PERCHE’ VENDOLA PUO’ SOLO PERDERE
di
Norberto Fragiacomo
La nostra ipotesi/auspicio, espressa un paio di settimane fa, si è rivelata poco realistica: Nichi Vendola non lascia, semmai raddoppia, e tanto vale prenderne atto.
Intervistato dall’incalzante Lucia Annunziata, il presidente pugliese ha ribadito le sue dure critiche al montismo e si è detto sicuro di poter rappresentare la sorpresa delle primarie, vincendole. Ne è davvero persuaso? Non sapremmo rispondere: in fondo, la prima sfida contro Francesco Boccia (per la candidatura pugliese) sembrava persa in partenza, e nella seconda – conclusasi con un plebiscito a favore di Nichi – i due candidati erano dati alla pari dai media più influenti. In teoria, il carisma del leader di SeL potrebbe funzionare ancora, e regalargli un clamoroso trionfo – solo in teoria, però, perché l’inarrestabile ascesa di Grillo e soprattutto l’avvento di Mario Monti hanno radicalmente mutato lo sfondo su cui ai protagonisti (o sedicenti tali) tocca muoversi. Ancora un anno e mezzo fa Nichi incarnava, per l’elettorato di sinistra, il nuovo della politica, ed era idolatrato come una popstar: le feste del suo partito (chi scrive ne rammenta una a Padova) erano affollate di giovanissimi, e i tesserati crescevano come funghi dopo un acquazzone autunnale.
Purtroppo non si vive di pane e poesia: in una situazione nazionale sempre più ingarbugliata, la narrazione fu oscurata dai tatticismi, la bussola impazzì e subentrò la disillusione. Prima il progetto di creare una nuova Sinistra di massa, poi l’OPA ostile sul PD (attraverso lo strumento delle primarie), infine l’affiancamento a quest’ultimo: costretto a giocare di rimessa, sempre più in affanno, Vendola spariva dai balconi televisivi, su cui si affacciavano personaggi nuovi, più “arrabbiati”, in apparenza più innovatori – il ciclone Grillo, Renzi il rottamatore -, o figure rassicuranti di salvatori della patria (il duo Monti-Napolitano, con il loro codazzo di banchieri in aspettativa e baciapile vaticani). Dopo una lunghissima attesa, le primarie sono finalmente arrivate; ma sono arrivate tardi, troppo tardi per consentire a Nichi Vendola di fare tris: oltretutto, quella del 25 novembre-2 dicembre è una competizione a misura di PD [1], con gli elettori chiamati a scegliere il politico più adatto ad attuare un programma centrista e – nei fatti – montiano. La Carta d’intenti assomiglia al cerchio magico di un racconto gotico di Gogol: chi si azzardasse a uscirne sarebbe condannato a morte (politica) certa, non solo per la presenza di forze acquattate “nell’ombra” e pronte a dilaniarlo, ma per l’esplicita previsione – contenuta nel documento sottoscritto da tutti i candidati – che le decisioni politiche più importanti saranno demandate, in caso di successo elettorale del centrosinistra, non al candidato premier bensì ai gruppi parlamentari, egemonizzati dal PD, che in termini elettorali vale sei volte Sinistra Ecologia Libertà.
Questo comporta che se, contro ogni pronostico, Nichi facesse l’impresa sarebbe condannato al ruolo ingrato di re travicello: tutte le sue belle e condivisibili parole resterebbero inevitabilmente lettera morta, visto che renziani, centristi e bersaniani (Fassina compreso) sono d’accordo nel conservare fiscal compact, taglio alle pensioni, controriforma del lavoro ecc.
Nell’Italia sotto scacco spread la strategia dell’entrismo non paga, specie se si sceglie, come “organismo ospite”, un partito nient’affatto autonomo, bensì condizionato da istituzioni – nazionali e internazionali – cui niente sfugge: l’idea del cavallo di Troia si rivela vincente solo perché i troiani, ubriacati dagli dei, accolgono il catafalco in casa, e poi si assopiscono in massa. Le manovre sulla legge elettorale, ma specialmente l’avvertimento kuwaitiano di Mario Monti (“non garantisco per l’Italia dopo le elezioni”) ed il successivo monito di Napolitano (“chiunque vada al governo dovrà proseguire sulla strada del rigore”) certificano che il potere non dorme: attende ogni ipotetico avversario a piè fermo.
Dopo aver disdegnato una ritirata strategica (verso sinistra), il condottiero Vendola prova a galvanizzare se stesso e i suoi, levando alto il grido di battaglia – ma supponiamo sappia che i nemici non sono alla sua portata.
La nostra personalissima (ed opinabilissima) impressione è che il leader di SeL non abbia compreso fino in fondo la portata della “rivoluzione” montiana [2], che ha prodotto la messa sotto tutela del Paese, delle sue istituzioni e delle sue forze politiche. Al principio dello scorso anno, quando lui chiedeva a gran voce le primarie, convinto (probabilmente non a torto) di potersele aggiudicare, la nozione di spread era nota solo agli economisti, Berlusconi sembrava spadroneggiare e la crisi era un rumore di fondo. E’ stato sufficiente un colpo di ariete economico – nell’estate 2011 – perché la casa di paglia crollasse, seppellendo inquilini che parevano inamovibili: finalmente abbiamo visto in faccia il vero nemico, una piovra internazionale senza volto (perché ne ha tantissimi) a paragone della quale il satrapo di Arcore è un arzillo, pittoresco vecchietto. Chi controlla i mercati ha decretato la messa in liquidazione della c.d. azienda Italia, ed ha affidato a Monti e a uno stuolo di seguaci il ruolo di commissari – con un mandato che (lo scrivevamo già a novembre 2011) prevede la svendita dello Stato, la privatizzazione del welfare, l’asservimento delle masse lavoratrici, l’immiserimento diffuso ed ovviamente nessuna patrimoniale. Nella sua opera di pseudo risanamento, che ha fruttato al Paese il crollo del PIL ed un sensibile incremento del debito pubblico, l’esecutivo Monti si è avvalso dei servizi del Partito Democratico – quello stesso partito che, secondo Vendola, dovrebbe aiutarlo nel 2013 a rimettere le cose a posto, ripristinando protezioni e diritti! Qui non si tratta di essere più o meno ottimisti, ma di scambiare il sogno (o la propria narrazione) per la realtà.
Invece che accostarsi ad un’ala (quella fintamente “di sinistra”) dello schieramento napolitan-montiano, Nichi Vendola avrebbe dovuto rivedere i propri piani, e tornare al progetto iniziale, quello di dar vita ad una sinistra radicalmente antiliberista, propositiva e di governo. Affermare che non esistevano spazi è ridicolo: i risultati conseguiti da Beppe Grillo (e non solo nei sondaggi: in elezioni vere!) provano che un’ampia fetta di cittadini italiani si oppone al rigore a senso unico ed all’istituzionalizzazione dell’ingiustizia sociale. Inoltre, la dura repressione poliziesca delle più recenti manifestazioni di lavoratori e studenti testimonia che il potere paventa un’escalation della protesta sociale, e intende soffocarla sul nascere.
Sussistono oggi le condizioni obiettive per la nascita di una forza anticapitalista di massa, che raggruppi forze politiche (PRC, ALBA, Lista dei sindaci, LdS ecc.), sindacali (USB, Cobas, si spera la FIOM) e movimenti di protesta (disoccupati, studenti, No Tav, No Debito…). Questa nuova formazione, o federazione, deve ottenere il suo riconoscimento in piazza e dalla piazza [3], amalgamando gruppi di cittadini atterriti o insoddisfatti e dando loro una prospettiva che non può essere limitata all’ambito nazionale. Da questo punto di vista, lo sciopero europeo del 14 novembre rappresenta un piccolo passo nella direzione giusta.
E’ chiaro che per crescere la protesta dovrà essere civile e democratica, ma è ugualmente chiaro che chi scende in piazza dovrà poterlo fare serenamente, sentendosi garantito e protetto da aggressioni violente di qualsiasi natura e provenienza: pestaggi come quelli di Roma e di Brescia non sono assolutamente tollerabili.
In questo schema non c’è posto per tricicli in affitto: nessuna alleanza, nessuna vicinanza, nessun appoggio indiretto è possibile a chi candida personaggi (Tabacci, tanto per fare un nome) che, in perfetta malafede, ripetono in tv il messaggio psyops “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”.
Nichi Vendola ha smarrito il sentiero, finendo nelle sabbie mobili del centrismo: l’unica, teorica via d’uscita per lui sarebbe imporsi alle primarie, indi battere il pugno sul tavolo, chiedendo al PD la completa riscrittura della carta e, subito l’inevitabile rifiuto, abbandonare la coalizione, portandosi dietro gli elettori conquistati sul campo – una mission impossible che scoraggerebbe Tom Cruise.
In sostanza, l’esito delle primarie non ci riguarda affatto: chiunque si affermi – a quelle del PD così come a quelle caricaturali, quasi dadaiste del PdL – sarà un montiano di complemento.
Con lui la sinistra e, nello specifico, la Lega dei Socialisti non devono avere nulla a che spartire, né oggi né mai: le lusinghe dei democratici sono come quelle del diavolo, conducono alla dannazione, cioè ad un precariato vita natural durante, che non riguarderà solo i contratti di lavoro.
[1] Non a caso, alcuni commentatori (ad es. Vianello) le definiscono sic et simpliciter “primarie del PD”.
[2] Si noti: stiamo dando per scontata la sua buona fede…
[3] Anche attraverso la raccolta di firme per i referendum contro le “riforme” montiane, promossi da varie forze politiche e sindacali di sinistra, tra cui SeL.
1 commento:
Si continua a seminare l'illusione di poter ottenere il necessario e insopprimibile cambiamento della società attraverso il riformismo e le sue rituali e stantie forme di protesta che hanno dimostrato tutta la loro inconcludenza: "E’ chiaro che per crescere la protesta dovrà essere civile e democratica ...".
Bisogna invece elevare la coscienza dei lavoratori, degli studenti e delle classi subalterne alla comprensione della necessità di "abbattere" il sistema capitalistico. Al di fuori di questa prospettiva non ci potrà mai essere nessuna soluzione efficace e duratura.
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