BEPPE GRILLO: DAL BLOG AI BORG
di
Norberto Fragiacomo
Beppe Grillo
seguita ad essere un oggetto misterioso – ed un bersaglio per la stampa
allineata (da Repubblica in giù). Certo, ci mette del suo: la scomunica alla
consigliera bolognese Salsi è parsa, anche a chi scrive, violenta e sopratono,
e i “dieci comandamenti” imposti agli attivisti del M5S sono un’eloquente
confessione della mancanza di democrazia all’interno del movimento.
Non basta
organizzare frequentissimi (e frequentatissimi) meetup [1] se
poi a decidere è uno solo, o al massimo una coppia di fatto.
E’ da ipocriti,
tuttavia, spacciare il decalogo per una specie di fulmine a ciel sereno: la
stragrande maggioranza delle prescrizioni è assolutamente familiare a chi ha
assistito anche ad un solo comizio/spettacolo dell’ex comico
genovese.
R come Rimborsi: il
movimento ne fa a meno; M come Mandati: non più di due; E come Elezioni: non si
può usare una carica (ad esempio, quella di consigliere comunale) come
trampolino di lancio per altre, più prestigiose e remunerate ecc. Anche il
tetto stipendiale di cinquemila euro lordi per ogni parlamentare eletto non
rappresenta una novità: è spedendo messaggi come questi che Beppe Grillo ha
costruito, in prima persona, la popolarità ed il successo dei
Cinque Stelle. Senza il loro “megafono” umano, i Cancellieri, i Favia, i
Pizzarotti non sarebbero mai usciti dall’anonimato: il c.d. fenomeno Grillo è
legato ad un singolo personaggio, alle sue doti mediatiche, a denunce talvolta
condivisibili talaltra generiche e un po’ ruffiane (tutti i politici sono
ugualmente ladri, succhiano insieme il sangue della brava gente che produce
ecc.). Può dispiacerci che una larga fetta degli italiani creda in lui (senza
maiuscola: non è certo Grillo il nuovo Mussolini!), ma dobbiamo riconoscergli
impegno, abilità, lungimiranza e un certo coraggio.
Ubi commoda ibi incommoda: se il candidato, durante la campagna, si avvantaggia
dell’appoggio del capo, che diritto ha di “ribellarsi” ad elezione avvenuta? In
fondo, le linee guida dovevano essergli note sin dall’inizio, visto che non
sono mutate negli anni: chi non le approva poteva benissimo non candidarsi.
Questo, pressappoco, ha detto Vittorio Feltri, ospite di Santoro – e, per una
volta, siamo tentati di dargli ragione. Resta un problema di fondo: come
conciliare questo verticismo, che elettoralmente sta fruttando parecchio, con
l’insistito richiamo alla democrazia diretta, dal basso? La teorizzazione del
capo-megafono ricorda sinistramente il Fuehrerprinzip, con la guida
chiamata ad interpretare (e, nella realtà, a manipolare) il “sano sentimento
del Popolo”, ma il programma di Grillo non ha nulla di sulfureo, e bisogna
saper distinguere tra mini-tentazioni autoritarie e scelte tattiche, dettate
dal buon senso e dall’esperienza.
Il più criticato
dei comandamenti riguarda la televisione e, nello specifico, i talk
show:
“non sono "vietate" interviste di eletti del M5S
trasmesse in televisione per spiegare le attività di cui sono direttamente
responsabili. E' fortemente sconsigliata (in futuro sarà vietata) la
partecipazione ai talk show condotti abitualmente da giornalisti graditi o
nominati dai partiti, come è il caso delle reti RAI, delle reti Mediaset e de
La7.”
Qual è il senso di questo divieto?
E’ troppo facile concludere – come fa qualche
commentatore mainstream –
che Beppe Grillo non vuole concorrenti a casa sua, descriverlo come geloso
dell’altrui fama. Crediamo che la spiegazione sia più lineare, e meno legata ad
un’ipertrofia dell’ego. Il fondatore ha acquisito consensi trasversali marcando
la differenza tra i suoi e gli altri: politici “morti”,
partiti tutti uguali, giornalisti “graditi o nominati”; per evidenziare la
distanza dai “nemici”, e da tutte le loro ideologie, ha rifiutato
l’abituale terreno di confronto, la tivù, pur non rinunciando a
servirsene onde amplificare il messaggio a cinque stelle. Sapendo di
costituire un “fenomeno”, e dunque di essere mediaticamente appetibile, si è
lasciato inseguire dai conduttori, ma senza mai adattarsi alle regole d’ingaggio
(contraddittorio ecc.).
E’ proprio quest’alterità, questo presentarsi
come una sorta di alieno (“noi
siamo sopra!”) che viene messa a repentaglio dalle apparizioni dei neoeletti
sul grande schermo: il mischiarsi al “politicume” riduce i grillini a
rappresentanti come gli altri, toglie loro quell’alone di mistero che
l’elettorato sembra tanto apprezzare. Ecco allora che Federica Salsi viene
lapidata coram
populo, non per quello che ha detto – nulla di grave o
di memorabile –, ma per essere uscita dal cono d’ombra, dalla clausura virtuale
che il capocomico pretende dai suoi seguaci. L’atteggiamento può non piacere, e
a chi scrive non piace affatto, ma risponde ad una logica politica, quella di
tenersi stretto un vantaggio conquistato sui concorrenti.
Facendo un paragone… televisivo, Beppe Grillo
pare avere in mente il modello Borg di Star Trek: una
comunità di uomini-robot superefficienti, ciascuno dei quali agisce come un
ingranaggio dell’astronave-macchina, ed esprime la volontà collettiva al netto
di considerazioni personali. Non è dunque l’inesperienza dei suoi a
preoccuparlo (così la pensa Mentana), quanto piuttosto le ambizioni
individuali, il gusto per la celebrità che, in mondo costruito intorno ai
media, può contagiare chiunque - e l’aura di notorietà creatasi intorno ai due
“ribelli” Favia e Salsi, rafforzata da ulteriori comparsate, dimostra, almeno
in parte, la fondatezza dei timori di Grillo, che paventa una deriva partitica
del movimento.
Troppe esternazioni, troppi protagonismi
danneggerebbero il brand, poiché svelerebbero al pubblico – cioè
agli elettori – che i passeggeri dell’UFO hanno, a seconda dei casi, idee di
sinistra o di destra, simpatie per questo o per quello ecc., e che magari sono
del tutto simili ad una quota (almeno) dei loro avversari.
Si prospetta, per il Beppe nazionale, una
battaglia assai ardua, per due motivi. Il primo è che l’ambizione (napoleonica)
di creare un giudice “bocca della legge” – cioè interprete autentico di una
volontà prefissata – si scontrò con la varietà di opzioni interpretative
riconducibile all’unicità di ogni essere umano; il secondo è che Grillo,
stavolta, ha cannato di brutto, sbagliando il tono del messaggio. L’uomo ed il
comico hanno sempre preferito la mazza al fioretto, ma nei due casi di insubordinazione
citati sarebbe stata più efficace la moral suasion,
un paterno rimbrotto seguito da chiarimenti e avvisi. Scegliendo lo
scontro, il nostro ha fatto, una volta tanto, il gioco degli odiati giornalisti,
cui non è parso vero di poter dar voce agli scontenti all’interno del M5S.
Un passo falso,
quindi, che mette a nudo una debolezza del movimento: la sua maggior risorsa ne
rappresenta, paradossalmente, un limite, causa la rinuncia di Grillo ad
avvalersi di consiglieri all’altezza (che non siano l’ormai “famigerato”
Casaleggio), capaci, all’occorrenza, di placarne gli ardori. E qui riemerge la
questione iniziale: l’esasperato verticismo e l’assenza di democrazia interna
che, superata la fase del blog, minano la tenuta di un partito-non
partito che, con raffinata ironia, è stato già paragonato a Scientology (vale
a dire ad una setta computer-literate).
[1] “Un
gruppo di cittadini che agisce e si informa in modo autonomo, in modo libero.
Un gruppo di cittadini che vuole migliorare la qualità della vita di Roma e
dell’Italia”: la definizione è presa dal sito www.grilliromani.it.
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