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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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lunedì 12 novembre 2012

BEPPE GRILLO: DAL BLOG AI BORG di Norberto Fragiacomo





BEPPE GRILLO: DAL BLOG AI BORG
di
Norberto Fragiacomo



Beppe Grillo seguita ad essere un oggetto misterioso – ed un bersaglio per la stampa allineata (da Repubblica in giù). Certo, ci mette del suo: la scomunica alla consigliera bolognese Salsi è parsa, anche a chi scrive, violenta e sopratono, e i “dieci comandamenti” imposti agli attivisti del M5S sono un’eloquente confessione della mancanza di democrazia all’interno del movimento. 
Non basta organizzare frequentissimi (e frequentatissimi) meetup [1] se poi a decidere è uno solo, o al massimo una coppia di fatto.
E’ da ipocriti, tuttavia, spacciare il decalogo per una specie di fulmine a ciel sereno: la stragrande maggioranza delle prescrizioni è assolutamente familiare a chi ha assistito anche ad un solo comizio/spettacolo dell’ex comico genovese. 
R come Rimborsi: il movimento ne fa a meno; M come Mandati: non più di due; E come Elezioni: non si può usare una carica (ad esempio, quella di consigliere comunale) come trampolino di lancio per altre, più prestigiose e remunerate ecc. Anche il tetto stipendiale di cinquemila euro lordi per ogni parlamentare eletto non rappresenta una novità: è spedendo messaggi come questi che Beppe Grillo ha costruito, in prima persona, la popolarità ed il successo dei Cinque Stelle. Senza il loro “megafono” umano, i Cancellieri, i Favia, i Pizzarotti non sarebbero mai usciti dall’anonimato: il c.d. fenomeno Grillo è legato ad un singolo personaggio, alle sue doti mediatiche, a denunce talvolta condivisibili talaltra generiche e un po’ ruffiane (tutti i politici sono ugualmente ladri, succhiano insieme il sangue della brava gente che produce ecc.). Può dispiacerci che una larga fetta degli italiani creda in lui (senza maiuscola: non è certo Grillo il nuovo Mussolini!), ma dobbiamo riconoscergli impegno, abilità, lungimiranza e un certo coraggio.

Ubi commoda ibi incommoda: se il candidato, durante la campagna, si avvantaggia dell’appoggio del capo, che diritto ha di “ribellarsi” ad elezione avvenuta? In fondo, le linee guida dovevano essergli note sin dall’inizio, visto che non sono mutate negli anni: chi non le approva poteva benissimo non candidarsi. Questo, pressappoco, ha detto Vittorio Feltri, ospite di Santoro – e, per una volta, siamo tentati di dargli ragione. Resta un problema di fondo: come conciliare questo verticismo, che elettoralmente sta fruttando parecchio, con l’insistito richiamo alla democrazia diretta, dal basso? La teorizzazione del capo-megafono ricorda sinistramente il Fuehrerprinzip, con la guida chiamata ad interpretare (e, nella realtà, a manipolare) il “sano sentimento del Popolo”, ma il programma di Grillo non ha nulla di sulfureo, e bisogna saper distinguere tra mini-tentazioni autoritarie e scelte tattiche, dettate dal buon senso e dall’esperienza. 
Il più criticato dei comandamenti riguarda la televisione e, nello specifico, i talk show
non sono "vietate" interviste di eletti del M5S trasmesse in televisione per spiegare le attività di cui sono direttamente responsabili. E' fortemente sconsigliata (in futuro sarà vietata) la partecipazione ai talk show condotti abitualmente da giornalisti graditi o nominati dai partiti, come è il caso delle reti RAI, delle reti Mediaset e de La7.

Qual è il senso di questo divieto? 
E’ troppo facile concludere – come fa qualche commentatore mainstream – che Beppe Grillo non vuole concorrenti a casa sua, descriverlo come geloso dell’altrui fama. Crediamo che la spiegazione sia più lineare, e meno legata ad un’ipertrofia dell’ego. Il fondatore ha acquisito consensi trasversali marcando la differenza tra i suoi e gli altri: politici “morti”, partiti tutti uguali, giornalisti “graditi o nominati”; per evidenziare la distanza dai “nemici”, e da tutte le loro ideologie, ha rifiutato l’abituale terreno di confronto, la tivù, pur non rinunciando a servirsene onde amplificare il messaggio a cinque stelle. Sapendo di costituire un “fenomeno”, e dunque di essere mediaticamente appetibile, si è lasciato inseguire dai conduttori, ma senza mai adattarsi alle regole d’ingaggio (contraddittorio ecc.). 
E’ proprio quest’alterità, questo presentarsi come una sorta di alieno (“noi siamo sopra!”) che viene messa a repentaglio dalle apparizioni dei neoeletti sul grande schermo: il mischiarsi al “politicume” riduce i grillini a rappresentanti come gli altri, toglie loro quell’alone di mistero che l’elettorato sembra tanto apprezzare. Ecco allora che Federica Salsi viene lapidata coram populo, non per quello che ha detto – nulla di grave o di memorabile –, ma per essere uscita dal cono d’ombra, dalla clausura virtuale che il capocomico pretende dai suoi seguaci. L’atteggiamento può non piacere, e a chi scrive non piace affatto, ma risponde ad una logica politica, quella di tenersi stretto un vantaggio conquistato sui concorrenti.

Facendo un paragone… televisivo, Beppe Grillo pare avere in mente il modello Borg di Star Trek: una comunità di uomini-robot superefficienti, ciascuno dei quali agisce come un ingranaggio dell’astronave-macchina, ed esprime la volontà collettiva al netto di considerazioni personali. Non è dunque l’inesperienza dei suoi a preoccuparlo (così la pensa Mentana), quanto piuttosto le ambizioni individuali, il gusto per la celebrità che, in mondo costruito intorno ai media, può contagiare chiunque - e l’aura di notorietà creatasi intorno ai due “ribelli” Favia e Salsi, rafforzata da ulteriori comparsate, dimostra, almeno in parte, la fondatezza dei timori di Grillo, che paventa una deriva partitica del movimento. 
Troppe esternazioni, troppi protagonismi danneggerebbero il brand, poiché svelerebbero al pubblico – cioè agli elettori – che i passeggeri dell’UFO hanno, a seconda dei casi, idee di sinistra o di destra, simpatie per questo o per quello ecc., e che magari sono del tutto simili ad una quota (almeno) dei loro avversari.
Si prospetta, per il Beppe nazionale, una battaglia assai ardua, per due motivi. Il primo è che l’ambizione (napoleonica) di creare un giudice “bocca della legge” – cioè interprete autentico di una volontà prefissata – si scontrò con la varietà di opzioni interpretative riconducibile all’unicità di ogni essere umano; il secondo è che Grillo, stavolta, ha cannato di brutto, sbagliando il tono del messaggio. L’uomo ed il comico hanno sempre preferito la mazza al fioretto, ma nei due casi di insubordinazione citati sarebbe stata più efficace la moral suasion, un paterno rimbrotto seguito da chiarimenti e avvisi. Scegliendo lo scontro, il nostro ha fatto, una volta tanto, il gioco degli odiati giornalisti, cui non è parso vero di poter dar voce agli scontenti all’interno del M5S.

Un passo falso, quindi, che mette a nudo una debolezza del movimento: la sua maggior risorsa ne rappresenta, paradossalmente, un limite, causa la rinuncia di Grillo ad avvalersi di consiglieri all’altezza (che non siano l’ormai “famigerato” Casaleggio), capaci, all’occorrenza, di placarne gli ardori. E qui riemerge la questione iniziale: l’esasperato verticismo e l’assenza di democrazia interna che, superata la fase del blog, minano la tenuta di un partito-non partito che, con raffinata ironia, è stato già paragonato a Scientology (vale a dire ad una setta computer-literate).



[1] “Un gruppo di cittadini che agisce e si informa in modo autonomo, in modo libero. Un gruppo di cittadini che vuole migliorare la qualità della vita di Roma e dell’Italia”: la definizione è presa dal sito www.grilliromani.it.


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