DIVISIONE DEL LAVORO
Nei primi anni '70, nei Paesi capitalistici avanzati, venne lanciato un attacco alla classe operaia che sarebbe continuato nelle successive tre decadi, assestando ai lavoratori una serie di disfatte.
Il neoliberalismo economico si è affermato ovunque ed èancora dinamico. A fronte di tale offensiva, la resistenza dei lavoratori è stata insufficiente e scarsa. Da ciò si è concluso che "i lavoratori non sono e non possono guidare la lotta per un mondo migliore". La sconfitta strategica, per il proletariato mondiale nel
suo complesso, viene fatta risalire al risultato negativo della lotta di classe che i minatori inglesi hanno riportato all' epoca della Tatcher.
Non si può attribuire questo stato di decadenza all'avvento del neoliberismo, in quanto la forza del liberismo economico( il libero mercato ) è stata sempre la dottrina fondamentale del capitalismo a causa
delle leggi coercitive della concorrenza e delle condizioni della lotta di classe che sono endemiche nel capitalismo.
Come ha scritto lo studioso R.Bellofiore, "il liberalismo inteso come laissez faire e Stato minimo è esistito all'inizio (dell'era industriale moderna) come politica mercantilista dell'Impero britannico".
Noi dissentiamo da tale giudizio che stima il liberalismo come un risultato della politica imperiale inglese, giacchè, agli inizi del capitalismo industriale la situazione era quella di "relazioni tra produttori di
merci indipendenti che non riconoscevano altra autorità oltre alla concorrenza e alla coercizione esercitate dalla pressione degli interessi reciproci" (vedi D. Harvey)-
Oggi, in un contesto di altissima divisione internazionale del lavoro tecnico e sociale, in cui il capitalismo multinazionale opera in un mondo senza frontiere, il Capitale è stato costretto a crearsi la condizione base per la sua accumulazione universale,ossia; un esercito di riserva internazionale del lavoro, la cui mobilità e il cui ingrossamento inseguono la direzione e il volume degli investimenti dei capitali nel mondo, e la loro velocità. I flussi migratori internazionali sono importanti per seguire anche le oscillazioni dei livelli di salario su scala locale che dipendono, in primo luogo, non dal movimento del numero assoluto della popolazione operaia, ma, come scrive Marx "dall'aumento e dalla diminuzione del volume relativo della sovrappopolazione,ossia dell'esercito industriale di riserva". Inoltre, l'oscillazione dei salari non si modifica solo per il trasferimento dei capitali da un punto all'altro,ma anche per i bisogni di valorizzazione del capitale durante le alterne fasi del ciclo.
Lo studioso americano M.Yates,stima che l'esercito di riserva nel mondo,all'inizio del XXI sec., sia di circa 200 milioni di disoccupati in modo aperto e che, circa 900 milioni/un miliardo di persone, siano sottoimpiegate.(Oggi,in piena crisi sistemica bisogna accrescere di almeno il 15% tali cifre. Il presente articolo fu redatto,qualche anno prima dello scoppio della crisi odierna). Sulla base degli investimenti produttivi diretti delle multinazionali o di capitalisti dei Paesi avanzati,tali investimenti provocano, negli Stati periferici, spostamenti migratori interni della popolazione lavoratrice (vedi la Cina,l'India,il Brasile). Ma si assiste ad ondate migratorie sempre più massiccie dalla Periferia al Centro del mondo, da un continente all'altro,o da Paesi poveri a quelli ricchi di uno stesso continente.
Negli anni '90, in Europa, venivano contati 18 milioni di disoccupati e, con l'avvento di fasi negative del
ciclo,alla fine dello scorso secolo e all' inizio del presente, si è assistito a misure protezionistiche verso l'immigrazione accompagnate da misure di polizia e da regolamenti più rigidi che limitavano le entrate di emigranti appartenenti ai lavoratori salariati e ai rifugiati.
Il capitalismo multinazionale-finanziario, nella sua versione di neoliberalismo economico, riproduce su scala mondiale un ineguale sviluppo interno e fra nazioni. A questo risultato conducono le sole forze del mercato che, come un dio oscuro e minaccioso,rivelano di tanto in tanto,attraverso i guru economici, i segni di imminenti catastrofiche crisi,a cominciare da quelle finanziarie, che riempiono d'angoscia i celebranti ed operatori del sistema in preda alla "volontà di potenza" che li costringe a considerare gli
altri in termini puramente strumentali e come oggetti dell'esercizio violento del dominio.
Il liberalismo economico, in nuce, si libra tutte le volte che si affaccia un nuovo contesto di divisione sociale del lavoro, e di ristrutturazione del mercato del lavoro, che estende le comunicazioni e riduce i costi dei trasporti i quali rendono più agevole" la diffusione immediata delle decisioni in uno spazio sempre più grande".
Esso comporta una minore rigidità nei mercati del lavoro, nei contratti di lavoro e nell'allocazione delle forze lavoro.
Accanto a questi fenomeni, si registrano minori interventi statali,una minore rigidità degli impegni statali in materia di sicurezza sociale,dei diritti pensionistici,etc.
All'interno delle fabbriche e delle officine si affaccia una nuova divisione del lavoro che si basa su una maggiore "autonomia" del lavoratore rispetto al capitalista e al suo management (toyotismo) e sulla diffusione a rete della fabbrica nel territorio (regionale o internazionale).
In tale contesto prende piede tra i lavoratori l'individualismo sfrenato pervaso di sapere tecnico a scapito del sentimento di solidarietà di classe, e uno spirito collaborativo con il capitalista e ilsuo management, invasati da una imprenditorialità creativa che insegue l'innovazione e la speculazione. Anche le relazioni sociali subiscono necessarie trasformazioni al punto che, dal lato del lavoratore, prevale l'atteggiamento di considerare gli altri in termini puramente strumentali e utilitaristici (invadenza dello spirito di Bentham ), specie nel milieu della forza lavoro specializzata.
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