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sabato 1 ottobre 2011

La borghesia stacca il tubo dell'ossigeno a Berlusconi, di Riccardo Achilli

di Riccardo Achilli


Stamattina Confindustria, ABI (Associazione Bancaria italiana), ANIA (Associazione Nazionale delle Imprese Assicuratrici) ed altre rappresentanze della borghesia hanno presentato al Governo un documento per il rilancio dell'accumulazione, bloccata dalla lunga stagnazione indotta dalla crisi in atto. Tale documento è articolato in cinque punti, uno peggiore dell'altro per il proletariato, già duramente martoriato. Tali punti sono:
a) una riforma fiscale, che riduca il costo del lavoro, prolungando la deduzione dalla base imponibile IRAP delle spese relative agli apprendisti. Poi, incentivare l'innovazione, aumentando gli sgravi fiscali per i capitali investiti in ricerca e sviluppo e introducendo forme di incentivazione stabili a sostegno delle quote di salario correlate ad incrementi di produttività ed efficienza. Terzo, prevedere da subito "l'aiuto alla crescita economica (ACE)" previsto dalla bozza di legge delega per la riforma fiscale e assistenziale, che consente una riduzione del prelievo Ires commisurata al nuovo capitale immesso nell'impresa. Infine, un più dur contrasto all'evasione fiscale, mediante un utilizzo più ampio di moneta elettronica tracciabile. Da notare che gli sgravi fiscali proposti riguardano soltanto le imprese, e non le persone fisiche;
b) la cessione del patrimonio immobiliare pubblico. I proventi potrebbero essere utilizzati "al di fuori dei limiti del Patto di stabilità interno, per opere pubbliche, manutenzione straordinaria e ristrutturazione del patrimonio esistente, anche a fini di efficienza energetica" (non certo per interventi di contrasto alla crescente povertà, quindi, ma solo per le imprese di costruzione ed energetiche);
c) le liberalizzazioni. La formula è chiara: liberalizzare tutto. Trasporti, attività economiche, servizi professionali, vietando la fissazione di tariffe e riformando gli ordini professionali. Inoltre, privatizzare i servizi pubblici locali.
d) la semplificazione della P.A. Per la semplificazione, bisogna investire nell'informatizzazione dei processi e dei documenti, così da velocizzare il rapporto tra imprese e pubblica amministrazione, prevedendo l'obbligo per tutte le PA di pubblicare tutto sul sito internet. Senza dimenticare la giustizia civile, di cui vanno migliorati i tempi, aumentando l'efficienza degli uffici, la specializzazione dei magistrati e puntando molto di più sulla mediazione dei contenziosi (che è il metodo migliore per non fare giustizia, ma per liquidare il più rapidamente possibile le pratiche);
e) le infrastrutture: concentrare le risorse su poche infrastrutture strategiche, soprattutto di tipo logistico ed energetico, con un crescente coinvolgimento del capitale privato mediante strumenti di project financing.
E' evidente che tale documento segna una ulteriore, fondamentale tappa nel processo di epilogo della parabola politica di Berlusconi. Il tono ultimativo, ed assolutamente irrituale rispetto al rapporto dialettico, anche critico, ma comunque solido, finora esistito fra il berlusconismo e l'imprenditoria italiana, con cui la Marcegaglia accompagna questo documento (o si fa quanto richiesto o abbandoneremo tutti i tavoli negoziali con il governo) segna una svolta. Le richieste ivi contenute non sono attuabili, o per vincoli di finanza pubblica o per motivi di tenuta elettorale (si pensi ad es. alle proposte di liberalizzazione delle professioni, che metterebbero a rischio un bacino elettorale importante per il PDL) ed infatti sia Sacconi che Brunetta, due autentici ascari degli interessi della borghesia nell'attuale governo, hanno accolto questo documento con sarcasmo. La nostra borghesia lo sa benissimo, ed accelera in questo modo la caduta di Berlusconi, perché ha già scelto il suo nuovo cavallo: il PD ed il centro-sinistra dovranno rappresentarne gli interessi nel prossimo futuro. Berlusconi è oramai considerato un cavallo imbolsito. Napolitano farà da cerimoniere a questo cambio di cavalcatura della nostra fantasiosa borghesia che, nel pieno di una crisi epocale, non può fare a meno di avviare una guerra al suo interno (fra borghesia produttiva e borghesia libero-professionale, cui, tramite le liberalizzazioni, viene chiesta una riduzione della ricchezza prelevata alla fase produttiva). L'ulteriore smantellamento dei controlli pubblici sul mercato, attuato tramite le liberalizzazioni, non deve trarre in inganno. Da un lato si chiedono le mani sempre più libere per ridurre le tutele dei lavoratori e dei pensionati e per entrare in nuove aree di business (i servizi pubblici locali, la cui privatizzazione significherà soltanto un ulteriore fardello di costi aggiuntivi per i lavoratori e le loro famiglie ed un ingresso in aree di vitale interesse per la vita dei cittadini, come l'erogazione delle utilities, ivi comprese quelle idriche, come dimostrano i tentativi allo studio di aggirare gli esiti referendari, e un domani anche la sanità, il cui controllo garantirà alla borghesia un potere di ricatto totale sulla società. Ma in tale direzione è opportuno riflettere anche sulla richiesta di un maggior ruolo dei privati nella realizzazione e gestione delle infrastrutture logistiche, elementi vitali di funzionamento di un Paese, cheu n domani potrebbero essere gestite in project financing da privati, con costi e tariffe da libero mercato), e dall'altro si chiedono soldi pubblici a spron battuto. Dietro la facciata liberista, avanza un progetto autoritario, che mira a rafforzare il potere della borghesia sull'economia e sulle forze produttive (e quindi sulla società), con uno Stato ridotto a mero finanziatore, e con un definitivo azzeramento dello Stato-provvidenza (ovvero del residuo ruolo keynesiano di regolatore degli interessi sociali che ancora sussite). E' invece significativo il fatto che le privatizzazioni si riferiscano soltanto ai servizi pubblici locali, mentre la Marcegaglia ha esplicitamente escluso da questo campo l'ENI, l'ENEL, Finmeccanica, ovvero quello che resta delle partecipazioni statali. Infatti, in tali settori la borghesia nazionale non ha le forze per promuovere la riprsea di un tasso di accumulazione, per cui il permanere di un capitalismo di Stato è funzionale, in determinati settori ad alta intensità di capitale, alla ripresa degli investimenti, che i privati non sono in grado di supportare. Infatti, in tali settori ad elevata intensità di capitale fisso (cioè ad elevata composizione organica del capitale), l'accumulazione richiede livelli di investimento che la nostra rachitica borghesia di padroncini e capi-famiglia non può permettersi di erogare, e che un sistema bancario alle prese con l'esigenza di strignere i cordoni del credito, per via di Basilea 3 e della nuova crisi sui debiti sovrani, non può sostenere. Il centro-sinistra, e non Berlusconi, sarà chiamato a realizzare questo odioso progetto, non è un caso se il rappresentante economico del PD, Fassina, abbia accolto in modo molto positivo tale documento. Cisl e Uil hanno già dato la loro adesione, mentre la Cgil, come al solito, "chiagne e fotte".
Il problema della borghesia è però molto più serio di quello che appare. Sostituire Berlusconi con un centro-sinistra non certo molto popolare, percorso da grandi contrasti interni fra le sue diverse personalità di cacicchi e caudillos, e che necessariamente dovrebbe appoggiarsi su un'alleanza pressoché ingestibile fra il neo-rifondarolismo di Vendola ed il cattolicesimo integralista dell'Udc sarebbe molto probabilmente controproducente. Riprodurrebbe l'ennesima esperienza di governicchio fragile, privo di coesione interna, semi-paralizzato, cui il centro-sinistra ci ha abituati. Tuttavia, per gli interessi della borghesia nostrana, un simile governo instabile, in una fase di crisi, in cui occorre governare con il massimo vigore le finanze pubbliche per rimanere agganciati all'euro (progetto cui la nostra borghesia ha aderito mani e piedi per il timore di perdere contatto con i mercati degli altri parnter della Ue, e per il timore di riduzioni di competitività-prezzo legate agli inevitabili effetti inflazionistici che il mancato aggancio, o la fuoriuscita dall'euro, avrebbero prodotto o produrrebbero) è quasi un suicidio. L'alternativa sarebbe quella del governo tecnico di larghe intese, ovvero un direttorio di tecnici, capeggiato da Tremonti o da Monti, se non da Montezemolo, che faccia ciò che fecero negli anni novanta i governi tecnici di Amato e Ciampi, ovvero una carneficina sociale per tenere dritta la barra delle finanze pubbliche, condotta con inusuale efficienza rispetto agli standard “casinisti” della politica italiana, grazie ad una relativa indipendenza dei “tecnici” dalle beghe di potere fra i partiti, ed interne ai partiti stessi. Anche tale progetto però presenta dei rischi, perché Monti non ha il carisma personale, né l'esperienza da marpione politico, per tenere insieme un governo supportato da un arco di forze che andrebbe da spezzoni del Pdl a Di Pietro, mentre il carisma personale di Tremonti esce molto indebolito dalle recenti vicende giudiziarie a suo carico. Montezemolo, dal canto suo, non sembra scoppiare dalla voglia di assumersi un compito così difficile e rischioso.
La borghesia italiana è quindi ad un bivio drammatico, spinta a ciò dalla crisi economica globale. Deve liberarsi di Berlusconi, perchè non è più credibile a livello internazionale, e perché manifestamente incapace di concentrarsi sulle questioni economiche (per vari motivi: perché è incompetente, perché ha da pensare alle sue fanciulle ed ai suoi guai giudiziari ed imprenditoriali personali, perché ha oramai rotto definitivamente con Tremonti, come conseguenza della lotta di potere interna al Pdl, e quindi ha definitivamente compromesso l'unitarietà della direzione di politica economica del governo). Al contempo le alternative a Berlusconi sono incerte e rischiose. In questa confusione, spezzoni di borghesia si fanno la guerra l'uno con l'altro. La medio-grande industria, rappresentata da Confindustria, litiga per accaparrarsi le ultime risorse finanziarie pubbliche disponibili con la piccola impresa (non è un caso se nel documento dei cinque punti le associazioni rappresentative della piccola impresa non compaiono), le imprese commerciali rappresentate da Confcommercio o Confesercenti propongono ricette keynesiane di stimolo della domanda opposte a quelle liberiste e finanziariamente restrittive sostenute da Confindustria e dal sistema bancario, rappresentato dall'ABI; la borghesia degli imprenditori fa la guerriglia a quella dei liberi professionisti, sul tema delle liberalizzazioni. In questo caos, la Lega ripropone il suo vecchio cavallo da battaglia secessionista, perlopiù per motivi propagandistici, ma intanto l'effetto che tale propaganda esercita, innestato su un assetto istituzionale e politico gravemente delegittimato agli occhi dell'opinione pubblica, complica ulteriormente la soluzione del problema.
In questo caos, in cui la borghesia del nostro Paese sta affondando, rivelando la sua peculiare debolezza e frammentarietà (rispetto alle borghesie, ben più coese, degli altri grandi Paesi europei) si aprono crepe e incapacità decisionali, che dovrebbero essere meglio sfruttate dal proletariato, se solo questo fosse unito sotto le bandiere di un partito che non c'è. Questo sarebbe il momento di approfondire con decisione la lotta di classe e l'antagonismo. Se non ora, quando?

3 commenti:

simone ha detto...

Valido, questo Achillini. Molto interessanti i suoi articoli, e condivisibili.

simone ha detto...

Achilli, pardon! :)

Lorenzo Mortara ha detto...

è il nostro grande economista, e ci fa molto piacere che anche tu l'apprezzi

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