di Lorenzo Mortara
RSU Fiom-Cgil
Prima della proclamazione
della mezza adesione della Camusso allo sciopero europeo, nessuno
penso tra i delegati della Fiom ci avrebbe scommesso un bottone.
Eravamo per la maggior parte convinti che come al solito la Fiom
avrebbe dovuto fare da sola. La Fiom aveva proclamato il suo sciopero
generale per il 16 Novembre, venerdì, ma per le continue involuzioni
che nell’ultimo anno ha dato alla sua linea, avevamo anche paura
che Landini alla fine avrebbe rinunciato ad anticipare al 14 lo
sciopero. L’anticipazione avrebbe significato un primo timido
rispostamento a sinistra dopo tante, troppe oscillazioni a destra.
Quel che è avvenuto conferma i nostri più cupi timori. Landini
continua nel suo scivolamento a destra e nella giornata di oggi si
trova pure a rimorchio della Cgil. In un sussulto di dignità,
infatti, la Camusso, alla fine 4 ore di sciopero le ha chiamate.
Landini ha così potuto anticipare lo sciopero ad oggi, ma chi si
aspettava 8 ore che rimarcassero la superiorità della Fiom sulla
Cgil, è rimasto deluso. Le 8 ore di sciopero la Fiom le farà il 6
Dicembre, oggi si allineerà in tutto e per tutto all’ennesimo
sciopero telefonato, per quanto storicamente importante, della Cgil.
E una Fiom che si allinea alla vacuità della Cgil, senza rimarcare
la benché minima differenza con la linea della Camusso, è destinata anch'essa a una lotta verbale.
Per
capire come la Fiom arrivi a questo sciopero, non sarà sterile
soffermarsi ancora una volta sulle principali contraddizioni emerse
dell’assemblea di Modena del 12 ottobre scorso.
IL 28 GIUGNO E LA
DEMOCRAZIA
Con
una giravolta di 180 gradi, la Fiom è passata nel giro di un anno
dalla bocciatura degli accordi interconfederali del 28 Giugno al loro
sostegno più smaccato. Non c’è nessuno più della Fiom, nemmeno
Cisl e Uil, che in questo momento invochi il 28 Giugno. L’ennesima
Waterloo della Cgil è diventata, nella testa di Landini, il giorno
della Liberazione. Landini, è vero, invoca il 28 Giugno per la
certificazione della rappresentanza, ma navigato com’è non può
far finta di non sapere che negli accordi del 28 Giugno son previste
le deroghe peggiorative ai contratti nazionali. Del resto, al momento
della firma, cos’era per noi della Fiom l’accordo del 28 Giugno?
L’estensione a livello interconfederale del modello Marchionne. Ora
il modello Marchionne adattato al 28 Giugno, viene preso come punto
di partenza per l’opposizione più intransigente a Marchionne!
Secondo Landini e Airaudo, la certificazione degli iscritti
impedirebbe la firma degli accordi separati. È per questo che
invocano il 28 Giugno come fosse la dea Kali. Tuttavia, negli accordi
del 28 Giugno – qui sarà bene sfatare un mito – non c’è
alcuna vera e propria certificazione degli iscritti. C’è in realtà
un discorso fumoso sulla certificazione. Confindustria e burocrazie
sindacali si sono messe d’accordo che troveranno un accordo per
certificare gli iscritti. E chiunque abbia un po’ di dimestichezza
con gli accordi tra le parti, sa bene che quando i padroni hanno
ottenuto, chiaro e tondo, quello che vogliono – in questo caso le
deroghe – sono più che disponibili a infiocchettare i testi degli
accordi con discorsi vaghi e promesse lontane su tutto ciò che sta a
cuore ai lavoratori.
In generale, non è necessario leggere gli accordi del 28 Giugno, per
sapere che cosa contengano. Qui c’è un problema di metodo. Landini
e Airaudo fanno perno sugli accordi del 28 Giugno come punto di
partenza per la riscossa operaia della Fiom. Da lì bisogna ripartire
per superare gli accordi separati e addivenire ad una piattaforma
unitaria. Nel 28 giugno, dunque, Landini e Airaudo vedono un passo
avanti. Ma se fosse vero che col 28 giugno si fosse fatto un passo
avanti, allora la strategia di Cgil Cisl e Uil, vale a dire
accucciarsi a qualsiasi tavolo per concertare e firmare senza battere
ciglio, sarebbe giusta. Perché non dovrebbe essere possibile a Fim e
Uilm di firmare un buon contratto senza muovere un dito, se Cgil Cisl
e Uil hanno portato a casa il passo avanti del 28 Giugno nello
stesso, identico modo? Gli scioperi e le mobilitazioni diventano
inutili quando sedendosi al tavolo si può
portare a casa ogni volta qualcosa di positivo. Con gli scioperi, è vero,
potremmo accelerare gli eventi, ma perché sbracciarsi tanto
sprecando dei soldi, quando si può andare piano piano ma comunque
lontano? Accettando gli accordi del 28 Giugno, Landini e Airaudo
veicolano l’idea del tutto assurda e anti-storica che gli operai
possano fare passi avanti senza pagare dazio. Ma proprio perché non
è costato niente, l’accordo del 28 Giugno vale meno di niente e
non contiene nulla di positivo. Il passo avanti lo faremo quando la
Cgil lo straccerà, non ora che la Fiom lo accetta.
Il problema del 28 Giugno non si esaurisce unicamente nello stabilire
cosa sia effettivamente, se un passo avanti o due o tre indietro.
Landini e Airaudo quando sostengono che la Confindustria non lo
rispetta, dicono in fondo una cosa sbagliata. Infatti, proprio perché
il discorso sulla certificazione, nell’accordo del 28 Giugno non è
che un accenno del tutto indefinito, mentre le deroghe son precisate
nella maniera più rigorosa, ne viene che la Confindustria rispetta
sostanzialmente l’accordo, mentre chi non lo accetta nella maniera
più assoluta, ed è bene che continui a non accettarlo, è la Fiom
che alle deroghe ancora non si è sottomessa.
Chiedere alla Confindustria di rispettare l’accordo del 28 Giugno,
vuol dire stuzzicarla perché chieda alla Fiom di rispettare le
deroghe, visto che evidentemente un accordo non si può rispettare
solo nella parte che piace, la presunta certificazione, ma anche in
quella che non piace, le deroghe appunto. Finché la Fiom non
rispetterà le deroghe è del tutto inutile e controproducente che
chieda il rispetto del 28 Giugno per la certificazione. L’una non
verrà senza le altre. E il danno delle deroghe sarà dieci volte più
grande dell’eventuale vantaggio della certificazione, sempre che la
Confindustria la conceda, cosa del tutto improbabile.
La Fiom è convinta che avendo la maggioranza dei lavoratori con sé,
una volta ottenuta la certificazione degli iscritti, con circa il 60%
dei tesserati e delle RSU, non sarebbero più possibili accordi
separati. Se questo è vero forse a livello a nazionale, lo è solo
formalmente. Infatti una volta ottenuto un contratto unitario,
sarebbe un gioco da ragazzi derogare per quelle fabbriche, Fiat in
primis, in cui la Fiom non è maggioranza. Inoltre col 28 Giugno,
vengono incoraggiati i sindacati di comodo per far passare eventuali
accordi indigesti alla maggior parte delle rappresentanze. In breve
il 60% degli iscritti, una volta certificato che accetteranno le
deroghe, si troveranno in mezzo a una balcanizzazione dei contratti
al confronto della quale, quella di adesso, apparirà come il
paradiso terrestre. Gli accordi separati e le deroghe non sono una
questione di contabilità sindacale, ma di rapporti di forza, e un
sindacato che col 60% della forza disponibile non è in grado di
impedire accordi separati, o ha in quel 60% una massa di smidollati,
oppure non sa usare quella forza. E non sarà una certificazione a
cambiare le cose. La certificazione certificherà quel che la realtà
ha già accertato: la Fiom non sa lottare o lotta male, senza metodo.
L’ultima carta gettata sul tavolo da Landini e Airaudo per far
digerire gli accordi del 28 Giugno, è la questione democratica.
Siccome la Fiom sta in Cgil e nella Cgil la Fiom è in minoranza, ne
viene che dobbiamo accettare il 28 Giugno in rispetto delle regole
democratiche. Con ciò abbiamo appurato due cose: primo che per un
anno abbondante la Fiom è stata antidemocratica e avrebbe potuto
incappare nell’espulsione; e secondo che ai piani alti della nostra
organizzazione non si ha la più pallida idea di che cosa siano le
regole democratiche, almeno quelle che si trovano nei libri di
Bobbio, Kelsen, Sartori e tanti altri padri della moderna democrazia
borghese. Padri, è vero, non nostri, e ai quali dovrebbe andare
tutto il sarcasmo di cui siamo capaci, ma non per quel poco che
contengono di sensato nelle loro teorie. In democrazia chi è in
maggioranza ha il diritto di applicare la sua linea e di pretendere
pure che la minoranza si allinei. La Cgil dunque ci imponga pure il
28 Giugno. Ma chi è contrario e in minoranza, ha il diritto di
difendere la sua posizione critica e di continuare a criticare fino al ribaltamento delle posizioni. Solo
in questa maniera è possibile il gioco democratico, l’alternanza
tra una maggioranza e una minoranza. L’idea che la minoranza salti
sul carro della maggioranza per tirare lei la volata all’accordo
del 28 Giugno, si trova solo nel Bignami di democrazia secondo
Airaudo. Infatti, in questa maniera, la questione democratica
sparisce, perché non si accetta più il 28 Giugno perché si è in
minoranza, ma lo si accetta perché minoranza e maggioranza non ci
sono più, fuse assieme nel sostegno al 28 Giugno e, di fatto, nella
dissoluzione della democrazia che senza maggioranza e minoranza
semplicemente non esiste.
Non so se Airaudo e Landini hanno riflettuto a fondo sulle
implicazioni dell’accettazione dell’accordo del 28 Giugno. Se
rientrassimo in Fiat per colpa delle deroghe accettate dalla Cgil e
imposte a noi della Fiom, sarebbe un conto, se lo facessimo per
capitolazione nostra sarebbe un altro. Nel primo caso potremmo
presentarci dai lavoratori a testa alta, ammettendo la sconfitta ma
anche garantendo loro la continuazione della nostra battaglia in Cgil
per la cancellazione del 28 Giugno. Nel secondo invece ci
presenteremmo da traditori che non possono più far niente perché
del 28 Giugno sono ormai complici. La disfatta sarebbe totale come il
trionfo di Fim e Uilm.
Questo è tutto il dramma al completo della giravolta Fiom sul 28
Giugno. Ma è solo il primo atto di un dramma che ha tanti altri
atti...
FIOM AL SERVIZIO DELLA
MAGISTRATURA AL SERVIZIO DEI PADRONI
Salutato,
purtroppo, da scrosci di applausi, Landini ha confermato l’appoggio
totale della Fiom alla magistratura all’Ilva come da ogni altra
parte. All’Ilva come a Pomigliano dovremo difenderci con le armi
della magistratura, non con le nostre. Di fronte alla magistratura,
dunque, la Fiom è disarmata. Eppure proprio dalla sentenza più
importante venuta dalla magistratura, ci sarebbe più di un motivo,
se non per prenderne le distanze, almeno per non offrirle tutto il
nostro appoggio. A Pomigliano la magistratura ha sentenziato che
Marchionne dovrà riassumere 145 iscritti alla Fiom perché finora li
ha discriminati. La Fiom, prima del referendum su Fabbrica Italia,
aveva 623 iscritti, scesi a 382 tra minacce e paura a Gennaio 2011.
Questo significa che anche nella migliore delle ipotesi la
magistratura difende il 23% dei lavoratori, e cioè per il 77% tutela
i padroni. E la Fiom non può stare al fianco, allineata e coperta, a
una magistratura che tutela meno di un quarto di noi e più di tre
quarti li lascia sbranare dai padroni. Deve usarla come leva per
tutelare il 100% di noi. Ma questo significa ricordare ad ogni
sentenza, anche positiva, il suo carattere di classe. Noi non abbiamo
bisogno del giusto mezzo tra noi e Marchionne, ma di toglierci di
mezzo tutti quelli come lui. E una magistratura che non ce lo leva di
dosso ci aiuta poco e niente. Perché come anche la sentenza di
Pomigliano dimostra, se aspettiamo la Magistratura, non saremo mai
noi i tutelati, tuttalpiù i Marchionne quando esagereranno saranno
costretti a riprendersi qualcuno di noi tra le balle.
COMETA:
LA NUOVA INTEGRAZIONE AL PROFITTO
Dopo
aver capitolato sul 28 Giugno, Landini prosegue la capitolazione
della Fiom, offrendo la rinuncia alla piattaforma per il rinnovo del
contratto in cambio di un accordo ponte che salvaguardi l’occupazione
eccetera. Nel piatto, oltre allo scalpo della piattaforma, Cometa, il
fondo integrativo per la pensione, sacrificato sull’altare
dell’accumulazione del Capitale. Landini, lo fa in nome del sostegno
all’industria del Paese magari riverniciata da nuovo modello di
sviluppo. E questo nuovo modello di sviluppo che per partire ha
bisogno della tua pensione integrativa, non può essere tanto diverso
dal vecchio che ha bisogno della sua disintegrazione. Landini ha
giustificato il sacrificio di Cometa, spiegando che il fondo è
investito per il 75% in titoli di Stato stranieri. Di conseguenza non
è un delitto proporre che quello che viene investito all’estero in
titoli di Stato, venga ora investito in azioni di società italiane.
Un progetto che si presentava addirittura come spaziale, finisce così
nella spazzatura locale. Il disastro è totale, non solo gli operai
verranno privati di quel minimo di garanzia che uno Stato borghese
può dare e un’azienda privata no (uno stato fallisce con molta
meno frequenza delle aziende), ma soprattutto verranno convinti a
gettare alle ortiche l’internazionalismo in nome del più frusto
nazionalismo. Non importa che togliere titoli di Stato stranieri
manderà sul lastrico milioni di operai negli altri paesi, non
importa che anche i fondi pensione stranieri avranno analoghi
investimenti in Italia, per cui potrebbero ricambiare simili
rigurgiti di nazionalismo, con analoghi rigurgiti, quello che conta è
sacrificare tutto al moloch dell’industria del Paese che ovviamente
incasserebbe l’offerta senza aumentare di un centesimo la domanda
salariale di manodopera.
Qualche burocrate, naturalmente, potrebbe sempre obbiettare che
rientrati in Italia i fondi italiani, rientrati in America i fondi
americani eccetera, più o meno non cambierebbe nulla, quindi la Fiom
non sarebbe causa di disastri occupazionali negli altri paesi.
Ognuno, solo, si terrebbe il disastro suo. Senza Storia, i burocrati
presentano sempre l’ultimo disastro appellandosi al disastro
precedente. Al di là del più vieto nazionalismo, è chiaro che una
volta investito il 75% del fondo Cometa in sviluppo italiano, Landini
può presentare più o meno come sensata la sua proposta. Ma la
domanda che dovrebbe porsi è perché esiste Cometa? Come è nata? Se
lo facesse la proposta dovrebbe subito rimangiarsela. Cometa infatti
non dovrebbe esistere. Esiste perché ancora oggi Landini e quelli
come lui non son capaci di spedire su Marte i padroni e ci fanno fare
in eterno i loro satelliti. La direzione in cui dovrebbe andare la
Fiom è quella di nessun integrazione alla pensione, cioè la
pensione di diritto dopo 30 anni di lavoro e con paga agganciata al
contratto dei metalmeccanici. La pensione dovrebbe essere erogata da
uno Stato proletario che ha abbattuto il capitalismo, oppure qualora
l’abbattimento non sia ancora stato possibile, da uno Stato
borghese che comunque garantisce un minimo di protezione dalle
oscillazioni del mercato. Cometa rappresenta una primo cedimento al
libero commercio della pensione. Da una pensione relativamente
protetta da uno stato borghese, a mezza pensione disintegrata dallo
Stato più mezza pensione semi-distrutta dai padroni. La direzione
scelta da Landini, che s’appoggia agli errori precedenti, non va,
come dovrebbe, verso la completa ristatalizzazione della pensione, ma
verso la sua definitiva privatizzazione. Di questo passo il Landini
prossimo venturo, appoggiandosi a quello presente che ha investito
Cometa nelle imprese italiane, sarà pronto per investire quel che
resta direttamente nelle stock option di Marchionne!
RAPPORTI
DI FORZA E REALISMO
Questi
continui cedimenti vengono presentati regolarmente come frutto del
realismo che deve considerare i rapporti di forza. Fuori dalla realtà, il sedicente realismo non capisce che sono tutti questi cedimenti ad aver
creato questi rapporti di forza e non il contrario. Ma sono davvero
realistiche queste proposte? Corrispondono davvero ai rapporti di
forza? Gli attuali rapporti di forza possono essere sintetizzati
così: la Fiom chiede 200 a una controparte che non offre né 100 né
50, ma pretende -100. L’attuale deriva della Fiom è il realismo di
dirigenti che continuano a calare le loro pretese, da 200 a 150 a 100
a 50 senza mai arrivare al -100 richiesto dalla Confindustria. E fino
a quando non arriveranno a -100 non avranno niente di realistico e
non corrisponderanno ai rapporti di forza, perché tra l’altro
tenderanno a peggiorarli, a far sì cioè che la Confindustria scenda
ancora a -200, -300 eccetera. L’attuale dirigenza purtroppo non sa
costruirli i rapporti di forza perché non ha metodo. Al posto della
lotta di classe s’illude di poter provare a rientrare in trattativa
con le manovre burocratiche, un patto con la Camusso, un’offerta
alla Confindustria, un appello a Fim e Uilm e due al Governo Monti. E
mentre s’appella a tutta questa ciurmaglia, per meglio offrirsi,
sacrifica sull’altare i suoi elementi migliori che potrebbero
disturbarla nell’opera di avvicinamento. Per questo è stato
estromesso Bellavita, il più radicale dei dirigenti, dalla
segreteria. Ed è per questo che Eliana Como, tra le nostre migliori
soldatesse, è stata trasferita da Bergamo a Roma. Il realismo è
così, mentre piagnucola sui rapporti di forza, sega le sue radici
più robuste. Crea cioè le premesse, per peggiorare ancora di più i
nostri rapporti di debolezza.
A Modena, un coraggioso lavoratore, ha chiesto conto a Landini dell’esclusione antidemocratica di Bellavita e del richiamo coatto
a Roma di Eliana Como. La risposta è stata che la democrazia va
bene, ma che a lui la tradizione ha insegnato che la democrazia va
coniugata con il rispetto e la responsabilità. Eppure la cacciata di
Bellavita è stata motivata con la completa divergenza dalla linea di
maggioranza. Il motivo è dunque un’opinione, non altro. E di
conseguenza Eliana Como e Sergio Bellavita sono due irresponsabili
per aver osato esprimere un’opinione che non è neanche diversa da
quella della maggioranza, corrisponde semplicemente alla maggioranza
di un anno fa. Se Landini e Airaudo fossero quelli di ieri,
dovrebbero auto-estromettersi dalla segreteria nazionale. Ma non lo
farebbero perché non è tanto per la linea di opposizione che
Bellavita ed Eliana Como sono stati cacciati, visto che non ci
può opporre davvero a una linea che cambia ogni 5 minuti, sono stati
defenestrati appunto per la tradizione a cui Landini fa riferimento.
E questa tradizione, Landini non lo ha detto ma io lo so, è la tradizione del vecchio PCI, la tradizione
ancora dura a morire dello stalinismo italiano. Una tradizione che
certo non raggiunge gli eccessi di una volta ma che tuttavia si fa
ancora sentire, nell’impianto fondamentalmente antidemocratico ma
soprattutto nell’impianto teorico anti-marxista, anti-scientifico e
del tutto empirico con cui la Fiom ancora oggi si presenta agli scioperi. Ed è un peccato, perché presentarsi con un impianto anti-marxista al primo sciopero internazionale, cioè marxista, dopo tanti anni, vuol dire presentarsi ancora fermi al cospetto della Storia che ricomincia.
Stazione dei Celti
Mercoledì 14 Novembre 2012
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