di Riccardo Achilli
Sebbene gli eventi del Mali di queste ultime settimane siano ancora avvolti da molta nebbia, e quindi sia impossibile fare un'analisi approfondita, alcuni elementi di evidenza stanno emergendo, ed in qualche misura sono paradigmatici della piega che gli eventi stanno prendendo, nell'Africa sahariana, dopo che la fase più intensa dei sommovimenti della Primavera Araba nel Maghreb sembra essersi esaurita.
Appare intanto evidente
che la destabilizzazione del Mali è il diretto frutto della guerra
civile libica, una guerra civile alimentata, sostenuta ed utilizzata
come alibi per mettere le mani sulle risorse petrolifere di quel
Paese da parte di Gran Bretagna, Francia e USA, al fine di sostituire
con un imperialismo forte l'imperialismo debole dell'Italia, che in
luogo delle bombe all'uranio impoverito usava gli intrecci
affaristici fra Berlusconi e Gheddafi per cementare il suo potere.
Per essere chiari: la storia del ribellismo tuareg, e più in
generale dei popoli berberi, è antica tanto quanto quei popoli
stessi; già Massinissa si ribellò ai cartaginesi, e il suo
discendente Giugurta lo fece con i romani. Nel Mali indipendente,
quindi dal 1960 in poi, con la rivolta scoppiata a Gennaio di
quest'anno siamo arrivati alla quarta sollevazione. Tuttavia, a
differenza delle rivolte passate, che sono state sistematicamente
sconfitte, quest'ultima sembra aver avuto successo, con il nord del
Paese che è oramai de facto in mano agli indipendentisti tuareg, che
hanno già dichiarato unilateralmente la nascita del loro nuovo Stato
(personalmente simpatizzo molto con le istanze indipendentistiche dei
tuareg, peraltro).
Un fattore importante di
tale vittoria è proprio collegato con la fine della Jamahiriyah.
Gheddafi aveva infatti svolto un ruolo importantissimo di arbitro
della stabilità del Mali. Nel caso della rivolta del 2007-2009, come
in quelle precedenti, aveva di fatto gestito tutta la fase negoziale
che portò al cessate-il-fuoco, ed al contempo, per controbilanciare
la delusione dei tuareg, aveva ospitato nel suo Paese migliaia di
guerriglieri indipendentisti, nella maggior parte dei casi
arruolandoli nell'Esercito libico, e nutrendoli con l'illusione di un
futuro Stato del Sahara indipendente. L'interesse di Gheddafi era
evidente: i tuareg, nella loro vita di migranti, si spostano anche
nella Libia meridionale, per cui ogni iniziativa diplomatica tesa ad
evitare la formazione di uno Stato tuareg indipendente, ed al
contempo a far credere ai tuareg che il regime libico era loro amico,
serviva a tutelare la stessa integrità territoriale della Libia.
Con la guerra civile in
Libia e la fine di Gheddafi, nessuno è più in grado di svolgere un
ruolo di mediazione su scala regionale. Inoltre, migliaia di tuareg
che avevano combattuto nell'Esercito lealista libico, con la
sconfitta di Gheddafi, sono fuggiti dalla Libia, immersa da mesi nel
bagno di sangue della “caccia al negro” e dalla caccia all'amico
di Gheddafi” scatenata dal CNT. Sono fuggiti portandosi dietro
addestramento militare ed armi, anche pesanti, dagli arsenali libici,
divenendo quindi pericolosissimi per lo scalcinato Esercito
governativo del Mali.
E' quindi evidente che le
potenze occidentali che hanno voluto far cadere Gheddafi si trovano
oggi, un po' come i tradizionali apprendisti stregoni, a dover
gestire la patata bollente della secessione tuareg nel Mali del Nord,
che rischia di avere effetti destabilizzanti su tutta l'area.
Infatti, istanze indipendentistiche, a volte anche organizzate
militarmente, sono presenti in tutta l'area in cui vivono popolazioni
tuareg, quindi anche in Niger (Paese peraltro fondamentale per le sue
riserve di uranio e petrolio, e dove è già in atto da anni una
guerriglia tuareg di bassa intensità), in Libia, in Algeria ed in
Ciad. Poiché i tuareg sono di etnia berbera, i richiami etnici e
storici rischiano di dare un ulteriore incentivo ed un supporto
politico, morale (ed anche in qualche caso militare) anche
all'indipendentismo berbero in altre aree (Dal Polisario in Sahara
Occidentale agli indipendentisti cabili in Algeria).
In sostanza, il successo
della rivolta tuareg nel Mali del Nord rischia di far esplodere tutta
l'Africa nord occidentale, con conseguenze imprevedibili, anche in
termini di crescita dell'islamismo fondamentalista. Le reazioni dei
Paesi occidentali “democratici”, che in teoria dovrebbero avere a
cuore l'autodeterminazione dei popoli, sono infatti tutte negative,
ad iniziare dalla Francia, che esercita ancora un controllo
postcoloniale importante in tale area. Il Ministro degli Esteri Juppé
dichiara infatti che “ci sono due opposte fazioni fra i tuareg.
L'MNLA vuole l'indipendenza dell'Azawad, il che è per noi
inaccettabile, perché siamo impegnati a mantenere l'integrità
territoriale del Mali. Poi c'è un'altra fazione, Ansar Dine, che è
legata strettamente con Al Qaeda nel Maghreb islamico”. Questa
seconda affermazione di Juppé è peraltro indimostrata, anche se la
correlazione fra Ansar Dine ed Al Qaeda viene da questi venduta, per
ovvi motivi strumentali, come un fatto certo. La campagna di
diffamazione dei mass media francesi nei riguardi
dell'indipendentismo tuareg è così violenta che Andy Morgan, del
Think Africa Press, ha accusato Agence France-Press di aver
rilanciato acriticamente, e senza alcuna verifica, il ritratto fatto
dal Governo del Mali dei ribelli, accusati di essere “predoni”,
“trafficanti di droga”, “mercenari di Gheddafi”. Senza uno
straccio di prova, la stampa francese ha infatti rilanciato l'accusa
rivolta all'MNLA da parte dell'ex Presidente maliano Toumani Touré,
di aver ucciso a sangue freddo, ad Aguelhok, uomini disarmati
appartenenti all’Esercito del Mali. Tra l'altro, tale indimostrato
episodio costituirebbe la prova, secondo la Francia, di un’alleanza
dell’MNLA con AQMI. Infatti, si sostiene che, siccome gli uomini
sono stati legati e uccisi con un colpo di pistola alla nuca, e che
AQMI uccide in questo modo i suoi prigionieri, allora l'MNLA è
alleato di AQMI. L'infantilismo e l'insussistenza di un simile
ragionamento non valgono la pena di essere commentati. Tra l'altro,
il massacro di civili inermi del Nord condotto dall'Aeronautica
governativa il 23 Febbraio, documentato da testimonianze indipendenti
da parte del personale di Médecins Sans Frontières, non ha ricevuto
alcuna attenzione mediatica: guai a mettere in difficoltà l'amico
Toumani Touré.
Soltanto l'imminenza
delle elezioni presidenziali suggerisce a Sarkozy prudenza, ed
impedisce un intervento militare francese, sul modello di quelli
fatti nel 2008 in Ciad e nel 2011 in Costa d'Avorio, per soffocare
l'indipendentismo tuareg. Il tentativo di soffocare il diritto
all'indipendenza dei tuareg viene così condotto con mezzi
politico-diplomatici: l'ECOWAS (la comunità degli Stati dell'Africa
Occidentale), una creatura dei francesi (il primo presidente di tale
organizzazione fu il dittatore del Togo, Eyadéma, ex ufficiale della
Legione Straniera, amico personale di De Gaulle, che prese il potere
nel suo Paese spodestando ed uccidendo personalmente l'ex Presidente
Olympio, che aveva guidato il processo di indipendenza) ha infatti
subito emanato un comunicato molto duro, in cui sostiene nuovamente
il presunto legame fra i ribelli tuareg ed Al Qaeda, chiede che
l'integrità territoriale del Mali sia garantita, e chiede ai ribelli
stessi di cessare immediatamente ogni ostilità. A dimostrazione
della totale organicità dell'ECOWAS alla politica neocoloniale
francese, l'ambasciatore francese presso l'ONU, Gérard Araud, ha
immediatamente chiesto che il Consiglio di Sicurezza adotti la
posizione dell'ECOWAS. Gli stessi Stati Uniti sono subito scesi in
campo, bloccando ogni aiuto al Mali (e facendo quindi pagare per
l'ennesima volta alle popolazioni civili il prezzo delle decisioni di
politica estera dell'amministrazione USA, avventuriere e sbagliate,
sbagliate già dal momento in cui Obama sostenne lo spodestamento di
Gheddafi). Il Washington Post, il più reazionario giornale
statunitense in materia di politica estera, peraltro anche sensibile
agli interessi geo strategici francesi, poiché fra i proprietari
figura la Lazard, storica banca d'affari franco-statunitense, ha
scritto che, poiché la Francia non vuole intervenire militarmente,
sarebbe necessario un intervento militare della NATO diretto a
“fermare i ribelli tuareg”.
In questo quadro, si
capisce anche perché il colpo di Stato militare che, il 22 Marzo,
nel bel mezzo della ribellione tuareg nel Nord del Paese, ha
esautorato il Presidente del Mali Amadou Toumani Touré sia stato
immediatamente condannato in modo generalizzato dall'intera comunità
internazionale, ed i militari golpisti siano stati quindi costretti
quasi immediatamente a dimettersi, lasciando l'incarico di guidare il
Paese al portavoce del Parlamento, Traoré, per un breve Governo di
transizione in vista di elezioni molto incerte. Il colpo di Stato dei
militari è in realtà motivato essenzialmente da un risentimento che
strisciava da anni fra gli strati bassi e intermedi dell'Esercito
governativo, a causa delle paghe molto basse, dei livelli modesti di
equipaggiamento ed addestramento, che espongono i militari a gravi
rischi nel corso delle periodiche operazioni contro le ripetute
ribellioni tuareg, e per motivi etnici: le etnie non tuareg presenti
nell'Esercito non hanno mai digerito il fatto che, a seguito degli
accordi di cessate-il-fuoco del 2008, molti tuareg siano stati
reclutati nelle Forze Armate. Tuttavia, tale colpo di Stato, motivato
ufficialmente dai golpisti con l'inefficienza dell'ex Presidente nel
contrastare l'indipendentismo tuareg, si è in realtà tradotto in un
enorme regalo ai ribelli. Il caos in cui è precipitato il Paese nei
giorni successivi al putsch ha infatti aiutato gli insorti a
conquistare le principali città dell'Azawar (Gao, Timbuctù,
Ansongo) ed a ottenerne una secessione de facto. L'intera comunità
internazionale si è quindi mossa concordemente per chiedere
l'immediato ripristino del Governo pre-golpe (ivi compresa la Cina,
che nel business minerario e petrolifero del Niger ha grossi
interessi, e che teme molto che il successo dell'indipendentismo
tuareg nel Mali si diffonda, come un'epidemia, anche ai tuareg che
combattono la stessa battaglia nel Niger). Il governo di Toumani
Touré (grande amico della Francia e dell'amministrazione Bush),
infatti, riuscì a reprimere con successo la precedente ribellione
del 2008, anche utilizzando metodi sbrigativi più degni di un
despota che di un “soldato della democrazia”, come viene
considerato dai suoi amici occidentali.
In realtà, il colpo di
Stato dei militari di Bamako ha interrotto un tentativo di
repressione dell'indipendentismo tuareg che era in atto non soltanto
con armi militari, ma anche con gli strumenti dell'inganno mediatico.
Come si è già detto, il tentativo principale di screditare il
diritto dei tuareg all'autodeterminazione passa per il tramite di una
identificazione di tale lotta con il fondamentalismo islamico di Al
Qaeda. Però il fondamentalismo islamico ha una storia di alleanze
strategiche molto più importante con gli Stati Uniti che con le
popolazioni locali (storia che inizia dal conflitto afghano degli
anni Ottanta). Inoltre, la linea politica dell'imperialismo
occidentale, nel post-Primavera Araba, non è più quella di
sostenere regimi laici amichevoli alla Ben Alì, ma proprio quella di
sostenere l'islamismo più o meno moderato (come dimostra il successo
di Ennahda in Tunisia, propiziato da generosi finanziamenti da parte
della Turchia e di altri Paesi musulmani alleati dell'Occidente, o
l'ascesa di Al Qaeda nella Libia post-Gheddafi, con il suo leader
locale Belhadj che ha preso il potere, defenestrando i “laici”
Jalloul e Jibril, laici che comunque avevano provato a restare al
potere promettendo di riscrivere in base alla sharia la Costituzione
post-gheddafiana del Paese, con l'aiuto, secondo Thierry Meyssan,
degli USA e della Gran Bretagna, cfr.
http://www.voltairenet.org/Come-al-Qaida-e-arrivata-al-potere;
come dimostra anche l'endorsement che lo stesso senatore repubblicano
Mc Cain ha promesso al leader della Fratellanza Musulmana egiziana,
candidatosi alle prossime elezioni in contrasto con la Giunta
militare, ed anche con i candidati che rappresentano la componente
laica della società civile egiziana, come El Baradey).
Pertanto, per la linea
politica adottata rispetto al Nord Africa, l'Occidente ha perso
qualsiasi diritto a criticare i suoi avversari perché stringono
alleanze con l'islamismo o con la stessa Al Qaeda. Inoltre, non vi è
alcuna prova seria che il MNLA sia effettivamente alleato con Al
Qaeda. Il fatto che la rivolta tuareg sia guidata anche dal movimento
islamista Ansar Dine, il cui leader, Ag Ghaly, è stato affiliato ad
AQMY, non significa niente. Il MNLA, infatti, si proclama laico e
democratico, e persegue un programma finalizzato alla creazione di
uno Stato tuareg democratico ed indipendente, ed il suo stesso leader
afferma che le tendenze islamiste radicali non appartengono alla
cultura del popolo tuareg. Vi sono inoltre numerosi episodi ben
testimoniati di contrasti, anche violenti, fra MNLA e Ansar Dine
durante la recente ribellione. Ad esempio, lo stesso professor Keenan
dell'Università di Londra accredita le versioni secondo cui MNLA e
Ansar Dine non sembrano combattere insieme, e sembrano piuttosto
muoversi con una elevata autonomia reciproca. L'episodio di Gao, in
cui un commando di Ansar Dine ha preso in ostaggio il console
algerino, è significativo: l'MNLA si è immediatamente dissociata da
tale azione. Nella stessa città di Gao, Ansar Dine avrebbe
conquistato una base militare, e ne sarebbe stata scacciata
dall'arrivo del MNLA, mentre un locale comandante militare dell'MNLA
avrebbe detto, in un'intervista, che “Ansar Dine è qui ma i loro
obiettivi ed i nostri sono completamente diversi. Non c'è
collaborazione né accordo” (David Lewis, Reuters, 4 Aprile 2012,
http://www.reuters.com/article/2012/04/04/us-mali-rogue-idUSBRE8330X220120404
). Contestualmente, tramite il suo portavoce, Ama Hag Sid'Hamed,
l'MNLA ha ordinato a Ansar Dine di abbandonare la città di Timbuctù.
Il sospetto è che,
ancora una volta, l'islamismo venga utilizzato dall'imperialismo
occidentale come alleato per fare le operazioni sporche, come si è
verificato in Afghanistan nel corso della guerra contro gli occupanti
sovietici, e come sembra verificarsi anche in Siria, nell'interessato
tentativo di far fuori Assad. La storia del leader di Ansar Dine è
infatti molto sospetta. Il buon Iyad Ag Ghaly, infatti, nasce come
combattente dell'MPLA, movimento indipendentista tutt'altro che
jihadista, e dopo la fine della ribellione del 1996 viene assunto dal
Governo del Mali,suo precedente nemico, ed inviato in qualità di
diplomatico in Arabia Saudita. Quando si scopre che sta intrattenendo
rapporti con movimenti islamisti sauditi e con esponenti di al Qaeda,
viene richiamato in Patria ma non licenziato. Si perdono le sue
tracce e poi, quando a Gennaio 2012 esplode la ribellione tuareg,
all'improvviso rispunta fuori dal nulla, annunciando l'improvvisa
nascita di Ansar Dine, senza fornire informazioni sui finanziatori di
tale operazione. E questa organizzazione nata dal nulla ed in modo
improvviso inizia a combattere autonomamente, mettendo in luce
capacità militari ed un equipaggiamento bellico di prim'ordine. Chi
glieli ha forniti? Tutta questa storia puzza di operazione di
intelligence, fatta per portare discredito alla causa
indipendentistica dei tuareg, identificando mediaticamente con il
jihadismo quella che altro non è che una causa (legittima) di
autodeterminazione di un popolo.
La sostanza è che qui
c'è un diritto all'indipendenza nazionale, che crea problemi
all'imperialismo occidentale, perché foriero di una possibile
esplosione di tutta l'Africa nord occidentale, e che è stato gestito
male da apprendisti stregoni che, bombardando la Libia, si illudevano
di diventare i padroni dell'Africa ed adesso si ritrovano fra le mani
una situazione ingestibile, con uno Stato tuareg de facto, un Governo
del Mali incapace di reagire ed in preda alle incertezze di una
transizione verso le elezioni anticipate dopo un colpo di Stato
maldestro, con un Presidente ad intermi (Traoré) che non si sa
quanto reale potere abbia nel Paese, con tentativi di attribuzione di
una natura jihadista ad un movimento di liberazione nazionale
altrettanto maldestri, l'assenza di un soggetto regionale in grado di
svolgere un ruolo negoziale, l'impossibilità di un intervento
militare dall'esterno che riporti sotto controllo la situazione,
perché il principale soggetto che lo dovrebbe sostenere, la Francia,
è alle prese con una fase elettorale molto delicata (ma fonti della
BBC parlano di circa 3.000 militari dell'ECOWAS pronti ad intervenire
contro i tuareg, facendo da braccio armato all'impotente Francia). Ma
come dire: chi è causa del suo mal pianga sé stesso.
Riccardo Achilli
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