà il suo lavoro a casa nostra, ma si mostra contenta anche se ha sempre quello sguardo diffidente e quegli occhi di volpe.
Sembra non fidarsi di noi, forse le sembriamo strani: persone ordinarie, con vite ordinarie e ripetitive, schiave del quotidiano e di quelle gabbie che ci siamo costruiti intorno e che chiamiamo doveri, prima ancora di rivendicare diritti.
Sul frigorifero panciuto con pedale degli anni Sessanta, campeggia un carosello di terracotta dove ogni tanto i miei genitori infilano degli spiccioli.
Tota lo ha sicuramente notato perché un giorno scompaiono insieme. Tota e il carosello.

Oggi mi chiedo se si sia mai pentita di quel gesto. Sicuramente non c’erano molti soldi nel salvadanaio, non più di quelli che le avrebbe dato mia mamma per il suo aiuto. Ma gli zingari sono così: gli piace essere liberi. E forse hanno ragione. In fondo è così che siamo nati: liberi.      



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