IL TREPIDO DESIO DELL'ALMA AFFRANTA
(la Repubblica Romana del 1849 e noi)
di Carlo Felici
Viviamo in tempi di sovranità
sempre più limitata, perché l'orizzonte globale in cui si estende la ferrea
ideologia del “capitalismussive natura”, con cui si pretende di far credere che
non esista altra verità oltre quella del contingente, non rende possibile altra
libertà che non consista nel sentirsi pienamente organici ad un imperativo
categoricamente vincolato alla necessità di adeguare il volere al dovere essere
merce per fini di profitto.
Anche la nostra bella Repubblica
nasce già con questo imprimatur, in un'epoca in cui fu già molto importante
essere riusciti ad redigere una Costituzione tra le più avanzate al mondo, e,
potremmo dire senza tema di smentita, anche troppo “avanzata” per un popolo
poco educato e ancor più scarsamente abituato alla consuetudine dei diritti e
dei doveri necessari ed indissolubili in un autentico tessuto democratico. La
nostra Repubblica è così nata con un abito meraviglioso che però ha per molto
tempo nascosto vergogne alquanto luride e meschine: servilismo, corruttele,
clientelismo, ruberie, immoralità largamente diffuse nella gestione del potere
e dell'amministrazione pubblica, collusioni con mafie di ogni tipo e permanenti
tendenze municipaliste e centripete, sempre in agguato, per minare il senso di
appartenenza ad una comunità e ad uno Stato che, se il fascismo aveva
idolatrato, la repubblica dei boiardi ha continuato, nei fatti, spesso a
bestemmiare senza ritegno.
Tutto questo, mentre gli
equilibri geostrategici non ci hanno mai consentito di esercitare una sovranità
vera, tale cioè non da alimentare prosopopee imperialistiche, ma almeno per
decidere del nostro destino, oppure per sapere bene come e perché sono accadute
le stragi più efferate nel nostro territorio: da Portella della Ginestra, a
Bologna, a Ustica e via dicendo, enumerarle tutte per l'ennesima volta sarebbe
alquanto deprimente, ma tant'è, sono lì, nella nostra storia, ancora senza veri
colpevoli, senza mandanti..
C'è mai stato un momento in cui
gli italiani sono stati liberi e sovrani nella loro millenaria storia di servi
di re, imperatori, papi, feudatari, dittatori e plenipotenziari? No, forse
perché gli italiani hanno sempre trovato più comodo associare la libertà alla
furberia di fare i loro comodi, addossando la responsabilità dei loro errori al
loro “sovrano” di turno, e ovviamente cercando di fregarlo alla prima occasione
buona, e infine impiccandolo magari per i calzoni o buttandolo in un luogo
remoto del mare nostrum, appena non avesse più fatto comodo a tutti.
Qui la libertà è sempre stata
solo un sogno di pochi eletti o di pochi mesi. Troppo nevralgico infatti è
sempre stato un paese ficcato e proteso al centro di un mare che ha visto
scontrarsi ed incontrarsi civiltà di ogni genere e sorta, perché qualcuno non
volesse farne il suo trampolino personale adatto a tuffarsi nelle onde della
sua ambizione individuale, e tutto questo fino ad oggi, quando però rischia di
tuffarsi in un mare di monnezza o di rifiuti tossici.
E allora, tanto per tornare ad
uno di quei sogni in cui forse è bello risvegliarsi solo nella luce di una
eterna ed eroica beatitudine che ha però come viatico solo la morte, ci piace
pensare all'unico sprazzo di libertà e di sovranità popolare e nazionale, di
repubblica autenticamente democratica, concessa agli italiani nell'epoca
moderna: la Repubblica Romana del 1849
Quella, è bene ricordarlo, non fu
tanto una rivoluzione o una insurrezione, perché i romani allora, e con essi
alcuni credevano che potessero averlo anche gli italiani, un governo sovrano lo
avevano già, ed era quello del papa: Pio IX, che tante belle quanto vane
speranze aveva suscitato, assecondando il progetto giobertiano di un paese
libero sì, ma solo dallo straniero, per il resto però, continuamente
assoggettato ai sovrani locali, tutti devoti e riconoscenti verso un unico
sovrano nazionale e “federale”: il papa.
I romani protestarono sì, contro
il papa, quando un suo ministro e fiduciario venne ucciso, perché
sostanzialmente incapace di salvare gli equilibri politici, quando questi
divennero fragilissimi per la stessa incapacità del papa di mettersi a capo di
una vera guerra di liberazione, seguendo magari l'esempio di alcuni suoi
illustri predecessori come Alessandro III, ma soprattutto perché il popolo, una
volta assaggiata la libertà, ci aveva preso gusto. Così, dopo quella uccisione,
lo stesso popolo romano, non si fece vergogna di andare a “stanare” lo stesso
pontefice al Quirinale, per esigere maggiori diritti, e quando le guardie
svizzere lo presero a fucilate, insorse finalmente, ma senza per altro prendere
a cannonate la dimora del Papa come se fosse la Bastiglia. Anzi, chi lo
conduceva si parò, per impedirlo, persino davanti ai cannoni spianati, tanto
rispetto si aveva…persino delle architetture. Questo però non impedì a qualche
monsignore come Palma, di impugnare la pistola e di dare una lezione ai
facinorosi, magari di nascosto, da dietro una persiana, finendo però, a sua
volta impallinato inesorabilmente. Il papa così si spaventò e scappò a Gaeta,
una fortezza considerata, fino all'arrivo dei piemontesi che la spianarono a
cannonate anche a costo di fare una strage, inespugnabile.
E da lì non si trattenne più dal
gridare “Al lupo repubblicano! Al lupo repubblicano!” a tutta Europa, finché
non fu sicuro di smuovere ben quattro eserciti contro quella scalcagnata ed
irreverentissima repubblica, che però, in fondo, si limitò solo a riempire un
vuoto, a colmare un horror vacui, e che pur lo fece con grandissima civiltà,
memore delle migliori esperienze illuministe e socialiste dell'epoca.
Scrisse allora il suo ministro
degli esteri, Rusconi: “La Repubblica
Romana, derisa da alcuni, destata da altri, mal giudicata da tutti, vuol essere
apprezzata sotto tre differenti aspetti: il governo, l'assemblea, il popolo. Un
paese è disorganizzato quando i poteri che lo reggono sono in lotta tra di loro
o non sono l'espressione vera dei sentimenti delle moltitudini....Ora questa
armonia, questa concordanza si videro appunto nella barbara repubblica di Roma;
governo, assemblea e popolo furono all'unisono nei sentimenti, nei desideri,
nelle opere; ed è un fatto che poche volte si riscontra; se l'ordine, il
benessere e la pace non sono quindi segno di barbarie, e l'anarchia, il terrore
e la miseria non lo sono di civiltà, può infierirsi che Roma repubblica non fu
così selvaggia quanto disse la reazione.”
Per parlare adeguatamente della
Repubblica Romana, sarebbe necessaria una enciclopedia, o almeno un volume di
vasto respiro (che non escludo che scriveremo un giorno), anche perché per
troppo tempo su questa esperienza cruciale della nostra storia è calato il
silenzio: dalla seconda guerra mondiale al dopoguerra, in cui per altro
uscirono alcuni studi importanti come quelli di Demarco, Bonomi o Rodelli, fino
alle soglie del nuovo millennio, quando finalmente l'amore per questa storia un
po' dimenticata è risorto con una serie di nuovi studi, sia a cura degli
storici di professione sia ad opera di alcuni bravi giornalisti: basti
ricordare tra i vari: Severini, Monsagrati, Tomassini e Fracassi, per circa 40
anni però se ne è parlato pochissimo. I libri più importanti su questo periodo
restano comunque quelli editi subito dopo tale esperienza e consegnati alla
storia: Rusconi, Vecchi, Del Vecchio, Farini, Torre, e poco più in là,
Beghelli, Leti, scrissero le pagine più affascinanti di questa vicenda, alcuni
persino in presa diretta, sotto forma di diario epistolare, come Paladini e
Lazzarini.
Il bello è che, nonostante la perdurante
smemoratezza degli italiani o la permanente disattitudine alla lettura, i testi
di questi autori sono ormai, essendo dopo tanto tempo privi di diritti
d'autore, patrimonio storico di tutti e messi on line dalle più importanti
università americane, oppure da loro stesse ristampati in fotocopia. Si vede
che negli USA alla tradizione storica repubblicana e risorgimentale tengono più
di noi.
E' quindi poco opportuno in
questa sede ripercorrerne dettagliatamente o anche solo sinteticamente le tappe
fondamentali, dalla sua fondazione alla sua sconfitta, dovuta al perdurante
assedio e bombardamento non solo delle mura, ma anche di case, ospedali, chiese
e monumenti, ad opera del più potente esercito di quell'epoca: quello francese,
ci interessa invece maggiormente comprenderne la sua validità politica e
sociale e soprattutto capire quale monito essa eserciti ancora verso le nostre
coscienze.
La rimozione della sua storia e
la sua rinascita recente, infatti, coincidono con la storia di una Repubblica
la cui Costituzione, sebbene fosse figlia diretta di quella emanata per un solo
giorno dalla Repubblica Romana, è rimasta in vigore in modo continuamente
snaturato ed inapplicato per decenni, per essere infine “picconata” e
destrutturata negli ultimi venti anni, fino a quello che rischia di
configurarsi come il suo stravolgimento odierno definitivo, fino a che non ci
sarà più differenza tra costituzione formale e materiale, ma ci sarà solo una
costituzione “maceriale” imposta cioè sulle macerie della nostra democrazia.
Tornare a ricordare la Repubblica Romana, da venti anni a questa parte, è
quindi un po' come un lacerante singulto di amarezza e nostalgia, non solo per
ieri ma anche per l'oggi.
La Costituzione e l'opera della
Repubblica Romana furono un lampo di luce nell'oscurità di un'epoca in cui
prevalevano i velleitarismi e gli assolutismi, essa fu la reazione più fulgida
sia al terrore giacobino sia a quello della tirannide che del giacobinismo
adottò entusiastica lo stesso strumento di morte: la ghigliottina. Nel breve
periodo in cui essa si affacciò alla vita, fece in tempo a lanciare un
messaggio di libertà e di giustizia sociale che, eternamente, il futuro non
potrà non accogliere, anche se noi, con questo nostro presente, ne siamo ancora
indegni.
Lo studio sui provvedimenti
sociali più significativi ed avanzati della Repubblica Romana resta quello di
Demarco, nell'ultimo libro della sua trilogia sullo Stato Romano in epoca
moderna fino alla Rivoluzione. Egli fa notare non solo la rilevanza e la
straordinaria capacità innovativa dei provvedimenti presi, ma mette altresì in
luce la fragilità di un assetto istituzionale, che, pur guardando molto avanti
nel futuro, non aveva purtroppo gambe solide per raggiungerlo e purtroppo non
ne trovò nemmeno in altre nazioni sorelle.
Il grande paradosso di quella
storia fu che finì male a causa dei francesi, ma i rivoluzionari proprio sui
francesi contavano, allora, per poter conseguire il loro lieto fine; almeno su
coloro che, un anno prima, in Francia e a Parigi, erano scesi nelle vie e nelle
piazze erigendo barricate, e che tentarono di nuovo di insorgere il 13 giugno
del 1849, con LedruRollin, che provò impavidamente a guidarli, ma, essendo
troppo pochi, furono presi a sciabolate dai dragoni, e il loro stesso leader montagnardo fu costretto all'esilio per ben
20 anni: tutto il tempo in cui in Francia fu al potere Napoleone III. Da allora
la sorte della giovane Repubblica fu davvero segnata. Su Gabriel Laviron:
artista, filologo, litografo, scrittore e antiquario francese, in ogni caso, i
rivoluzionari romani poterono contare fino alla fine: si fece ammazzare dai
suoi conterranei, indossando la camicia rossa garibaldina.
Il grande direttore di questa
sinfonia di primavera, lo sappiamo, fu Mazzini e fu proprio grazie alle sue
capacità morali, e diremmo anche religiose, che questa Repubblica non degenerò
né in un bagno di sangue e tanto meno in formule astratte, in sterili quanto
velleitari classismi.
Mazzini seppe tenere unito il
popolo alle istituzioni e seppe forgiare istituzioni che fossero credibili per
il popolo, in cui lo stesso popolo poteva incarnare la forza della legge da
applicare. Il suo carisma si impose perché egli non fu uomo di parte ma uomo
della Comunità tutta, senza indulgere in sterili quanto inutili antagonismi tra
finte destre e finte sinistre, come accede fin troppo spesso miseramente sotto
i nostri occhi: "Ho udito parlare intorno a me di diritta, di sinistra, di
centro, denominazioni usurpate alla retorica delle vecchie raggiratrici
monarchie costituzionali; denominazioni che nelle vecchie monarchie
costituzionali rispondono alla divisione dei tre poteri, e tentano di
rappresentarli; ma che qui sotto un Governo repubblicano, ch'è fondato
sull'unità del potere, non significano cosa alcuna" Questo affermava Mazzini il 10 Marzo 1849
alla Repubblica Romana.
Si chiesero allora, con prestiti
forzosi, contributi ai più abbienti, si distribuirono case ai più poveri e
terre ai nullatenenti, la Repubblica Romana fu la prima in Europa a dichiarare
che la credenza era libera e che la fede religiosa non poteva essere una
discriminante per l'esercizio dei diritti politici e civili, abolì la pena di
morte, fece sparire il ghetto ebraico, concesse ampia autonomia ai Municipi,
dai quali ampiamente provennero gli eletti della sua Assemblea Costituente,
vennero spezzati i monopoli più abietti, come quello del sale e si cercò di
incentivare largamente iniziative per incrementare i lavori pubblici. I malati
di mente vennero trasferiti da un reclusorio malsano sulle rive del Tevere in
prossimità del S. Spirito, in una villa in collina a Frascati, prima residenza
estiva dei gesuiti.
Soprattutto si dette il buon
esempio, il nuovo esecutivo della Repubblica, infatti, considerando la crisi
economia e le ristrettezze, tra i primi provvedimenti che considerò necessari,
adottò quello di dimezzare lo stipendio mensile dei suoi membri da 300 a 150
scudi. E senza usarlo strumentalmente per incrementare favori popolari, dato
che Saffi ne parlò solo vari mesi dopo la caduta della Repubblica.
Purtroppo per un'opera così
colossale mancavano le risorse soprattutto finanziarie e fiscali e lo stesso
passaggio dalla moneta del papa a quella della Repubblica generò enormi
problemi di cambio e di liquidità corrente che impedirono l'attuazione di molti
provvedimenti e scontentarono varie categorie di cittadini. Sul piano
prettamente pragmatico, quindi, forse più utile sarebbe stato un passaggio
graduale, tramite un governo moderato. Ma ciò fu reso impossibile non tanto
dalla presenza di Mazzini, quanto dall'ostinata volontà del papa di non voler
cedere più ad alcun compromesso, ostinandosi a reclamare la necessità di una
reazione a tutti i costi verso ogni ostacolo che si opponesse al ritorno di un
pieno assolutismo. I moderati come Mamiani, inoltre, non coglievano pienamente
la necessità che quella Repubblica fosse un esempio ed un embrione di una
istituzione e di un governo da estendere a tutta l'Italia come invece sempre la
Repubblica ambì ad essere. Un carteggio tra il rivoluzionario Mameli e il moderato
Mamiani sulla possibilità o meno di estendere la cittadinanza anche a chi non
fosse romano lo dimostra ampiamente. E la vittoria dei democratici come Mameli,
fu anche il preludio ad una democrazia avanzata e basata sullo jus soli, sul
fatto cioè che chi lavora e combatte per uno Stato in cui entra e risiede, ha
pieno diritto alla sua cittadinanza, che la Repubblica si impegnava a concedere
ai residenti immigrati dopo un solo anno.
Tutto questo spiega l'ardore con
cui, non solo i romani, ma anche tutti coloro che provenivano dall'Italia e
dall'estero, combatterono e sacrificarono eroicamente le loro vite a Roma,
quando il bonapartismo volle imporre il ritorno del papa re, per mire non
religiose ma del tutto egemoniche, per sostituirsi cioè all'Austria nel
controllo geostrategico del rinnovato stato vaticano e indirettamente così, del
resto d'Italia.
La Repubblica Romana emanò la sua
Costituzione di un solo giorno il 3 luglio del 1849, perché l'indomani le
truppe francesi, ormai padrone della città eterna, imposero la loro tutela al
ritorno del papa in veste di re, tuttavia essa non firmò mai, mediante i suoi
rappresentanti istituzionali, un atto di capitolazione. E quindi possiamo
tuttora considerare il suo governo non soppresso ma sospeso.
Anzi, con i tempi che corrono,
dobbiamo considerarlo solo sospeso, sebbene sia passato ormai più di un secolo
e mezzo da allora.
Perché la libertà che si basa sui
diritti e sui doveri, equamente distribuiti tra i cittadini di una Repubblica
democratica, non si esaurisce mai. Ed ogni qual volta che essa è minacciata,
calpestata, derisa o sopraffatta, non solo con la forza delle armi, ma
purtroppo ancor di più mediante l'inedia e l'inerzia dei cittadini che
inconsapevolmente, affinandosi ad oligarchi e plutocrati ridiventano sudditi,
essa può e deve risorgere, proprio alimentandosi dalle sue sorgenti più pure e
trasparenti.
Teniamolo a mente oggi, in un
momento in cui la sovranità popolare può essere seriamente minacciata in Italia
dal varo di leggi elettorali liberticide e dalla ineleggibilità di organi
istituzionali fondamentali per lo Stato come il Senato della Repubblica.
A combattere per la strenua
difesa della Repubblica Romana affluirono a Roma anche coloro che non erano
repubblicani, non erano comunisti o socialisti, e sebbene la stampa clericale e
moderata dell'epoca tendesse a raffigurare i rivoluzionali romani coma una
banda di anarchici comunistoidi e facinorosi. A combattere e a morire furono
patrioti non solo dell'Italia, ma anche, considerata la presenza di artisti,
intellettuali, militari e lavoratori europei di varia provenienza, persino
sudamericana, di un mondo libero, di una Europa dei popoli fraterni e solidali.
Per questo la memoria di quegli
eventi è tuttora non solo un monito, ma anche un esempio da seguire per tutti
coloro che sono tentati di reagire all'assolutismo economico e monetario
vigente con forme varie di sovranismo autoritario ed autoreferenziale, con
improbabili quanto astrusi ritorni a stati nazionali autoreferenziali. La
Repubblica Romana non fu infatti l'esaltazione dello Stato assoluto ma, più
concretamente, quella di uno Stato che si inchina davanti ai suoi artefici: i
cittadini. Scrive infatti ancora Rusconi: “Qual
è il migliore dei governi? Quello che governa meno....la scienza sociale non è
in alcuni uomini, ma nelle moltitudini; il movimento rivoluzionario e
progressivo non si sprigiona da un individuo, ma da tutto un popolo; gli
individui, i singoli uomini non sono nulla, l'azione loro è passata per ciò che
riguarda la società; il culto degli individui è irrevocabilmente finito; avviso
agli ambiziosi”
Ecco, questo avviso oggi
bisognerebbe stamparlo in fronte a tutti quelli che credono ancora ai salvatori
della Patria o a coloro che, di fronte alla palese inattitudine, incapacità ed
ostinazione di certi nostri governanti a tutti i costi..non sanno che
rispondere miseramente..: “e sennò chi ci metti?” Ebbene, “mettici tua
sorella”, fa parte del popolo sovrano pure lei..non si sa mai, che sia meglio
di chi ricorre ad accordi sottobanco e senza alcuna conferma referendaria e
popolare per cambiare le regole fondamentali della democrazia, come le
istituzioni e la legge elettorale!
Rusconi credeva anche in qualcosa
che oggi è condannato alla damnatio memoriae della peggiore vulgata mediatica
italiana, ma che pur ha fatto la storia più illustre di questo paese: il
Socialismo, possiamo considerare serenamente e seriamente che quelli come lui
fossero concretamente gli antenati dei nostri padri costituenti. Ci credeva ma
non volle imporlo a nessuno, lo testimoniò solo con il suo esempio personale,
insieme ad altri che credevano in altre forme di democrazia. Le sue domande
sono tuttora le nostre domande e quelle di una Europa che voglia essere più
autentica e credibile:
“Fra la concorrenza e il monopolio vi è una via di conciliazione? Fra
il fatto e il diritto vi è un'oasi di riposo nell'economia e nella società? Fra
le teorie del valore e la realtà pratica vi è modo di sopprimere le lotte? Fra
il salariato e il capitalista può levarsi la sbarra che mantiene perpetuo
l'attrito dei tempi nostri? L'usura può essere tolta dall'ordine del giorno? Il
credito può farsi generale? L'industria deve passar perennemente sotto le
forche caudine del capitale? E' equa la bilancia del commercio? Sono eque le
tasse, o piuttosto devono sussistere tasse, nel significato di questa parola,
in una società ben ordinata? La proprietà, che con la divisione del lavoro, ha
subite tante modificazioni, ha raggiunto la sua ultima formula, e deve
permanere in uno stadio che condanna alla lunga il proprietario all'atrofia e
alla bancarotta, che condanna a un'inevitabile miseria il lavoratore? Non vi è
una sintesi da desumere da questo conflitto di interessi, di passioni, di
bisogni, da questo cozzo, potrebbe darsi, del vecchio mondo col nuovo? Ecco i
problemi posti dal socialismo, problemi palpitanti di attualità, come dicono
gli stessi francesi, a cui si vuol dar soluzione, e a far tacere i quali
riescono inefficaci tutte le baionette del mondo.” “Il socialismo non è un'utopia,
non è una vana aspirazione, non è un delirio di pochi ottimisti che vagheggino
un mondo ideale alla maniera di Moro e di Platone; il socialismo è una verità,
è il fuoco in cui si condensano tutti i raggi delle forze della rivoluzione; è
il sole che rischiara due mondi, uno che cade, l'altro che sorge; e di esso può
dirsi come della Repubblica diceva Bonaparte (il cugino di Napoleone III
fervente repubblicano, ministro della Repubblica Romana n.d.r.): Cieco chi non
lo vede”
Se quindi vi capiterà di assistere
dalle mura del Gianicolo o da porta S. Pancrazio ad un classico e fulgido
tramonto romano e scorgerete di lontano rosseggiare le mura del Vascello,
oppure, nell'ombra della sera, svettare tra gli alberi l'Arco dei Quattro
Venti, ripensando con malinconia alle migliaia di morti che affollarono quelle
poche centinaia di metri, eco di tutti gli altri che, nel corso della storia
successiva, anche in loro nome, hanno fatto lo stesso andando senza esitazione
a sacrificarsi non solo per la Patria, ma ancor di più per la libertà, la
democrazia, i beni comuni e la fraternità
tra gli italiani e con gli altri popoli, se un'ombra lunga di malinconia
ghermirà la vostra coscienza infelice, in particolare nello sconforto dei mala
tempora che currunt, non scoraggiatevi, non smettete di lottare, e soprattutto
non smettete di credere. Non c'è la notte davanti a voi, ma un sole che sta già
sorgendo alle vostre spalle, magari lontano, forse ancora in un altro
continente, ma che presto è però destinato a raggiungerci e a rischiarare il
nostro futuro. Siate voi stessi l'alba di quel Sole dell'Avvenire…abbiate Fede..
Sovra l'avel dell'esule,
Sotto la sacra pianta,
Fede diventa il trepido
Desìo dell'alma affranta:
Si fanno eroi gl' ignavi;
Il gemito de' schiavi
Si fa de' forti il fremito,
Si fa terror dei re
1 commento:
CHI E' IL PADRONE TIRANNO DA COMBATTERE? Certe notizie sono assurde da sentire, visto che i padroni del mondo sono sempre gli stessi, le famiglie della cupola usuraia mondialista, e che possono stampare denaro dalle loro privatissime banche centrali a valanghe, e salvare ogni loro impresa, come vogliono!
così come i personaggi anche politici che la televisione di regime ti sbatte avanti ogni giorno sicuramente non fanno gli interessi del popolo ma quelli del regime, dei poteri forti che li finanziano e li pompano...
sono solo dei falsi, dei commedianti.
C’è invece un economista che tutti i mass media e i partiti politici di regime (di destra e di sinistra tanto sono servi dello stesso padrone...) censurano: Filippo Matteucci , quello che propone di non ripagare il debito pubblico all’elite bancaria mondiale strozzina,
quello che vuole trasformare l’intera Italia nel paradiso fiscale e residenziale di tutto il mondo, alla faccia di tutti, ( vedi http://TeaPartyFederazioneLiberista.ilcannocchiale.it/2015/02/02/la_cura_privatista_proposta_da.html ). Una soluzione che ci porterebbe ricchezza e lavoro NATURALMENTE , senza sacrifici, utilizzando ciò che già abbiamo...
Mi domando perché i poteri forti , le logge al servizio dei banchieri strozzini lo censurano...e la risposta è facile!
E le famiglie di banchieri strozzini, i veri padroni del mondo, si nascondono dietro tanti PRESTANOME...
e poi quelli che citi non erano carbonari cioè massoni? e i massoni non sono i servi dei banchieri usurai sionisti, il peggior capitalismo monopolista tirannico e antipopolare? non c'è contraddizione?
(non sto polemizzando, è solo desiderio di sapere: mi censuri il commento?)
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