LE ANIME MORTE DELLA CGIL
di Lorenzo Mortara
Tutti i direttivi
sindacali si somigliano, anche
se sono semplici attivi per soli delegati. L’ultimo,
intercategoriale, avvenuto qui alla Stazione dei Celti, a
ridosso del 25 Aprile, è quindi uno spaccato abbastanza fedele di
quello che sta succedendo dentro la Cgil. Ancora un anno fa si faceva
fatica a parlare, la burocrazia serrava i ranghi contro le mine
vaganti costrette a fare da spettatori a insipide comparse.
L’inciucio con Cisl e Uil veniva salutato con suono di fanfare come
neanche la Marsigliese nel giorno in memoria della Rivoluzione
francese. Oggi la crisi morde talmente tanto le chiappe dei
dirigenti, che l’alleanza col PD vacilla, le maglie si allargano e
la baldanza dei dirigenti perde, insieme con metà della sua
sicurezza, anche il pelo sullo stomaco. Per paura di essere travolta,
la burocrazia terrorizzata, è costretta a confrontarsi e a lasciar
parlare chi vuole. Ne esce un direttivo se non del tutto vivo, almeno
vero.
Fin
dall’iscrizione per gli interventi dei delegati, il peso della Fiom
sovrasta quello delle altre categorie. Metà degli interventi
previsti, provengono dai metalmeccanici. La terna arbitrale invita
altri ad intervenire per diluire il peso della Fiom almeno di un
terzo. L’operazione riesce, la quantità di mediocrità è salva,
ma la burocrazia deve ancora far i conti con la qualità. La maturità
dei metalmeccanici è di gran lunga superiore a quella delle altre
categorie, in più d’un caso costrette, per non sfigurare troppo, a
farsi rappresentare direttamente dal segretario. Se poi tra gli
interventi venuti apparentemente da destra rispetto alla Fiom,
qualche delegato o delegata ha la disgrazia di avere il cuore che
batte lo stesso irrimediabilmente a sinistra, la burocrazia rischia
l’infarto e deve intervenire.
Il
problema – ci fa sapere chi è
chiamato a fare da arbitro, possibilmente fischiando più falli
possibili alla Fiom – è che nella Cgil ci sono due
anime, quella massimalista e quella moderata e realista dei Di
Vittorio, dei Lama e dei Trentin, si tratta di trovare un punto di
convergenza...
In
questa interruzione provvidenziale del direttivo, per quanto poco
ortodossa, c’è in fondo tutto il nocciolo della problematica
attuale della Cgil.
È
indubbio che non sia affatto corretto essere chiamati a dirigere un
direttivo, per interromperlo nel bel mezzo della discussione ed
ergersi a Padre Eterno che divide i delegati in buoni e cattivi.
Tuttavia, essendo uno che bada alla sostanza senza impressionarsi
troppo della forma, debbo dire che l’arbitro ha detto la verità. E
sarebbe stato veramente interessante potere fare l’intervento
subito dopo, ma l’avevo già fatto per cui non posso far altro che
replicare qui, sperando di non essere mandato direttamente
all’inferno dai probiviri per aver profanato il tempio della
loro concertazione.
È
vero, inutile negarlo, nella Cgil ci sono proprio queste due anime,
ma è nel linguaggio di quella moderata che viene definita
massimalista l’altra. Moderazione e massimalismo, cioè, non sono
termini neutri, al contrario sono velenosi e subdoli. Ed è per
questo che vanno combattuti fino al loro completo ritiro, perché
rimandano subito a positivo e negativo, relegando a priori
nell’ombra chi ha la debolezza numerica di essere etichettato male
dal dizionario grossolano degli altri. Perché quando l’arbitro
moderato separa i virtuosi della moderazione dagli empi massimalisti
per poi chiedergli di trovare un punto di convergenza, non fa altro,
cosciente o meno, che pretendere che la convergenza venga trovata dal
lato della moderazione, subordinando a lei il massimalismo che viene
messo, così, a cuccia. In effetti, il problema non è la convergenza
che si può sempre trovare, ma quale delle due anime debba trainare
l’altra. E l’anima che deve guidare l’altra è quella
massimalista ora in minoranza. Perciò, il suo compito non è trovare
una convergenza, ma trasformarsi in maggioranza. Quando lo sarà, al
linguaggio empirico e un po’ volgare che separa le due ali della
Cgil, nell’ala moderata e in quella massimalista, sostituirà
quello più scientifico e rigoroso che le separerà per quello che
effettivamente sono: non ala positiva o negativa, perché chi
rappresenti davvero l’una e chi l’altra è ancora tutto da
dimostrare, ma ala classista e ala interclassista.
Perché questi sono i contenuti concreti del massimalismo e della
moderazione. Con la differenza non da poco, che l’ala classista sa
riconoscerlo, perché ha coscienza di sé stessa, l’ala
interclassista no perché, un tanto al chilo com’è, è così poco
cosciente da nascondersi dietro la mantellina del giudice
“super-partes” senza mai dirci, in realtà, da quale parte stia.
Quando saremo noi a dirigere, da che parte staremo lo sapranno tutti,
anche i moderati. Poiché chi non lo dirà apertamente sarà espulso,
perché non bisogna ricordarsi soltanto il 25 di Aprile di essere
partigiani, ovvero gramsciani, per poi essere indifferenti alla
scelta di campo per tutto il resto dell’anno e quindi della vita.
Gli
indifferenti della Cgil sono attualmente più forti perché avendo
poca coscienza di classe, mediocri come sono, hanno già raggiunto il
massimo del loro potenziale pressoché nullo. L’ala classista deve
ancora farsi le ossa, temprarsi nel fuoco della lotta, fare
esperienza per affinare il suo istinto e capire bene cosa ci cela
dietro lo scontro con l’ala interclassista. A un livello più
profondo, infatti, dietro l’anima classista e interclassista, si
trova lo scontro tra l’anima proletaria e l’anima padronale della
Cgil, tra l’ala marxista e l’ala liberale. In parole povere, tra
l’anima rivoluzionaria e quella che non è più nemmeno riformista,
ma direttamente controrivoluzionaria.
Non è
quindi un caso che l’ala interclassista abbia tentato di darsi un
tono appoggiandosi alla mitologia della Cgil. L’anima classista
della Cgil è ancora molto fragile perché ha un compito molto più
difficile, e la sua crescita è lenta e tortuosa perché ad ogni
passo è imbrigliata dai fantasmi evocati dalla burocrazia per
offuscarle la memoria. Richiamandosi a Di Vittorio, Lama e Trentin,
l’ala interclassista cerca di schiacciare quella classista sotto il
peso della tradizione della Cgil, di cui anche l’ala classista,
così giovane ed inesperta, sente il fascino. Purtroppo! Perché i
tre angeli della desolazione evocati dal Signor arbitro,
rappresentano la miglior tradizione della Cgil che capitola
prima ancora di combattere. Ecco perché l’ala interclassista ci si
rispecchia in pieno. Perché non saprebbe trovare Maestri migliori
per insegnare nuove sconfitte alle nuove generazioni di lavoratori.
Perché il Piano del lavoro di Di Vittorio, presentato, senza
un’ora di sciopero a Sua Maestà la Democrazia Cristiana, e di
conseguenza subito cestinato senza neanche essere degnato d’uno
sguardo; la Svolta dell’Eur di Lama con cui si sacrificavano
i salari per il bene dei profitti; e infine la firma insanguinata di
Trentin sullo smantellamento di quel che restava della scala mobile,
sono l’anello di congiunzione che lega assieme tutta la catena di
sconfitte a cui ci hanno portato questi condottieri falliti senza
gloria e onore. E i loro allievi migliori, i peggiori sindacalisti di
oggi, ancora non lo vogliono capire che non si può più proseguire
su questa linea perché ha fatto bancarotta. Il guaio della Camusso,
ultima erede degl’interclassisti è che i suoi predecessori,
avevano ancora molto da rinculare. Ma rincula oggi rincula domani, da
dar via non ti resta più nemmeno il culo e tanto meno la faccia che
hai già perso chissà dove, tanto tempo fa.
L’anima
moderata, invece, imperterrita, vuole proseguire sulla sua solita
strada, perché si crede saggia e realista. Ed è talmente realista
che non vede la realtà a un palmo di naso. È convinta che non ci
siano solo gli scioperi per poter portare a casa qualcosa. Insiste
che a far gli scioperi in questo momento si fa solo un favore ai
padroni, anche se non abbiamo visto un solo padrone in piazza con noi
della Fiom ad incitarci affinché si vada avanti. Spiega ancora che
alle manifestazioni di sabato, senza scioperi, viene più gente,
perché crede si possano risolvere i problemi riempiendo le piazze
per niente, piuttosto che rischiare di averle mezze vuote per
qualcosa. Infine, piagnucola che con le fabbriche piene di precari
non abbiamo la forza per mobilitarci, di conseguenza solo perché
abbiamo poca spinta, ci invita a non usar neanche quella, togliendo
così ai precari quelle poche possibilità che ancora avevano per non
restarlo a vita. E mentre ripete come una cantilena tutte queste
fesserie in nome del realismo, non si rassegna a trarre la sola
lezione che anche il più somaro degli iscritti della Cgil dovrebbe
apprendere dalle recenti vicende: quel poco che la Cgil ha ottenuto,
quella striminzita variazione sullo smantellamento dell’Art.18,
quell’impercettibile arretramento del Governo Monti è stato
ottenuto come al solito: con gli scioperi, in base alla legge ferrea
della lotta di classe che non dà scampo oggi come allora come
sempre. È alzandosi dal tavolo per preparare un pacchetto di 16 ore
di sciopero che la Cgil ha ottenuto quel che ha ottenuto dal Governo
Monti. L’anima moderata non lo vede e non lo capisce perché nulla
sa apprendere dalla realtà. Vive da sempre nel suo idealismo
metafisico dove la realtà non arriva nemmeno di sfuggita.
Proprio
per questo, per come quella moderata è estraniata dal mondo, le
famose due anime della Cgil sono solo apparenti e in ultima analisi
si riducono a una. Perché, in effetti, una e una sola anima ha la
Cgil: l’anima combattiva e irriducibile, l’anima
rivoluzionaria. L’altra anima, infatti, l’anima
interclassista, rappresenta soltanto la Cgil senz’anima, le anime
morte del nostro sindacato. E non basterà il grande Gogol’ per
resuscitarle. Ci vorrà uno più grande ancora che anziché
rianimarle, le sotterri definitivamente. Perché prima che ci mozzino
il fiato, ci vorrà proprio il respiro rigenerante e profondo di Karl
Marx.
Stazione
dei Celti,
Martedì 24 Aprile 2012
Viva la Liberazione!
Viva la Resistenza!
Evviva la Rivoluzione!
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