Introduzione
L'esperienza della rivoluzione bolivariana non è perfetta, e lo voglio dire subito; alcune conquiste sociali sono passate in secondo piano nell'agenda delle priorità, con particolare riferimento, ad esempio, alle popolazioni indigene; la fase di potere al cittadino, esplicitamente prevista dalla Costituzione del 1999, è ancora ai suoi stadi iniziali, per quanto alcuni fondamentali avanzamenti propedeutici ad un reale autogoverno dal basso siano stati indiscutibilmente realizzati, mentre però cresce, d'altro lato, una burocrazia d'apparato politico, non sempre fondata su criteri meritocratici, accompagnata da fenomeni pericolosi di nepotismo e corruzione che potrebbero snaturare il movimento chavista; e si manifestano sintomi di autoritarismo politico, che potrebbero essere ravvisati nella riforme costituzionali del 2009, che hanno abrogato il limite di mandato per le principali cariche elettive (tutte quante, anche quelle cariche nei governi locali di aree dove l'opposizione ha le sue roccaforti elettorali, e non solo la presidenza della repubblica), o nella proposta di unificare tutto il blocco politico di sinistra all'interno del PSUV (che però è rimasta tale, dato che i partiti politici di sinistra e centrosinistra, anche quelli in forte opposizione a Chávez, continuano a funzionare autonomamente, e che la proposta di Grande Polo Patriottico non prevede la cancellazione dei partiti alleati), o ancora in forme di repressione del dissenso, anche gravi, perché talvolta rivolte contro gli stessi lavoratori (ultimo episodio il fermo di Douglas Bravo, che si accingeva a partire per l'Italia per fornire la sua opinione sulla realtà venezuelana). Tali forme di repressione sono sicuramente da condannare fermamente, ad iniziare dalla richiesta di liberazione di Douglas Bravo, che, per la sua storia, va considerato un uomo di sinistra che in buona fede, e per nobili propositi, critica apertamente il governo chavista (occorrerebbe però anche ricordare come sono proprio le anime nobili quelle che più facilmente cadono nell'inganno della strumentalizzazione politica delle forze borghesi, che come motivo principale della loro contestazione a Chávez avanzano la carenza di democrazia; occorrerebbe però anche ricordare che le principali decisioni politiche di Chávez sono state sistematicamente sottoposte a referendum popolare e che quando, come nel 2007, il Comandante ha perso, ha accettato il responso delle urne e dato riconoscimento all'opposizione).
Così come molto serie sono le critiche relative alla politica estera chavista, a partire dal suo rifiuto di esercitare, quando ne aveva la possibilità in virtù della sua grande forza all'interno del Paese e del suo inattaccato prestigio all'estero, di porsi come guida di un processo rivoluzionario internazionale (come sembrava potesse verificarsi con gli eventi di Mar del Plata). Tuttavia, Chávez, al di là dei proclami e delle buone intenzioni, non ha ancora dato concreto seguito al progetto, da lui stesso caldeggiato già dal 2007, e poi manifestato ufficialmente nel congresso di Caracas di Aprile 2010, di realizzare una Quinta Internazionale. Certo, vi sono numerose spiegazioni per i ritardi attuativi del progetto di Quinta Internazionale: le possibili ripercussioni sul suo potere all'interno del Paese, causate da una più che sicura reazione negativa dell'imperialismo yankee rispetto all'attuazione concreta di una simile idea, le condizioni di salute di Chávez, divenute precarie proprio dopo il congresso dell'aprile del 2010, l'ostracismo dimostrato da alcuni importanti movimenti, come il colombiano PDA, il brasiliano Partito dei Lavoratori, e una certa freddezza da parte del partito comunista cubano, cioè da parte del principale alleato di cui Chávez ha bisogno. Tuttavia, con tutte le possibili spiegazioni, il risultato del progressivo calo di tensione internazionale da parte del bolivarismo, e il progressivo auto-allontanamento di Chávez dal suo possibile ruolo di protagonismo internazionale, si sono tradotti in una politica estera sempre più “difensiva”, in cui le alleanze non vengono scelte in funzione del loro potenziale di sviluppo di un processo rivoluzionario ampio, quanto piuttosto in base alle possibilità di creare un blocco difensivo in chiave anti-USA. E ciò ha prodotto relazioni diplomatiche quantomeno discutibili, come quella con l'Iran. Ed ha influito negativamente sui possibili sviluppi in chiave socialista degli altri movimenti di sinistra latinoamericani, dall'Ecuador di Correa alla Bolivia di Morales, passando per l'Honduras, caduto sotto un golpe reazionario nonostante i tentativi di Chávez di supportare gli sviluppi del governo esautorato di Zelaya.
Le critiche libertarie e da sinistra al chavismo
Con tutte le critiche che si possono fare, però, e mi occuperò qui delle critiche a Chávez che provengono dal campo della sinistra, e non certo di quelle dei partiti borghesi, gli attacchi da “fuoco amico” (o quantomeno, in linea di principio, non nemico) si accentuano ed aumentano di intensità proprio a ridosso di una tornata elettorale, come le presidenziali del 2012, che si annuncia particolarmente difficile per Chávez, in caduta libera di consensi a causa degli effetti della crisi economica globale, che hanno compromesso (soprattutto per il tramite di un forte incremento dell'inflazione) gli effetti redistributivi delle sue politiche, ma anche a causa degli effetti dirompenti, sul voto proletario, della propaganda avversa condotta dalla sinistra.
Tale propaganda avversa, condotta da movimenti libertari, ma anche dalla sinistra comunista, raggiunge livelli talvolta incoerenti rispetto alla gradualità dei processi storici concreti. Si elaborano articoli, che vorrebbero informarci della realtà della rivoluzione bolivariana “fuori dalla propaganda”, che non sempre sono condivisibili. A puro titolo di esempio, un articolo, di tendenza libertaria, di Michel Antony, pubblicato da Utopia Rossa ed intitolato "Un Venezuela bien ambigu sur le front des autonomies" pretende che, in un Paese dominato fino alla fine degli anni Novanta da una delle più retrive borghesie compradore filo-yankee che il Sudamerica ricordi, in cui gli unici esperimenti progressisti (peraltro moderati e fondamentalmente socialdemocratici) di solida durata sono stati quelli di Ròmulo Betancourt, che risale ai primi anni Sessanta, e di Carlos Andrés Pérez a metà degli anni Settanta, con un proletariato nazionale poco sviluppato sotto il profilo della coscienza di classe, ed in un contesto internazionale molto ostile nei confronti del Venezuela, l'autonomia dal basso e l'autogestione della società e dell'economia si realizzino subito e completamente, senza una prima fase di guida e coordinamento statale.
Tale articolo svaluta, descrivendole come poca cosa, le importanti esperienze concrete di cogestione (certo ancora lontane da una vera autogestione) realizzatesi nei circoli bolivariani, nelle misiones sociales, nei CLPP, nei comitati di fabbrica e di lavoro, molto parziali ma comunque rappresentanti forme incoraggianti, ed in molti casi, come ad esempio in quello del superamento delle discriminazioni di genere, con risultati positivi, di coinvolgimento della cittadinanza in progetti di sviluppo o di tipo sociale.
Svaluta il tentativo di creare "comuni socialiste" piene, che assumono la gestione dei servizi pubblici locali e delle politiche abitative e sociali locali, in cui si forma, sia pur ad uno stadio ancora iniziale, una forma di autogestione, con i fenomeni positivi di crescita della partecipazione, di apprendimento dei meccanismi di partecipazione, dibattito, delega dei poteri e controllo dei delegati.
Svaluta una costituzione che pone il potere del cittadino e la democrazia partecipativa fra i principi fondamentali di organizzazione dello Stato.
Svaluta gli enormi sforzi di educazione ed alfabetizzazione delle masse condotti dal chavismo, con i loro positivi risultati (il tasso di alfabetizzazione, che all'inizio degli anni Novanta era di poco inferiore al 90%, nel 2007 raggiunge il 95,2%, valore superiore alla media regionale, fonte UNESCO) che rappresentano la base per l'autonomia e l'autogoverno. Come puoi pretendere di autogovernarti se non sai leggere o scrivere?
Svaluta l'enorme crescita del numero di cooperative finanziate dallo Stato (moltiplicatesi per dieci fra 1998 e 2006), spesso vere e proprie miniere di sperimentazioni di autonomia dei produttori associati, contadini, pescatori, artigiani. Si preferisce liquidare la proliferazione delle cooperative come “ostaggi dello Stato”, perché lo Stato le finanzia, come se esistesse un modo, in regime capitalistico, perché tali cooperative potessero nascere e proliferare da sole e senza supporto pubblico, in un Paese del Terzo Mondo.
Per finire, l'articolo liquida l'importante esperienza della riforma agraria. E' troppo facile considerarla incompleta, parziale o piena di problemi. E' più difficile calare l'analisi di tale processo nella realtà storica concreta in cui si è svolto. La legge di riforma agraria è stata uno dei provvedimenti più ardui da attuare per Chávez, perché ha incontrato una durissima resistenza da parte dell'opposizione, andando a toccare la radice stessa dei privilegi e dello "stile di vita" di una borghesia nazionale il cui albero genealogico affonda nella nobiltà terriera coloniale, e perché molte terre erano gestite da compagnie agroalimentari straniere molto potenti (e vi sono testimonianze dirette di come tale opposizione non si è limitata alle vie legali e politiche, ma anche a sicari che minacciavano direttamente i contadini assegnatari delle terre confiscate al latifondo, per farli recedere). Vorrei far notare che la riforme agraria tentata nel 1960 da Betancourt ha fallito completamente, proprio per l'opposizione di tale blocco di interessi. Nonostante ciò, questa riforma ha spezzato il latifondo, ha redistribuito migliaia di ettari di terre per 60.000 famiglie contadine povere, ha generato numerose cooperative di produzione direttamente gestite dai contadini ed anche dalle popolazioni indigene, avviando percorsi, sia pur parziali, di autonomia produttiva dal basso. E' ovvio che un processo così difficile è stato lento, ha scontato inefficienze, riduzioni anche drammatiche delle rese e dei livelli produttivi, ancor più gravi in un Paese che deve importare il 70% del suo fabbisogno alimentare, ecc. Ma ha anche gettato le basi per una maggiore autonomia dei piccoli produttori e per una rivoluzione agraria che, come la storia ci insegna, è una condizione essenziale per la modernizzazione di un Paese (senza rivoluzione agraria, in genere non vi è rivoluzione industriale, se non parziale).
Però tutti questi elementi, i cui risultati potranno misurarsi solo nel lungo periodo, sono liquidati. Viceversa, si preferisce attaccare il bolivarismo perché Caracas è una delle città più pericolose del mondo, in termini di ordine pubblico, utilizzando argomenti securitari che sono più degni della mia zia piccolo-borghese Genoveffa, che di un libertario.
Un simile approccio scade nell'attacco al "culto della personalità", che fa sì che Antony accosti Chávez al peronismo, commettendo un enorme svarione di analisi storico-politica, senza capire, peraltro, che in un Paese con una cultura politico-istituzionale indebolita da anni di dittature militari e colpi di Stato, anzi per meglio dire mai realmente formata, il culto della personalità ed il mito del caudillo sia un elemento sovrastrutturale inevitabilmente inculcato nell'immaginario politico collettivo, e che quindi per governare un simile Paese occorre anche utilizzare, in una certa misura, la leva del caudillismo (che poi Chávez la utilizzi troppo è un altro paio di maniche, e potrebbe anche essere una critica condivisibile). Questa critica libertaria è pericolosa, sganciata com'è da una analisi reale dei processi storici ed economici concreti e da ciò che pragmaticamente è possibile realizzare in un dato contesto storico. E fa il paio con la critica della sinistra comunista, che, per bocca di un personaggio che non nominerò, accosta Chávez al fascismo, sulla base dell'assunto che qualsiasi capitalismo di Stato sia automaticamente un regime fascista!
La natura sociale del chavismo e la parziale erroneità delle critiche di neo-liberismo surrettizio
E qui veniamo al cuore del problema, ovvero la natura sociale del governo bolivarista. Anche un bambino sarebbe in grado di definirlo, correttamente, come un capitalismo di Stato connotato da aspetti redistributivi ed egualitari molto radicali. La Rivoluzione bolivarista non è una rivoluzione socialista, questo lo sappiamo, come sappiamo bene anche che se Chávez non si deciderà a fare il salto in avanti verso un sistema realmente socialista, le conquiste sociali del suo governo finiranno per ripiegarsi su sé stesse e per regredire. E sappiamo bene che i segni di tale possibile regresso sono già evidenti nella burocratizzazione dello Stato, così come anche nella sostanziale rinuncia, da parte del colonnello, a svolgere un ruolo di catalizzatore internazionale dell'anti imperialismo. Però da qui a dire, come purtroppo fa anche Douglas Bravo, che Chávez sta aprendo le porte al ritorno del neo liberismo...beh è francamente troppo! Sostiene infatti Bravo, in una intervista a Anìbal Garzòn e Roosevelt Barboza, del 15.12.2009, rinvenibile su http://www.soberania.org/Articulos/articulo_5443.htm che “Venezuela es el primer país que inicia en América Latina lo que nosotros llamamos el nuevo modelo de dominación del capitalismo y establecido por el imperio, la empresa mixta. Así se inició, y el pueblo venezolano lo ignora, la privatización de esa energía, que no había antes, y esa modalidad de empresa mixta se está extendiendo por el país...Venezuela aplicó de manera sutil el neoliberalismo con la garantía mas importante que es la conciliación de clases”.
Questa tesi del ritorno al neoliberismo basato sulla nuova privatizzazione del petrolio nazionalizzato nel 1975 purtroppo non regge del tutto, o quantomeno è vera solo in parte, e necessita di essere meglio chiarita. E' vero che nel 1975 Pérez nazionalizzò la PDVSA. Tuttavia, nonostante tale nazionalizzazione, di fatto l'estrazione del petrolio e la sua raffinazione furono privatizzate, a beneficio delle grandi compagnie petrolifere statunitensi ed europee, già a partire degli anni '80, mediante la politica denominata “Apertura petrolera”. Tale politica, fatta di concessioni a privati ed associazioni strategiche fra imprese petrolifere private ed una PDSVA sottratta al controllo dello Stato e fondamentalmente ridotta a “tangentificio”, per attivare progetti di esplorazione e sfruttamento di nuovi pozzi o di pozzi disattivati, comportò “de facto” una totale privatizzazione dell'attività petrolifera nazionale. I risultati finanziari di tale privatizzazione surrettizia sono evidenti: il rapporto fra le entrate fiscali e da royalties dell'attività petrolifera per lo stato venezuelano ed i costi sostenuti da una PDVSA il cui management era totalmente controllato dalle 7 Sorelle passò da 80/20 nel periodo 1976-1979 ad un più modesto 67/33 nel periodo 1990-1996, fino al miserrimo 20/80 nel 2000, ultimo anno in cui si adottò tale scellerata politica (fonte: PDVSA). Tale vero e proprio ladrocinio delle risorse petrolifere nazionali fu alla radice dell'esplosione del debito estero nazionale, avviatasi in modo risoluto già alla fine degli anni Settanta, con il Governo del democristiano Herrera Campins, e ciò nonostante il rapidissimo incremento del prezzo internazionale del petrolio proprio in quegli anni!
Quindi quello che fece Chávez fu di interrompere tale spirale di progressiva estraniazione delle risorse petrolifere nazionali, cessando la politica della porte aperte alle multinazionali petrolifere, riportando PDVSA sotto il controllo del Ministero dell'Energia e delle Miniere, anziché sotto il controllo delle 7 Sorelle, e rinegoziando i contratti petroliferi con i privati in senso molto più favorevole per l'erario del Paese (nel 2005, gli introiti pubblici da petrolio, fiscali e para-fiscali, ammontano a quasi 45 miliardi di dollari, mentre nel 2000 erano pari a 10 miliardi, senza contare i 25 miliardi risparmiati grazie all'uscita di PDVSA da joint ventures con privati in perdita, in cui il soggetto pubblico ripianava parte del debito privato, fonte PDVSA) oltre che costringendo PDVSA a finanziare direttamente molti dei programmi sociali che il Governo chavista gestisce, sotto la forma delle misiones sociales, o del Fondespa, che finanzia opere pubbliche, e programmi agricoli, di sanità e di educazione, oppure i nuclei di sviluppo endogeno (NDE), ovvero programmi di sviluppo locale in comunità particolarmente svantaggiate. Per il solo 2005, PDVSA ha speso più di 7 miliardi di dollari per tali iniziative, che si vanno ad aggiungere ai fondi erogati dal Governo, soprattutto grazie al gettito fiscale legato al petrolio stesso. Se vi sembra un cambiamento da poco rispetto ai decenni precedenti, fatemelo sapere!
Se qualcuno avesse dei dubbi circa la perdita di convenienze economiche per le 7 Sorelle che il nuovo regime legale introdotto da Chávez ha prodotto, basterebbe pensare al tentativo di rivolta del 2002, quando forze legate all'opposizione borghese cercarono di promuovere uno sciopero fra i lavoratori della PDVSA, seguendo le istruzioni del sindacato centrista CTV, sciopero cui aderirono le componenti più legate alla direzione (impiegati, manager e tecnici) e la società Intesa, controllata dall'azienda statunitense SAIC, manomise il sistema informatico aziendale per danneggiare l'attività produttiva (l'attività estrattiva, infatti, calò del 68%). Tale sciopero, orchestrato dalla borghesia nazionale e dagli USA, provocò un incremento del tasso di disoccupazione di 5 punti in un anno. Se Chávez avesse veramente perseguito un progetto neoliberista di ri-privatizzazione dell'industria petrolifera nazionale, perché mai la borghesia nazionale e gli USA avrebbero dovuto cercare di boicottarlo? E nessuno si ricorda degli analoghi boicottaggi condotti ai danni del governo di Allende nei primi anni Settanta?
Naturalmente le anime belle controbattono che la Ley Orgànica de Hidrocarburos varata da Chávez nel 2001 sia la base di questo ritorno al neo liberismo nell'industria energetica nazionale, perché autorizza la costituzione di imprese miste pubblico/private nelle fasi di prospezione, estrazione e raffinazione. Cioè, in pratica, secondo questi ineffabili dal cuore incorrotto, la fase in cui PDSVA era alla mercé dei privati, e le concessioni petrolifere, oltre che le joint ventures pubblico/private, erano stipulate ai danni esclusivi dello Stato, era una fase in cui le risorse petrolifere nazionali erano del popolo, mentre l'attuale fase, in cui le joint ventures che danno luogo alle imprese miste sono riequilibrate per garantire un migliore rapporto fra introiti e spese a favore dello Stato, è una fase di “ritorno al liberismo”. Che follia...E poi la legge andrebbe letta per bene, prima di parlare. Tale legge stabilisce, in primis, un principio generale, ovvero che tutti i giacimenti che si trovano sul territorio nazionale sono di esclusiva proprietà pubblica, inalienabili ed imprescrittibili (art. 3). E va beh, direte, questo è vero anche in Italia...Però in Italia non c'è un articolo come l'art. 5, che stabilisce che le risorse energetiche sono dirette a fomentare lo sviluppo integrale, organico e sostenuto del Paese, e che gli introiti fiscali e parafiscali derivanti dall'estrazione sono destinati in via preponderante a finanziare la sanità, l'educazione, la formazione di fondi a sostegno della domanda. E non c'è un articolo come il 32, in cui si stabilisce che i lavoratori del settore petrolifero hanno la garanzia della stabilità occupazionale, che lo Stato assicurerà il corretto funzionamento della contrattazione collettiva e lo sfruttamento dei diritti rivenienti dalle rivendicazioni sociali, economiche, assistenziali, sindacali, ecc.
Dopodiché le benedette imprese miste compaiono nell'art.22, dove si stabilisce che le attività primarie (prospezione ed estrazione) saranno svolte dallo Stato, da imprese statali o da imprese miste, purché la quota azionaria dello Stato sia superiore al 50%. quindi altro che imprese miste: tecnicamente si tratta di imprese pubbliche, con una partecipazione minoritaria dei privati. Solo nel settore della raffinazione si può avere una impresa mista a partecipazione privata maggioritaria, o completamente privata (art. 50). Peraltro, con legge del 2009, lo Stato ri-nazionalizza una serie di attività accessorie a quella energetica (iniziezione di acqua, compressione di gas, trasporti, servizi di manutenzione, ecc.) Dove sarebbe dunque la pretesa “neo-privatizzazione” del settore energetico nazionale, agitata da sinistra come supposta prova della natura liberista del chavismo?
Viceversa, nessuno dei critici di Chávez sottolinea come la possibilità, da parte del partito comunista venezuelano, di partecipare alla coalizione di governo, fa sì che su iniziativa dei comunisti si stia portando avanti, in Parlamento, una legge organica per il lavoro che riorganizzerà su basi di reale controllo operaio fabbriche e luoghi di lavoro, nonché sindacati.
Conclusione (triste)
La verità, ed è una verità triste, è una e solo una. E si annida nel fondo dell'incapacità della sinistra di costruire il proprio edificio partendo dalle basi, e delal sua propensione a distruggere tutto ciò che inizia a funzionare, sia pur in modo imperfetto, perché non corrisponde ad una visione idealizzata del mondo. Vivimo in un periodo in cui le ragioni e le capacità di mobilitazione della sinistra, a livello mondiale, hanno raggiunto il punto minimo. Occorrerebbe quindi capitalizzare e valorizzare le esperienze, per quanto imperfette e fallaci, che ci vengono proposte, anziché dare una mano alla borghesia per lastricarle. Tra l'altro non ce n'è bisogno, il capitalismo è bravissimo a distruggere ogni fermento, sia pur minimo, di socialismo, senza essere aiutato. Bisognerebbe adottare la metafora sportiva del rugby: una squadra vincente di rugby non è quella che, in un botto solo e con una azione travolgente e spettacolare, parte dalla propria area di mèta e raggiunge la mèta avversaria in un colpo solo, baciata in fronte dal Sol dell'Avvenire. La squadra vincente di rugby è quella che, centimetro per centimetro, con fatica e pazienza, con tanti tentativi ed errori, avanza nel territorio avversario, fino ad arrivare infine all'agognata mèta.
Quindi nessuno vuole evitare la critica nei confronti del chavismo. Il diritto di critica è il sale del miglioramento, è l'incentivo che ci spinge a crescere. Però occorrerebbe avere l'intelligenza di capire che non si può buttare tutto a mare ogni volta, per ricominciare da capo, ma che dalle esperienze parziali, o imperfette, occorre partire per costruire qualcosa di migliore, in un processo iterativo che raggiunga alla fine una situazione soddisfacente. La perfezione è nemica del bene. Tutto è criticabile e perfettibile, costruendo però dalle fondamenta. Ed avendo anche l'intelligenza di capire quando è il momento di criticare e quando sarebbe invece meglio stare tutti uniti per difendere un esperimento, per quanto imperfetto esso sia, perché la distruzione dell'esperimento stesso condurrebbe la nostra squadra a perdere terreno, e porterebbe la squadra avversaria del Capitale a conquistarne un po'. In questo quadro, siamo sicuri che alla vigilia di una tornata elettorale difficilissima come quella del 2012, nella quale Chávez e il suo movimento rischiano di essere defenestrati per ripristinare un governo pienamente borghese, la critica feroce e intransigente, da parte della sinistra, sia un atteggiamento intelligente? Io dico che è un atteggiamento controproducente.
Il processo di formazione di una coscienza di classe è molto complesso e difficile, specie in un Paese a debole tasso di industrializzazione e dove il livello di sviluppo delle forze produttive è modesto, come tipicamente un Paese in via di sivluppo quale il Venezuela. C'è addirittura chi sostiene che la coscienza di classe si forma dopo che il partito di avanguardia guidato dalle élites procede ad una rivoluzione, e non prima. Quindi le critiche di sinistra, anche oneste, rispetto ai processi rivoluzionari nei Paesi economicamente e socialmente arretrati, si scontrano con un livello di organizzazione, di capacità di mobilitazione e di coscienza di classe particolarmente debole e sottosviluppato. In queste situazioni, governi che si pongono obiettivi anti imperialistici in politica estera, e redistributivi ed educativi in politica interna, come indiscutibilmente è quello di Chávez, svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo dei rapporti sociali di produzione e nella maturazione delle forze produttive, in direzione di possibili sviluppi rivoluzionari, che non nascono dal nulla (persino nella sottosviluppata ed agricola Russia del 1917 vi è stato un periodo, abbastanza lungo, di maturazione delle pre-condizioni, anche sovrastrutturali, per la rivoluzione, che può rinvenirsi nei movimenti populisti degli anni settanta del 19° secolo). Quindi certo, andiamo avanti rispetto ai ritardi del chavismo, ma non buttiamo via le sue conquiste, perché allora anziché andare avanti torneremmo indietro, e questo sviluppo purtroppo coinvolgerebbe non solo il Venezuela, ma tutto il movimento progressista del continente latino americano. E' interesse della classe lavoratrice che Chávez vinca nel 2012, come è suo interesse che, sotto il pungolo delle critiche, egli porti avanti un reale processo rivoluzionario.
Le critiche libertarie e da sinistra al chavismo
Con tutte le critiche che si possono fare, però, e mi occuperò qui delle critiche a Chávez che provengono dal campo della sinistra, e non certo di quelle dei partiti borghesi, gli attacchi da “fuoco amico” (o quantomeno, in linea di principio, non nemico) si accentuano ed aumentano di intensità proprio a ridosso di una tornata elettorale, come le presidenziali del 2012, che si annuncia particolarmente difficile per Chávez, in caduta libera di consensi a causa degli effetti della crisi economica globale, che hanno compromesso (soprattutto per il tramite di un forte incremento dell'inflazione) gli effetti redistributivi delle sue politiche, ma anche a causa degli effetti dirompenti, sul voto proletario, della propaganda avversa condotta dalla sinistra.
Tale propaganda avversa, condotta da movimenti libertari, ma anche dalla sinistra comunista, raggiunge livelli talvolta incoerenti rispetto alla gradualità dei processi storici concreti. Si elaborano articoli, che vorrebbero informarci della realtà della rivoluzione bolivariana “fuori dalla propaganda”, che non sempre sono condivisibili. A puro titolo di esempio, un articolo, di tendenza libertaria, di Michel Antony, pubblicato da Utopia Rossa ed intitolato "Un Venezuela bien ambigu sur le front des autonomies" pretende che, in un Paese dominato fino alla fine degli anni Novanta da una delle più retrive borghesie compradore filo-yankee che il Sudamerica ricordi, in cui gli unici esperimenti progressisti (peraltro moderati e fondamentalmente socialdemocratici) di solida durata sono stati quelli di Ròmulo Betancourt, che risale ai primi anni Sessanta, e di Carlos Andrés Pérez a metà degli anni Settanta, con un proletariato nazionale poco sviluppato sotto il profilo della coscienza di classe, ed in un contesto internazionale molto ostile nei confronti del Venezuela, l'autonomia dal basso e l'autogestione della società e dell'economia si realizzino subito e completamente, senza una prima fase di guida e coordinamento statale.
Tale articolo svaluta, descrivendole come poca cosa, le importanti esperienze concrete di cogestione (certo ancora lontane da una vera autogestione) realizzatesi nei circoli bolivariani, nelle misiones sociales, nei CLPP, nei comitati di fabbrica e di lavoro, molto parziali ma comunque rappresentanti forme incoraggianti, ed in molti casi, come ad esempio in quello del superamento delle discriminazioni di genere, con risultati positivi, di coinvolgimento della cittadinanza in progetti di sviluppo o di tipo sociale.
Svaluta il tentativo di creare "comuni socialiste" piene, che assumono la gestione dei servizi pubblici locali e delle politiche abitative e sociali locali, in cui si forma, sia pur ad uno stadio ancora iniziale, una forma di autogestione, con i fenomeni positivi di crescita della partecipazione, di apprendimento dei meccanismi di partecipazione, dibattito, delega dei poteri e controllo dei delegati.
Svaluta una costituzione che pone il potere del cittadino e la democrazia partecipativa fra i principi fondamentali di organizzazione dello Stato.
Svaluta gli enormi sforzi di educazione ed alfabetizzazione delle masse condotti dal chavismo, con i loro positivi risultati (il tasso di alfabetizzazione, che all'inizio degli anni Novanta era di poco inferiore al 90%, nel 2007 raggiunge il 95,2%, valore superiore alla media regionale, fonte UNESCO) che rappresentano la base per l'autonomia e l'autogoverno. Come puoi pretendere di autogovernarti se non sai leggere o scrivere?
Svaluta l'enorme crescita del numero di cooperative finanziate dallo Stato (moltiplicatesi per dieci fra 1998 e 2006), spesso vere e proprie miniere di sperimentazioni di autonomia dei produttori associati, contadini, pescatori, artigiani. Si preferisce liquidare la proliferazione delle cooperative come “ostaggi dello Stato”, perché lo Stato le finanzia, come se esistesse un modo, in regime capitalistico, perché tali cooperative potessero nascere e proliferare da sole e senza supporto pubblico, in un Paese del Terzo Mondo.
Per finire, l'articolo liquida l'importante esperienza della riforma agraria. E' troppo facile considerarla incompleta, parziale o piena di problemi. E' più difficile calare l'analisi di tale processo nella realtà storica concreta in cui si è svolto. La legge di riforma agraria è stata uno dei provvedimenti più ardui da attuare per Chávez, perché ha incontrato una durissima resistenza da parte dell'opposizione, andando a toccare la radice stessa dei privilegi e dello "stile di vita" di una borghesia nazionale il cui albero genealogico affonda nella nobiltà terriera coloniale, e perché molte terre erano gestite da compagnie agroalimentari straniere molto potenti (e vi sono testimonianze dirette di come tale opposizione non si è limitata alle vie legali e politiche, ma anche a sicari che minacciavano direttamente i contadini assegnatari delle terre confiscate al latifondo, per farli recedere). Vorrei far notare che la riforme agraria tentata nel 1960 da Betancourt ha fallito completamente, proprio per l'opposizione di tale blocco di interessi. Nonostante ciò, questa riforma ha spezzato il latifondo, ha redistribuito migliaia di ettari di terre per 60.000 famiglie contadine povere, ha generato numerose cooperative di produzione direttamente gestite dai contadini ed anche dalle popolazioni indigene, avviando percorsi, sia pur parziali, di autonomia produttiva dal basso. E' ovvio che un processo così difficile è stato lento, ha scontato inefficienze, riduzioni anche drammatiche delle rese e dei livelli produttivi, ancor più gravi in un Paese che deve importare il 70% del suo fabbisogno alimentare, ecc. Ma ha anche gettato le basi per una maggiore autonomia dei piccoli produttori e per una rivoluzione agraria che, come la storia ci insegna, è una condizione essenziale per la modernizzazione di un Paese (senza rivoluzione agraria, in genere non vi è rivoluzione industriale, se non parziale).
Però tutti questi elementi, i cui risultati potranno misurarsi solo nel lungo periodo, sono liquidati. Viceversa, si preferisce attaccare il bolivarismo perché Caracas è una delle città più pericolose del mondo, in termini di ordine pubblico, utilizzando argomenti securitari che sono più degni della mia zia piccolo-borghese Genoveffa, che di un libertario.
Un simile approccio scade nell'attacco al "culto della personalità", che fa sì che Antony accosti Chávez al peronismo, commettendo un enorme svarione di analisi storico-politica, senza capire, peraltro, che in un Paese con una cultura politico-istituzionale indebolita da anni di dittature militari e colpi di Stato, anzi per meglio dire mai realmente formata, il culto della personalità ed il mito del caudillo sia un elemento sovrastrutturale inevitabilmente inculcato nell'immaginario politico collettivo, e che quindi per governare un simile Paese occorre anche utilizzare, in una certa misura, la leva del caudillismo (che poi Chávez la utilizzi troppo è un altro paio di maniche, e potrebbe anche essere una critica condivisibile). Questa critica libertaria è pericolosa, sganciata com'è da una analisi reale dei processi storici ed economici concreti e da ciò che pragmaticamente è possibile realizzare in un dato contesto storico. E fa il paio con la critica della sinistra comunista, che, per bocca di un personaggio che non nominerò, accosta Chávez al fascismo, sulla base dell'assunto che qualsiasi capitalismo di Stato sia automaticamente un regime fascista!
La natura sociale del chavismo e la parziale erroneità delle critiche di neo-liberismo surrettizio
E qui veniamo al cuore del problema, ovvero la natura sociale del governo bolivarista. Anche un bambino sarebbe in grado di definirlo, correttamente, come un capitalismo di Stato connotato da aspetti redistributivi ed egualitari molto radicali. La Rivoluzione bolivarista non è una rivoluzione socialista, questo lo sappiamo, come sappiamo bene anche che se Chávez non si deciderà a fare il salto in avanti verso un sistema realmente socialista, le conquiste sociali del suo governo finiranno per ripiegarsi su sé stesse e per regredire. E sappiamo bene che i segni di tale possibile regresso sono già evidenti nella burocratizzazione dello Stato, così come anche nella sostanziale rinuncia, da parte del colonnello, a svolgere un ruolo di catalizzatore internazionale dell'anti imperialismo. Però da qui a dire, come purtroppo fa anche Douglas Bravo, che Chávez sta aprendo le porte al ritorno del neo liberismo...beh è francamente troppo! Sostiene infatti Bravo, in una intervista a Anìbal Garzòn e Roosevelt Barboza, del 15.12.2009, rinvenibile su http://www.soberania.org/Articulos/articulo_5443.htm che “Venezuela es el primer país que inicia en América Latina lo que nosotros llamamos el nuevo modelo de dominación del capitalismo y establecido por el imperio, la empresa mixta. Así se inició, y el pueblo venezolano lo ignora, la privatización de esa energía, que no había antes, y esa modalidad de empresa mixta se está extendiendo por el país...Venezuela aplicó de manera sutil el neoliberalismo con la garantía mas importante que es la conciliación de clases”.
Questa tesi del ritorno al neoliberismo basato sulla nuova privatizzazione del petrolio nazionalizzato nel 1975 purtroppo non regge del tutto, o quantomeno è vera solo in parte, e necessita di essere meglio chiarita. E' vero che nel 1975 Pérez nazionalizzò la PDVSA. Tuttavia, nonostante tale nazionalizzazione, di fatto l'estrazione del petrolio e la sua raffinazione furono privatizzate, a beneficio delle grandi compagnie petrolifere statunitensi ed europee, già a partire degli anni '80, mediante la politica denominata “Apertura petrolera”. Tale politica, fatta di concessioni a privati ed associazioni strategiche fra imprese petrolifere private ed una PDSVA sottratta al controllo dello Stato e fondamentalmente ridotta a “tangentificio”, per attivare progetti di esplorazione e sfruttamento di nuovi pozzi o di pozzi disattivati, comportò “de facto” una totale privatizzazione dell'attività petrolifera nazionale. I risultati finanziari di tale privatizzazione surrettizia sono evidenti: il rapporto fra le entrate fiscali e da royalties dell'attività petrolifera per lo stato venezuelano ed i costi sostenuti da una PDVSA il cui management era totalmente controllato dalle 7 Sorelle passò da 80/20 nel periodo 1976-1979 ad un più modesto 67/33 nel periodo 1990-1996, fino al miserrimo 20/80 nel 2000, ultimo anno in cui si adottò tale scellerata politica (fonte: PDVSA). Tale vero e proprio ladrocinio delle risorse petrolifere nazionali fu alla radice dell'esplosione del debito estero nazionale, avviatasi in modo risoluto già alla fine degli anni Settanta, con il Governo del democristiano Herrera Campins, e ciò nonostante il rapidissimo incremento del prezzo internazionale del petrolio proprio in quegli anni!
Quindi quello che fece Chávez fu di interrompere tale spirale di progressiva estraniazione delle risorse petrolifere nazionali, cessando la politica della porte aperte alle multinazionali petrolifere, riportando PDVSA sotto il controllo del Ministero dell'Energia e delle Miniere, anziché sotto il controllo delle 7 Sorelle, e rinegoziando i contratti petroliferi con i privati in senso molto più favorevole per l'erario del Paese (nel 2005, gli introiti pubblici da petrolio, fiscali e para-fiscali, ammontano a quasi 45 miliardi di dollari, mentre nel 2000 erano pari a 10 miliardi, senza contare i 25 miliardi risparmiati grazie all'uscita di PDVSA da joint ventures con privati in perdita, in cui il soggetto pubblico ripianava parte del debito privato, fonte PDVSA) oltre che costringendo PDVSA a finanziare direttamente molti dei programmi sociali che il Governo chavista gestisce, sotto la forma delle misiones sociales, o del Fondespa, che finanzia opere pubbliche, e programmi agricoli, di sanità e di educazione, oppure i nuclei di sviluppo endogeno (NDE), ovvero programmi di sviluppo locale in comunità particolarmente svantaggiate. Per il solo 2005, PDVSA ha speso più di 7 miliardi di dollari per tali iniziative, che si vanno ad aggiungere ai fondi erogati dal Governo, soprattutto grazie al gettito fiscale legato al petrolio stesso. Se vi sembra un cambiamento da poco rispetto ai decenni precedenti, fatemelo sapere!
Se qualcuno avesse dei dubbi circa la perdita di convenienze economiche per le 7 Sorelle che il nuovo regime legale introdotto da Chávez ha prodotto, basterebbe pensare al tentativo di rivolta del 2002, quando forze legate all'opposizione borghese cercarono di promuovere uno sciopero fra i lavoratori della PDVSA, seguendo le istruzioni del sindacato centrista CTV, sciopero cui aderirono le componenti più legate alla direzione (impiegati, manager e tecnici) e la società Intesa, controllata dall'azienda statunitense SAIC, manomise il sistema informatico aziendale per danneggiare l'attività produttiva (l'attività estrattiva, infatti, calò del 68%). Tale sciopero, orchestrato dalla borghesia nazionale e dagli USA, provocò un incremento del tasso di disoccupazione di 5 punti in un anno. Se Chávez avesse veramente perseguito un progetto neoliberista di ri-privatizzazione dell'industria petrolifera nazionale, perché mai la borghesia nazionale e gli USA avrebbero dovuto cercare di boicottarlo? E nessuno si ricorda degli analoghi boicottaggi condotti ai danni del governo di Allende nei primi anni Settanta?
Naturalmente le anime belle controbattono che la Ley Orgànica de Hidrocarburos varata da Chávez nel 2001 sia la base di questo ritorno al neo liberismo nell'industria energetica nazionale, perché autorizza la costituzione di imprese miste pubblico/private nelle fasi di prospezione, estrazione e raffinazione. Cioè, in pratica, secondo questi ineffabili dal cuore incorrotto, la fase in cui PDSVA era alla mercé dei privati, e le concessioni petrolifere, oltre che le joint ventures pubblico/private, erano stipulate ai danni esclusivi dello Stato, era una fase in cui le risorse petrolifere nazionali erano del popolo, mentre l'attuale fase, in cui le joint ventures che danno luogo alle imprese miste sono riequilibrate per garantire un migliore rapporto fra introiti e spese a favore dello Stato, è una fase di “ritorno al liberismo”. Che follia...E poi la legge andrebbe letta per bene, prima di parlare. Tale legge stabilisce, in primis, un principio generale, ovvero che tutti i giacimenti che si trovano sul territorio nazionale sono di esclusiva proprietà pubblica, inalienabili ed imprescrittibili (art. 3). E va beh, direte, questo è vero anche in Italia...Però in Italia non c'è un articolo come l'art. 5, che stabilisce che le risorse energetiche sono dirette a fomentare lo sviluppo integrale, organico e sostenuto del Paese, e che gli introiti fiscali e parafiscali derivanti dall'estrazione sono destinati in via preponderante a finanziare la sanità, l'educazione, la formazione di fondi a sostegno della domanda. E non c'è un articolo come il 32, in cui si stabilisce che i lavoratori del settore petrolifero hanno la garanzia della stabilità occupazionale, che lo Stato assicurerà il corretto funzionamento della contrattazione collettiva e lo sfruttamento dei diritti rivenienti dalle rivendicazioni sociali, economiche, assistenziali, sindacali, ecc.
Dopodiché le benedette imprese miste compaiono nell'art.22, dove si stabilisce che le attività primarie (prospezione ed estrazione) saranno svolte dallo Stato, da imprese statali o da imprese miste, purché la quota azionaria dello Stato sia superiore al 50%. quindi altro che imprese miste: tecnicamente si tratta di imprese pubbliche, con una partecipazione minoritaria dei privati. Solo nel settore della raffinazione si può avere una impresa mista a partecipazione privata maggioritaria, o completamente privata (art. 50). Peraltro, con legge del 2009, lo Stato ri-nazionalizza una serie di attività accessorie a quella energetica (iniziezione di acqua, compressione di gas, trasporti, servizi di manutenzione, ecc.) Dove sarebbe dunque la pretesa “neo-privatizzazione” del settore energetico nazionale, agitata da sinistra come supposta prova della natura liberista del chavismo?
Viceversa, nessuno dei critici di Chávez sottolinea come la possibilità, da parte del partito comunista venezuelano, di partecipare alla coalizione di governo, fa sì che su iniziativa dei comunisti si stia portando avanti, in Parlamento, una legge organica per il lavoro che riorganizzerà su basi di reale controllo operaio fabbriche e luoghi di lavoro, nonché sindacati.
Conclusione (triste)
La verità, ed è una verità triste, è una e solo una. E si annida nel fondo dell'incapacità della sinistra di costruire il proprio edificio partendo dalle basi, e delal sua propensione a distruggere tutto ciò che inizia a funzionare, sia pur in modo imperfetto, perché non corrisponde ad una visione idealizzata del mondo. Vivimo in un periodo in cui le ragioni e le capacità di mobilitazione della sinistra, a livello mondiale, hanno raggiunto il punto minimo. Occorrerebbe quindi capitalizzare e valorizzare le esperienze, per quanto imperfette e fallaci, che ci vengono proposte, anziché dare una mano alla borghesia per lastricarle. Tra l'altro non ce n'è bisogno, il capitalismo è bravissimo a distruggere ogni fermento, sia pur minimo, di socialismo, senza essere aiutato. Bisognerebbe adottare la metafora sportiva del rugby: una squadra vincente di rugby non è quella che, in un botto solo e con una azione travolgente e spettacolare, parte dalla propria area di mèta e raggiunge la mèta avversaria in un colpo solo, baciata in fronte dal Sol dell'Avvenire. La squadra vincente di rugby è quella che, centimetro per centimetro, con fatica e pazienza, con tanti tentativi ed errori, avanza nel territorio avversario, fino ad arrivare infine all'agognata mèta.
Quindi nessuno vuole evitare la critica nei confronti del chavismo. Il diritto di critica è il sale del miglioramento, è l'incentivo che ci spinge a crescere. Però occorrerebbe avere l'intelligenza di capire che non si può buttare tutto a mare ogni volta, per ricominciare da capo, ma che dalle esperienze parziali, o imperfette, occorre partire per costruire qualcosa di migliore, in un processo iterativo che raggiunga alla fine una situazione soddisfacente. La perfezione è nemica del bene. Tutto è criticabile e perfettibile, costruendo però dalle fondamenta. Ed avendo anche l'intelligenza di capire quando è il momento di criticare e quando sarebbe invece meglio stare tutti uniti per difendere un esperimento, per quanto imperfetto esso sia, perché la distruzione dell'esperimento stesso condurrebbe la nostra squadra a perdere terreno, e porterebbe la squadra avversaria del Capitale a conquistarne un po'. In questo quadro, siamo sicuri che alla vigilia di una tornata elettorale difficilissima come quella del 2012, nella quale Chávez e il suo movimento rischiano di essere defenestrati per ripristinare un governo pienamente borghese, la critica feroce e intransigente, da parte della sinistra, sia un atteggiamento intelligente? Io dico che è un atteggiamento controproducente.
Il processo di formazione di una coscienza di classe è molto complesso e difficile, specie in un Paese a debole tasso di industrializzazione e dove il livello di sviluppo delle forze produttive è modesto, come tipicamente un Paese in via di sivluppo quale il Venezuela. C'è addirittura chi sostiene che la coscienza di classe si forma dopo che il partito di avanguardia guidato dalle élites procede ad una rivoluzione, e non prima. Quindi le critiche di sinistra, anche oneste, rispetto ai processi rivoluzionari nei Paesi economicamente e socialmente arretrati, si scontrano con un livello di organizzazione, di capacità di mobilitazione e di coscienza di classe particolarmente debole e sottosviluppato. In queste situazioni, governi che si pongono obiettivi anti imperialistici in politica estera, e redistributivi ed educativi in politica interna, come indiscutibilmente è quello di Chávez, svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo dei rapporti sociali di produzione e nella maturazione delle forze produttive, in direzione di possibili sviluppi rivoluzionari, che non nascono dal nulla (persino nella sottosviluppata ed agricola Russia del 1917 vi è stato un periodo, abbastanza lungo, di maturazione delle pre-condizioni, anche sovrastrutturali, per la rivoluzione, che può rinvenirsi nei movimenti populisti degli anni settanta del 19° secolo). Quindi certo, andiamo avanti rispetto ai ritardi del chavismo, ma non buttiamo via le sue conquiste, perché allora anziché andare avanti torneremmo indietro, e questo sviluppo purtroppo coinvolgerebbe non solo il Venezuela, ma tutto il movimento progressista del continente latino americano. E' interesse della classe lavoratrice che Chávez vinca nel 2012, come è suo interesse che, sotto il pungolo delle critiche, egli porti avanti un reale processo rivoluzionario.
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