PANOPLIE CAPITALISTICHE
di Fausto Rinaldi
L'opera di forgiatura della
coscienza collettiva perseguita dal potere in atto - declinato in tutte le sue
derivazioni ed individuato sulla base delle sue infinite sfaccettature - si
prefigge l'obiettivo di legittimare, attraverso un processo di
razionalizzazione del principio di autorità, il proprio ruolo; da ciò discende
tutto quell'insieme di condizioni capaci di garantire la messa in atto di sistemi
di «governance», in grado di assicurare lo svolgimento delle funzioni di
conduzione di una nazione. Evidentemente, tutto ciò avviene in condizioni di
grave deficit democratico: alla collettività non viene data la possibilità
materiale di determinare l'orientamento delle scelte politiche del Paese né,
tantomeno, di sviluppare quell'insieme di conoscenze in grado di dare luogo ad
una solida coscienza critica.
Tuttavia,
questa negazione di un diritto basilare non viene percepita in tutta la sua
gravità, perché le moltitudini vengono sviate dalle sofisticate forme di
distrazione operate dal potere ideologico, esercitato con la complice
partecipazione dell' «intellighenzia» e dei mezzi di informazione.
Tutto
sommato, il grande «atout» del capitalismo è stato quello di aver plasmato
mente e volontà della gente alla mera concezione feticistica della «forma
valore» (merce, denaro, capitale), piegandone l'intelletto, i desideri, le
aspirazioni alle religione pagana (ma non troppo: Weber docet) dell'appropriazione,
dell'affermazione e della competizione sociale.
A
questo punto, che potremmo fare noi, povere anime corrotte?
Abiurare,
uccidere il padre, rinnegare l'essenza stessa della nostra cultura?
Come
Maslow insegna, soddisfatti i bisogni fondamentali (bere, mangiare, dormire,
etc.), si passa inevitabilmente al tentativo di appagare desideri,
caratterizzati da minore forza ed urgenza, situati ad un livello superiore:
sicurezza fisica, appartenenza ad un tessuto sociale, stima e autostima,
autorealizzazione. Su quest'ultimo punto si innesta la cultura capitalista del
consumo voluttuario: slegata da bisogni effettivi, e delineata con mirabile
lucidità da Thornstein Veblen, la spesa per assicurarsi beni costosi ed
ostentativi perviene a rappresentare un segno di distinzione e di prestigio
sociale, e va a corroborare quel costruito di qualità personali in grado di
connotare l'individuo «di successo»: quindi, il consumo identificato come
messaggero di prestigio sociale. Laddove Veblen aveva designato alla classe «agiata»
queste logiche di consumo, l'etica capitalistica le espande alla quasi totalità
delle classi sociali, ampliando smisuratamente i confini di un mercato
destinato a diventare onnivoro, per soddisfare le ipertrofiche necessità
produttive del sistema industriale, votato alla produzione materiale infinita.
Ormai
avvelenate da logiche produttivistiche e consumistiche, le classi sociali della
moderna democrazia planetaria a capitalismo avanzato non sono in grado di
saltare fuori dalla schiacciante aporia di un sistema che, per evolversi, deve
spingersi sempre più verso la propria estinzione. Siamo ormai lontani dalla
possibilità che le masse prendano coscienza della necessità indifferibile di
fluire entro meccanismi di produzione e di riproduzione sociale che non
sacrifichino a loro stessi le condizioni biologiche di sopravvivenza della
specie umana su questo pianeta.
Il
capitalismo attuale pervade ogni ganglio della vita umana, interessando non
solo la sfera politica ed economica della vita sociale ma anche il rapporto
dell'uomo con la natura, i rapporti interpersonali, la psicologia individuale,
le relazioni sociali e famigliari, la percezione della realtà.
Cambiare
le prospettive future dell'uomo significa uscire dal dominio del feticismo
delle merci, delle cose e del denaro, fonte di alienazione e di ripiegamento
individualistico delle proprie prospettive esistenziali. Non possono bastare
strumenti di politica economica e monetaria a riequilibrare i rapporti di
convivenza tra le persone; non sarà la speranza di un ritorno a un capitalismo
regolato a far cambiare rotta ad una società perduta dentro il mito
dell'accumulazione quantitativa.
In
sostanza, servono uomini nuovi per far sì che, con i tempi storici che si
riveleranno necessari, la coscienza collettiva possa ergersi a baluardo contro
lo spettro, quanto mai vivo e attivo, della subalternità economicistica delle
masse, del loro assoggettamento alle vocazioni predatorie del sistema di
produzione e accumulazione reclamato dal capitale.
dal sito La lanterna di Montaigne
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