di Norberto Fragiacomo
Chi l’avrebbe mai detto? Mario Monti, uomo di multiforme ingegno, riesce persino a “bucare il video”: intervistato, domenica sera, da un Fazio più che ben disposto (nemmeno una domanda, ad esempio, sulla malinconica vicenda del sottosegretario in vacanza premio), il supertecnico ha dispensato ottimismo, bonomia, finanche comprensione verso i ceti deboli che, tartassati dalla manovra, hanno mostrato “senso di responsabilità” – io la chiamerei rassegnazione, ma fa niente. Fiducia nel futuro, dunque: “l’operazione di consolidamento mette in sicurezza i conti pubblici (…) l'equilibrio di bilancio nel 2013, che vuole dire che al netto degli interessi l'Italia avrà un avanzo di bilancio, è qualcosa che nessuno in Europa può dire di avere”. Il linguaggio forbito, l’espressione distesa del volto, la pacata eleganza sembravano (ed erano) diretti a rassicurare la platea televisiva; la duplice condanna, ma in punta di fioretto, di dirigismo e thatcherismo ha accreditato l’immagine di un “libero economista”, moderato e super partes. Non pago di aver tranquillizzato mezza Italia (quella che guarda più alle parole che ai fatti), il grande comunicatore bocconiano ha dipinto per la classe politica il suo capolavoro serale, affermando di provare pena “per i politici che sono così trattati male dalla opinione pubblica”: toccherà a lui “favorire una riconciliazione tra la classe politica e l'opinione pubblica (…), perché io mi considero parte dell'opinione pubblica” ha concluso. Mai pugnalata fu inferta con tanto garbo e savoir faire: gli applausi entusiastici erano meritati, ed anche chi scrive ha provato, per un momento, un sentimento vicino alla simpatia nei confronti di SuperMario. Che differenza di stile col cavalcatore di Arcore e la sua corte dei miracoli! E tuttavia c’è qualcosa che stride, in questa rappresentazione televisiva del Buon Governo: l’interpretazione da virtuoso non cancella il fatto che lo spartito è ancora quello vecchio. Non è certo la prima volta che un premier ed un ministro dell’economia (Monti assomma in sé le due cariche) negano la necessità di future manovre: Tremonti e Berlusconi l’hanno fatto in svariate occasioni, nel 2010 e nel 2011. Parole al vento, evidentemente: sappiamo tutti come è andata a finire – anche se, a onor del vero, non è finito un bel nulla. Perquanto concerne, poi, l’enfasi posta sul suo essere “parte dell’opinione pubblica”, cioè un professore e non un politico, Monti aggiorna, ma non stravolge, la strategia comunicativa di Silvio Berlusconi, impostata sulla contrapposizione tra il fondatore di ForzaItalia – “uomo del fare”, “Presidente operaio” ecc. – e i politici “che non hanno mai lavorato in vita loro”. Potremmo chiosare che chi di slogan ferisce, di slogan perisce: non senza malizia, Mario Monti ha arruolato anche il suo predecessore nell’esercito dei politicanti da compatire. Il messaggio era: destra e sinistra sono la medesima cosa, fanno “pena” entrambe; ed è passato senza difficoltà. Ora, è fuor di dubbio che la classe politica italiana faccia mediamente schifo: è formata, in parte non esigua, da gente incapace, semianalfabeta e/o disonesta, che della crisi se ne frega, perché convinta, a torto o a ragione, di esserne immune (prebende, vitalizi, viaggi gratis ecc. sono un vaccino efficace). Il problema, da noi già segnalato, è il seguente: gli italiani, nella loro esasperazione, non sono capaci di distinguere tra i politici e la Politica o, per meglio dire, sono tentati di annegare il bambino nell’acqua sporca. Di un simile atteggiamento fanno le spese non solo i principali responsabili del malgoverno italiano (il PDL in primis, poi Lega, UDC e PD), ma anche tutte quelle forze che, pur senza colpe specifiche, sono percepite come componenti del sistema. Più che l’ascesa del Movimento 5 stelle, telecomandato da un furbo qualunquista, dovrebbe inquietarci il dato, trasmesso da Ballarò, secondo cui soltanto tre (!) italiani su cento hanno fiducia nei partiti. Attenzione: la nostra “democrazia” è, dalle origini, parlamentare e partitica – se il Parlamento viene esautorato (anche sotto questo profilo si scorge una continuità tra l’esecutivo Berlusconi e quello Monti) e le formazioni organizzate ridotte all’afasia, che cosa succede? Mancando l’alternativa di una democrazia diretta, incompatibile col regime borghese, non resta che uno sbocco: l’autoritarismo. La Storia insegna che, rivoluzioni a parte, la delegittimazione delle istituzioni esistenti produce il restringimento degli spazi di libertà: capitò nell’Atene imperiale, a Roma, nella Francia di metà Ottocento – e non sempre tocca in sorte un Pericle o un Giulio Cesare. Lo stesso Berlusconi, quando si paragonava a Bonaparte, sbagliava numero: la sua parabola ha semmai punti di contatto con quella di Napoleone III, che Karl Marx definiva “il piccolo”. Oggi non rischiamo l’Impero (con la maiuscola), ma il totalitarismo sì. Intendiamoci: Mario Monti, facondissimo professore e uomo di potere (vero) non è il diavolo. Semmai è Caronte, incaricato di traghettarci sull’altra sponda – dove ci aspettano liberalizzazioni (anche dell’acqua: se la democrazia è sospesa per forza maggiore, i referendum non hanno valore), azzeramento dei diritti e divaricazioni sociali mai sperimentate nell’arco di una vita. In breve, l’aziendalizzazione/sinizzazione dell’Italia (rectius: dell’Europa) e la sostituzione del patto sociale con uno leonino. Non ingannino dunque assicurazioni e blandizie: se, all’indomani di una manovra pesante e palesemente iniqua, già si scommette sul prossimo default dell’Italia e Fitch annuncia la nostra “degradazione”, il futuro è nero come l’inferno. Criticando in tivù il “dirigismo” e lo “statalismo” degli anni’60-’70, ponendoli sullo stesso piano delle politiche classiste del duo Reagan/Thatcher, il premier “tecnico” decreta la morte (per lui inevitabile) del welfare, che di quella stagione – e di irripetibili condizioni storiche – è stato il prodotto. Caronte ci batte col remo, e intanto sorride mellifluo, promettendoci di perorare la nostra causa (persa) con Frau Merkel. Per quel che rimane della Sinistra, due possibili strade: lasciarsi condurre docilmente, blaterando di elezioni e di primarie – oppure mettersi di traverso, unificarsi, stilare un piano d’azione europeo, ritrovare consenso e conquistare le piazze. Equivale a gettarsi nella corrente, me ne rendo conto; ma forse è preferibile affogare cercando di riguadagnare la riva che bruciare in eterno nel fuoco della miseria e dell’ingiustizia.
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