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lunedì 16 febbraio 2015

TRIPOLI BEL SUOL D'AMORE, OVVERO LE NOSTALGIE VETERO-INTERVENTISTE DELLA PICCOLA BORGHESIA DI SINISTRA di Riccardo Achilli






TRIPOLI BEL SUOL D'AMORE, OVVERO LE NOSTALGIE VETERO-INTERVENTISTE DELLA PICCOLA BORGHESIA DI SINISTRA
di Riccardo Achilli



Ci avviamo, senza nemmeno poter pensare di poter fermare la macchina militare, verso l'ennesimo scenario di conflitto di questa specie di terza guerra mondiale spezzettata su scenari regionali che stiamo vivendo da almeno 20 anni. Stavolta abbiamo un “evergreen”, ovvero quella Libia che gli stessi attori politici italiani che oggi chiamano alle armi, ovvero il PD e FI, hanno contribuito a far piombare in un più che prevedibile caos nel 2011. Senza che nell'opinione pubblica lobotomizzata dal peggior sistema mediatico del mondo occidentale vi sia un moto di sdegno per l'evidente illegittimità morale e storica di chi oggi chiama alle armi per “risolvere” i problemi che egli stesso ha creato.

L'ignoranza costituzionale del Governo è tutta nelle parole di un Ministro che annuncia una guerra contro un Paese che non ci ha aggrediti in nessun modo. Naturalmente l'intervento militare, di terra, oltre che aeronavale, si farà, con molti Paesi europei che si sottrarranno, e la guida non sarà, evidentemente, affidata all'Italia. Avremo quindi un intervento militare, il cui costo dovrà essere recuperato con ulteriori tagli alla spesa sociale, il cui obiettivo sarà quello di consolidare il controllo neo-imperialistico che altri Paesi hanno consolidato sul petrolio libico, estromettendo, sin dal 2011, il tradizionale posizionamento dell'ENI. E questo è l'improbabile esito positivo.
Perché il più che probabile esito negativo sarà invece quello di impantanarsi in un Vietnam sahariano, in una situazione pressoché ingestibile, perché caratterizzata da una sovrapposizione fra guerre tribali e guerre religiose, in cui le decine di fazioni in lotta sparerebbero, tutte quante solidalmente, contro l'invasore esterno. Una situazione che ricorda la politica estera che Ottaviano condusse con le tribù germaniche, cercando di inserirsi in un ragnatela inestricabile di micro conflitti, e che finì con la disastrosa sconfitta di Teutoburgo. Si preannuncia un capolavoro di politica estera.


Di fronte a tale evidenza, è veramente incredibile che ampie fasce di sinistra flirtino con l'ipotesi renzian/gentiloniana di un intervento militare in Libia. E non lo dico per vetusti cascami pacifisti, ma per lo stupore di vedere il deserto della capacità di analisi. Un intervento militare convenzionale dentro una guerra asimmetrica produce esattamente ciò che abbiamo visto in Afghanistan ed in Irak: uno sterile controllo del territorio che non disarma le fazioni in lotta, non frena il terrorismo (che, come dovrebbe dimostrare il caso francese, ha le sue cellule già installate in Europa, non stanno certo in suolo libico) non può produrre alcun effetto sui flussi migratori che non sia un loro incremento dovuto alla fuga dalla guerra (la costa libica misura 1.770 chilometri, praticamente tutti piatti e sabbiosi, quindi idonei a far partire piccole imbarcazioni, pensiamo veramente di controllarla tutta? Nemmeno l'intero Esercito USA ci riuscirebbe) e che è immensamente costoso in termini umani ed economici. Senza avere un obiettivo militare da colpire, perché i terroristi dell'Isis si nascondono dietro la popolazione civile, un simile intervento sarebbe del tutto fallimentare.
Senza contare l'enorme rischio di una escalation regionale del conflitto. L'intervento occidentale potrebbe produrre una maggiore spinta per l'indipendentismo tuareg, berbero e dei Tebù, che potrebbe far esplodere un'area che va fino all'Algeria, e a sud scende fino al Ciad ed al Mali.

Questa posizione guerrafondaia la ritrovo in numerose opinioni nella sinistra italiana, soprattutto di socialisti. Una posizione insostenibile, che ambisce ad un ruolo di maggior protagonismo del nostro Paese in politica estera, forse “nostalgica” della politica estera craxiana di “ago della bilancia” del nostro Paese nel Mediterraneo (che però era condotta da Craxi con le armi della diplomazia, non con le bombe) ma che non comprende che il nostro Paese non avrà nessun ruolo di protagonismo, per il semplice fatto che i nostri interessi e le nostre relazioni politiche in Libia sono andati definitivamente perduti nel 2011, quando, in modo del tutto suicida e in una posizione di assoluta subordinazione, il Governo Berlusconi, in perfetto accordo con il PD allora guidato dalla volpe del deserto chiamata Bersani, partecipò alla caduta del regime di Gheddafi. Da quel momento, gli interessi economici in Libia sono finiti in mano di altri Paesi, che evidentemente non hanno alcun motivo di assegnare all'Italia un ruolo di leadership in una eventuale missione militare, se non quello, ovvio, di coordinamento meramente operativo delle operazioni logistiche legate alla messa a disposizione di basi aeree e navali vicine alla costa libica. Ma di leadership politica non se ne parla proprio. In politica estera, nessuno ti regala niente.
Tale posizione di molti socialisti è probabilmente il frutto di una degenerazione della capacità di analisi politica, che è tipica di una fase di declino politico/culturale, e non si rende nemmeno conto delle implicazioni di politica interna legate ad un sostegno, sia pur passante per un Parlamento che nei fatti però è stato ampiamente spodestato, della posizione energumena del Governo Renzi.

la Libia è un labirinto inestricabile di tribù e fazioni in lotta, con enormi interessi economici esterni, non tutti di matrice NATO. Occorre fare quello che ha proposto ieri Romano Prodi (ben più lucido, almeno in questo caso, di tanti politicanti di sinistra), ovvero riunire attorno ad un tavolo gli attori rilevanti, cioè gli attori esterni che armano le varie fazioni, o che hanno interessi economici nel Paese (il Qatar, l'Arabia Saudita che finanziano il NGC ma anche l'Isis, l'Egitto, la Turchia, la Cina e gli USA) in una trattativa sotto egida europea, e trovare un punto di equilibrio, o una spartizione concordata del Paese. Solo in questi termini, è possibile pensare, dopo l'accordo politico/diplomatico, ad una missione di peace keeping e di State building sotto egida ONU (che potrà anche avere ad oggetto le diverse entità statuali in cui eventualmente si decidesse di dividere la Libia).

Quand'anche tale sforzo diplomatico si rivelasse vano, perlomeno avrebbe il risultato di prendere tempo e “raffreddare” la situazione, facendo perdere agli sciocchi sostenitori di una nuova guerra l'abbrivio mediatico di cui godono adesso. A quel punto, sarebbe possibile pensare ad interventi mirati per armare meglio le fazioni “laiche”, come quella comandata dall'ex generale di Gheddafi Haftar, affiancati da interventi mirati di intelligence (“lavori bagnati” molto mirati, anche con l'utilizzo limitato di reparti speciali) e di sostegno economico alle tribù che si schierano contro le forze dell'Isis e dei salafiti.



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