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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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sabato 22 ottobre 2011

La morte di Gheddafi, di Riccardo Achilli


E' oramai chiaro, e nemmeno particolarmente occultato dagli interessati, che Gheddafi sia stato assassinato, forse con il concorso diretto della NATO, che con il suo bombardamento a Sirte lo ha spinto a nascondersi nella trappola mortale dalla quale non è più uscito. Ci sono poche illusioni da farsi in tal senso circa l'indagine che l'ONU ha richiesto. Quand'anche vi fosse la volontà di condurla seriamente (e su questo ho molti dubbi) in realtà non vi sono più testimoni in grado di raccontare cosa sia veramente avvenuto negli ultimi momenti di vita di Gheddafi, che non siano miliziani del CNT (e quindi di parte).
Onde fugare dubbi in merito, vorrei dire che personalmente non sono affatto un sostenitore dell'ex regime di Gheddafi. Non bastano i sussidi economici alla popolazione ed i meccanismi redistributivi per qualificare come progressista un sistema di governo (anche il fascismo aveva una politica redistributiva, anche Peròn la aveva). E comunque anche questi meccanismi redistributivi, seppur hanno consentito di fare della Libia il Paese con il più alto indice di sviluppo umano dell'intero continente africano, non hanno funzionato perfettamente (atteso che il tasso di disoccupazione, ad esempio, è del 30%) e sono stati spesso gestiti per garantire la pax nel mosaico delle tribù che compongono il Paese, più che per intenti egualitari. Ciò che connota come “progressista” un sistema di governo è il suo contributo a far evolvere i rapporti sociali di produzione ed a far maturare, in senso socialista, le forze produttive e la loro coscienza di classe. Da questo punto di vista, un governo che non ha indebolito significativamente l'assetto tribale della società libica (anche se naturalmente una eliminazione di tale assetto era improponibile, un suo indebolimento nella sua capacità di incidere sulle dinamiche sociali del Paese sarebbe stato necessario) e che non ha creato un vero e proprio proletariato nazionale (posto che molta parte del proletariato libico è costituita da immigrati) non può ritenersi molto progressista.
Anche la storiella della “democrazia diretta” alla base della Jamahiriyah è in larga misura una storiella, per l'appunto. La struttura istituzionale del Paese era in realtà composta da una serie di scatole cinesi, costruita appositamente per facilitare il controllo politico dall'alto sui comitati popolari di base, tramite i consigli rivoluzionari, veri e propri organi di controllo di tali comitati di base, e tramite il potere di direzione politica generale e di veto assegnato al settore "rivoluzionario" (in pratica a Gheddafi ed al suo clan). Le associazioni e categorie professionali erano corporativizzate e integrate in questo sistema. Si trattava chiaramente di un misto fra corporativismo e collettivismo oligarchico, che ha soppresso alla radice la effettiva possibilità di una democrazia diretta, che non ha lesinato ondate repressive sulla popolazione, mentre sul versante internazionale non ha disdegnato, in una prima fase, di vagheggiare sogni di leadership panarabista conditi da evidenti esperimenti di tipo imperialistico. Come intepretare altrimenti l'avventura militare in Ciad, che ancora oggi risente della destabilizzazione politica ed etnico-religiosa conseguente a tale aggressione? A chi oppone, nell'intervento libico in Ciad, una chiave di lettura anti-imperialista, vorrei ricordare che l'intento principale di Gheddafi era quello di assicurarsi il controllo della regione settentrionale del Tibesti, ricca di giacimenti di uranio necessari per il suo progetto nucleare, e che l'estensione della guerra civile all'intero Ciad, promossa da Gheddafi tramite il suo sostegno al Frolinat, era funzionale a preservare il controllo della striscia di Aouzou dal Governo filo-francese di N'Djamena.
Si potrebbe anche parlare del ruolo ambiguo esercitato nel corso della seconda guerra del Congo, conflitto di una crudeltà spaventosa, che ha fatto circa 5,4 milioni di morti, motivato dal controllo del coltan e dei diamanti, nel quale Gheddafi ha sostenuto con una presenza militare diretta la fazione di Kabila, alleata con le milizie xenofobe dei Mai-Mai e con gli Hutu responsabili del genocidio del Ruanda. Senza contare l'ambigua regia della tregua di Sirte del 1999 (peraltro immediatamente rotta) fra Kabila ed Uganda, che di fatto autorizzò quest'ultima a ritagliarsi una provincia nel nord del territorio congolese.
In una seconda fase, abbandonati i propositi di leadership panarabista, sostanzialmente falliti, Gheddafi partecipò attivamente alla finanziarizzazione del capitalismo, investendo grandi quantità di denaro proveniente dai proventi petroliferi del Paese sui mercati finanziari, tramite il fondo sovrano del Paese. E intessé numerosi rapporti di affari con l'imperialismo, anche quello italiano. Secondo l'ultima versione del Trattato di amicizia italo-libico, Gheddafi si sentì autorizzato ad abbandonare a morire nel deserto, di una morte orribile per sete e fame, centinaia di immigrati respinti dall'Italia, senza peraltro fare niente per eliminare la redditizia mafia dei trasferimenti via mare degli immigrati che prosperava nei porti libici.
Detto questo, la natura del regime libico non autorizza in nessun modo l'aggressione imperialistica spacciata per sostegno alla “rivolta” libica, esercitata da Paesi che sino al giorno prima avevano ampiamente legittimato Gheddafi stesso, stringendo con lui redditizi e lucrosi affari. Aggressione ovviamente motivata dalla volontà di mettere le mani sul petrolio libico nel modo più rapido possibile, in una fase di grave crisi economica, ostacolando i progetti di espansione dell'attività estrattiva condotti dall'Italia, dalla Cina e dalla Russia. In particolare la Francia è animata dalla volontà di assumere il controllo del Paese. Il giorno stesso della conferenza di Parigi del primo settembre scorso, infatti, il quotidiano francese Libération ha pubblicato uno scoop su un accordo tra la Francia ed il CNT. Secondo quanto riportato nell’accordo, risalente al mese di Aprile scorso, il CNT ha riconosciuto a Parigi il diritto di sfruttamento sul 35% delle risorse petrolifere del Paese in cambio del sostegno totale per il Consiglio di Bengasi durante il conflitto.Sia le autorità francesi che il CNT hanno immediatamente negato l’esistenza di un tale accordo, ma hanno nel contempo riconosciuto che le decisioni sullo sfruttamento delle risorse petrolifere libiche saranno in futuro effettuate in base al giusto riconoscimento del sostegno ricevuto dai ribelli contro la repressione di Gheddafi. E la Francia, in base a tale ragionamento, occuperà una posizione di primo piano.
Tale accordo è garantito dalla immunità e dalla permanenza al potere dei gattopardi libici rapidamente passati dalla collaborazione con Gheddafi alla direzione del CNT. E' infatti ovvio che il modo migliore per preservare la struttura di potere che ruota attorno ad una dittatura è quello di giustiziare il dittatore senza un processo, nel corso del quale potrebbe parlare, e dire cose molto scomode. La morte di Gheddafi è un grosso regalo per molti dei leader del CNT, fino a pochi mesi fa importanti dignitari della Jamahiriyah. Adesso si chiude per sempre una bocca scomoda, che avrebbe potuto raccontare di come tali personaggi abbiano potuto approfittare, per fini personali di arricchimento e di potere, del loro legame con il precedente regime, prontamente abbandonato, non appena è scoppiata la rivolta.
Ma il sangue di Gheddafi e dei suoi figli ricadrà sui nuovi cacicchi che pretendono di governare la "nuova" Libia allineata agli interessi imperialistici esterni. La UE e l'Amministrazione USA hanno poco da gioire. Il Paese potrebbe esplodere in mille pezzi difficilmente governabili. Terminato l'unico fattore unificante, ovvero la lotta contro Gheddafi, il CNT mostra evidenti crepe fra gli interessi delle diverse tribù, che ruotano attorno alla ricchezza petrolifera nazionale (va ricordato che la rivolta è partita dalla Cirenaica, area tradizionalmente penalizzata nella ripartizione dei proventi del petrolio). Persino la più grande tribù del Paese, quella dei Walhalla, è divisa al suo stesso interno. Il fatto che la morte del Colonello sia stata inizialmente annunciata dal comandante dei Gruppi di Combattimento Islamici Libici, il principale movimento islamista del Paese, evidenzia come l'islamismo armato stia guadagnando crescente influenza e potere nella Libia post-Gheddafi. Lo steso progetto di nuova Costituzione, elaborato dal CNT, prevede infatti, all'articolo 1, che l’Islam è la religione dello Stato e la Shari’a la principale fonte della legislazione. Ciò evidentemente è il frutto del peso politico crescente dell'islamismo. Si tratta peraltro di un islamismo sui generis, perché secondo i principali osservatori (ad es. Iacoviello) è scollegato dalla Fratellanza Musulmana, per cui non vi è neanche la possibilità, da parte dei Paesi Occidentali, di controllarlo facendo leva su mediazioni di interesse sovra nazionali, ed è quindi più facilmente infriltrabile da parte della componente più radicale ed anti occidentale (lo stesso CNT ha dovuto ufficialmente ammettere, a giugno, di aver condotto operazioni contro militanti di Al-Qaeda infiltratisi nel Paese). Senza contare i sostenitori, ancora numerosi, del vecchio regime, che hanno tutto l'interesse a non deporre le armi, proprio perché la fine del loro Raìs dimostra loro che, a prescindere da tutti i buoni propositi diffusi dal CNT, la loro sopravvivenza ed i loro interessi sono in grave pericolo. Nel Paese circola una immane quantità di armi, e non vi è nessun Esercito o forza di sicurezza che sia in grado di disarmarlo rapidamente, prima che esploda una guerra civile, la cui spirale sarebbe difficile da fermare.
E' purtroppo presumibile ipotizzare che molto sangue scorrerà ancora, mentre la "stabilizzazione" del paese auspicata dalle potenze imperialistiche che sono intervenute è ben lontana dall'apparire. Oggi l'unica cosa ragionevole che è possibile dire del futuro della Libia è "inshallah", sarà come piacerà ad Allah. Chi ha voluto questo esito potrebbe forse rimpiangere, in un prossimo futuro, i giorni di Marzo, quando Gheddafi offrì una profonda riforma istituzionale in direzione di una maggiore autonomia amministrativa ed economica delle tribù, unica via d'uscita dalla situazione che si era instaurata. Sicuramente rimpiangerà il fatto di non aver fermato l'uccisione di Gheddafi, di non averlo sottoposto ad un processo. Perché se si permette che un uomo venga giustiziato senza processo, per proteggere i suoi ex complici, se si permette che i media di tutto l'Occidente “cristiano” espongano, come un ignobile trofeo, le fotografie del cadavere martoriato e deriso dai miliziani del CNT, togliendogli anche il rispetto postumo cui chiunque avrebbe diritto, la presunta superiorità dei valori democratici occidentali che le potenze imperialistiche cercheranno di imporre alla nuova Libia “normalizzata” non può che nascere già morta nella culla, per i cittadini libici dotati di senso critico.

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