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martedì 13 marzo 2012

LA MANIFESTAZIONE DELLA FIOM DEL 9 MARZO: ALCUNI BREVI APPUNTI di Riccardo Achilli



LA MANIFESTAZIONE DELLA FIOM DEL 9 MARZO:
ALCUNI BREVI APPUNTI

di Riccardo Achilli


Come chiunque si consideri di sinistra ed abbia la possibilità materiale di partecipare, ho sentito il dovere di prendere parte alla manifestazione indetta dalla FIOM a Roma, il 9 marzo, per rivendicare il contratto collettivo dei metalmeccanici, strappato unilateralmente dalla Fiat con la complicità dell’allora Governo Berlusconi e la colpevole inerzia della maggior partito di opposizione, e più in generale per difendere i diritti dei lavoratori di fronte ad un attacco neoliberista di intensità inaudita, fatto utilizzando la crisi economica come alibi per fare politiche che non potranno che aggravarla.

Il presente articolo, molto breve e non del tutto strutturato, è concepito più come una raccolta di “appunti di viaggio” ed impressioni, da parte di chi, pur essendo esterno a qualsiasi partito o sindacato, ha partecipato alla manifestazione. Il punto fondamentale che ritengo di dover sottolineare è che tale manifestazione avrà, molto probabilmente, un impatto politico nullo sulla direzione di marcia che gli eventi stanno assumendo, quand’anche fosse, come ha dichiarato dal palco il leader della FIOM Landini, soltanto l’inizio di una fase permanente di mobilitazione che sfoci in uno sciopero generale (ed è tutto da vedere se Landini riuscirà effettivamente a portare avanti fino all’estremo la mobilitazione, atteso che per essere efficace, uno sciopero generale dovrebbe avere la partecipazione degli altri sindacati, CGIL inclusa, che in realtà stanno assumendo una posizione del tutto cooperativa con il Governo Monti; quand’anche ci fosse la partecipazione degli altri sindacati, che non ci sarà, un vero sciopero generale, efficace, dovrebbe essere prolungato per giorni e settimane, e quindi godere del sostegno di strumenti inesistenti, e che nessuno ha l’intenzione di costruire, come ad esempio la cassa comune di solidarietà, funzionante con principio rotativo, a sostegno del reddito degli scioperanti ad oltranza).
In realtà la manifestazione, di per sè, non è stata, a mio avviso, un fallimento, perlomeno sotto il profilo organizzativo. La cifra di 50.000 manifestanti data dagli organizzatori mi sembra abbastanza realistica, atteso che piazza San Giovanni, quando è piena zeppa, può accogliere fino a 150.000-160.000 persone. E tale numero è da considerarsi consistente, se si pensa che la manifestazione è stata organizzata in un giorno lavorativo, in un periodo di forte tensione sui salari dei lavoratori chiamati a partecipare, ed è stata promossa da un solo sindacato, peraltro settoriale come la FIOM, e senza la sponda politica del PD, che ha deciso di non partecipare.

Questo fatto meriterebbe un capitolo a parte. Essenzialmente la dirigenza del partito ha deciso di non partecipare per evitare una scissione interna, con gli ex-Margherita, schierati a favore di un Governo della borghesia e del capitale come quello di Monti, che avrebbero minacciato di gettarsi fra le braccia dell’UDC di Casini pur di non alimentare una manifestazione il cui profilo è chiaramente ostile alle politiche governative.
Ma la componente “socialdemocratica” del partito, che da Fassina ad Emiliano, passando per Orfini, Cofferati e Damiano, stava evidenziando segnali di vivacità, decidendo di allinearsi alla decisione della direzione del partito, ha perso definitivamente il treno utile per darsi visibilità e sperare di influenzare la linea politica del PD.
Non partecipando alla manifestazione, tale componente è nata morta, o per meglio dire è abortita. La scusa ufficiale, ovvero che non si partecipava perché vi erano i “violenti” del movimento no-TAV, è talmente puerile da far tenerezza. Intanto la manifestazione è stata talmente pacifica da essere praticamente quasi dimessa e disillusa. Poi, a parlare per i no-TAV, c’era solo un rappresentante istituzionale, un presidente di Comunità Montana, oltretutto dello stesso PD. Ora, decidere di non partecipare ad un corteo perché ci sono dei movimenti pacifici che manifestano a difesa di ragioni di difesa ambientale del territorio, anche se non si condivide il loro punto di vista, e perché non si vuole ascoltare un proprio compagno di partito che da un palco svolge un ragionamento politico e istituzionale è poco “social”, ed anche molto poco “democratico”.
A Fassina e soci vorrei dire che con la decisione di non manifestare hanno perso ogni possibile credibilità come componente autonoma di sinistra del PD, e che per la loro carriera politica a questo punto è meglio abbandonare ogni proposito in tal senso, e rimanere fedelmente allineati alle decisioni della loro direzione. Ai lavoratori conviene invece dire che tali “rigurgiti” socialdemocratici che si manifestano in modo intermittente nel PD, ora ad opera di questo ora ad opera di quello dei suoi esponenti, sono solo specchietti per le allodole, buoni per illudere la base elettorale circa una presunta permanenza a sinistra del partito, che di fatto è però assolutamente inesistente. Il PD ha oggi chiaramente una piattaforma politica e programmatica di tipo centrista e borghese.
Tornando alla manifestazione, il suo impatto politicamente nullo non deriva quindi da motivi organizzativi (le cose sono andate, a mio parere, molto bene, da questo punto di vista, ed anche la pacificità del corteo toglie la possibilità di addossare la consueta etichetta di violenza che si addossa sistematicamente alla sinistra radicale, ogni volta che questa prova a far sentire democraticamente le proprie ragioni).
Deriva sostanzialmente dall’assenza di una sponda politica, in grado di raccogliere i motivi alla base di tale manifestazione, per tradurli in una linea politica ed in una condotta parlamentare. Nessun partito presente in Parlamento, e quindi dotato di un seguito elettorale minimamente significativo, ha aderito alla manifestazione, se non l’IDV, tramite il capogruppo Donadi.
Ma l’IDV deve ancora dimostrare, e credo che sino a che sarà controllata da Di Pietro non lo dimostrerà mai, di essere capace di rendersi autonoma dal PD, stracciando il cappio degli accordi di Vasto, per condurre una politica effettivamente di sinistra ed al servizio dei lavoratori.
Lo stesso dicasi per formazioni extraparlamentari, pur presenti alla manifestazione, come la SEL e la FED, che troppo spesso ammiccano al mantenimento di un’alleanza strategica con il PD, e a cui invece la mancata partecipazione alla manifestazione da parte dell’ala sinistra di quel partito dovrebbe evidenziare nel modo più chiaro possibile che non esiste alcuna sponda socialdemocratica, interna al PD, cui potersi agganciare per spostarne a sinistra il baricentro politico.
Che Vendola e Ferrero non abbiano dichiarato la cessazione di ogni rapporto politico con il PD, a seguito della mancata partecipazione al corteo del 9 marzo, lo reputo un vero delitto nei confronti dei lavoratori, che può essere spiegato o da dabbenaggine politica, che sarà pagata a caro prezzo dal punto di vista elettorale (perché dovrei votare la SEL se non si differenzia dal PD?) o da calcoli opportunistici di “cadrega” da parte dei gruppi dirigenti di questi due partiti, nella prospettiva che dopo il 2013 si formi una “grosse koalition” di governo, cui partecipare con congrui ritorni in termini di poltrone di Governo e sottogoverno.

L’assenza di una sponda politica significativa numericamente, presente istituzionalmente e credibile moralmente, priva di efficacia la pur coraggiosa azione condotta dalla FIOM: la riforma del mercato del lavoro, che era il primo obiettivo della manifestazione, sarà infatti portata avanti dal Governo, anche senza una adesione al 100% da parte della CGIL (basterà infatti che la Camusso firmi le parti meno sensibili politicamente dello schema di riforma, come ad esempio il potenziamento del contratto di apprendistato, per dare al Governo l’avallo politico di cui abbisogna) e l’assenza in Parlamento di un soggetto politico in grado di contrastare tale progetto, e con la visibilità sufficiente a raggiungere ampie quote di elettorato mobilizzabile, garantirà un percorso parlamentare di approvazione tranquillo e rapido. In assenza di una mobilitazione di massa, che solo un soggetto politico può garantire (anche se in raccordo con un soggetto sindacale) i contenuti socialmente regressivi di tale progetto di riforma saranno fatti facilmente digerire all’opinione pubblica dai media di regime, che già da mesi conducono una campagna di disinformazione in tal senso (si leggano gli articoli, orribili anche dal punto di vista dei cardini fondamentali della scienza economica e di quella giuridica, che sforna regolarmente Scalfari sull’argomento, vendendosi l’immagine, abilmente costruita mediaticamente, del suo giornale come giornale della sinistra “radical chic”). Sul tema della rappresentanza sindacale, l’assenza di una sponda politica fa sì che gli unici disegni di legge in materia presenti in Parlamento siano quelli scritti da Ichino, che è un giuslavorista di destra, e sostenuti da Veltroni, che è un reazionario.

L’assenza di tale sponda politica compromette anche sotto il profilo comunicativo l’azione della FIOM: non avendo nessuno cui appellarsi ed in grado di sostenerlo, Landini è infatti costretto a non rompere con il PD, mettendo a repentaglio la sua stessa autonomia. Rompere oggi con il PD significherebbe infatti l’isolamento definitivo, anche all’interno della stessa CGIL, fortemente influenzata dal PD. Ma d’altra parte tale inevitabile scelta comporta per la FIOM un danno di immagine.

D’altra parte, anche in Grecia, dove la piazza si è fatta sentire molto di più, e molto più a lungo che da noi, i risultati politici portati a casa son ostati inesistenti. Ancora una volta, ciò dipende dall’assenza di un interlocutore politico credibile e moderno, in uno scenario politico stretto fra gli stalinisti di stretta osservanza (e quindi interessati più al proprio potere che ai lavoratori, come tutti gli stalinisti) del KKE ed un partito socialista, avente una collocazione politica identica a quella del nostro PD, che ha espresso la parte più pesante delle manovre di macelleria sociale.
In tutto questo, dunque, risiede l’inefficacia della manifestazione, nonostante il coraggio, l’abnegazione, le capacità organizzative e di gestione del corteo dimostrate dalla FIOM. In fondo, il tono dimesso, quasi disilluso, che caratterizzava una manifestazione con pochi slogan urlati e troppa tranquillità dimostra che la consapevolezza dell’inutilità serpeggiava anche fra molti dimostranti. Di qui a dire che tale manifestazione rappresenta un antipasto di una sconfitta storica per la FIOM, come sostiene un compagno e caro amico, mi sembra eccessivo, nella misura in cui, di fronte ad un’opinione pubblica che, seppur lentamente e soltanto in alcune fasce più esposte alla crisi, si radicalizza, la FIOM conferma la sua affidabilità come soggetto alternativo e coerente. Inoltre, il modello-Pomigliano o Mirafiori, ovvero la cacciata della FIOM dalla fabbrica, non potrà sempre facilmente estendersi, soprattutto all’universo delle PMI che rappresentano il cuore produttivo ed occupazionale dell’economia nazionale, dove non vigono modelli produttivi di tipo neo-fordista, come quelli re-introdotti da Marchionne tramite il WCM, e dove invece l’apporto della manodopera alla creazione di qualità distintiva, e quindi di competitività strutturale, è talmente importante da sconsigliare decisamente approcci eccessivamente verticistici e repressivi, come quelli che immagina l’emulo in maglioncino nero del peggior Valletta.

La FIOM, con la manifestazione, ha fatto il suo dovere, e credo che ha aggiunto un pezzettino in più di credibilità e di radicamento fra i lavoratori, ma ovviamente rimane un sindacato, cui non si può chiedere un ruolo politico. Il soggetto politico che dovrebbe rilevare il testimone non c’è, e non, come sostiene con una analisi superficiale D’Alema, perché l’Italia sarebbe un Paese di piccoli borghesi e tendenzialmente di destra (perché altrimenti non si spiegherebbe perché, ancora soltanto 6 anni fa, alle elezioni del 2006, le formazioni politiche a sinistra dei Ds avrebbero ottenuto complessivamente una percentuale di voti attorno al 12-13%, mentre i Ds, che ancora professavano, a parole, un’idea socialdemocratica, raccolsero il 17-18% dei consensi, in buona misura ottenuti grazie a frange di elettorato chiaramente orientate a sinistra; ancora oggi, i sondaggi ci dicono che c’è un buon 4-5% di elettorato che si riconosce in formazioni politiche che, a diverso titolo, e non sempre in modo coerente, si riconoscono ancora nel comunismo, mentre l’area elettorale che potrebbe essere catturata da un soggetto socialista di sinistra, ed oggi dispersa fra SEL, IDV, frange del PD ed altre formazioni oscilla fra il 10 ed il 15%).

I motivi dell’inesistenza di un soggetto politico di sinistra unitario sono molto complessi, andranno studiati in un articolo a parte, ed oscillano fra nostalgie identitarie che ancora attanagliano larghi strati dell’elettorato, e una classe dirigente di sinistra chiaramente inadeguata e ostile a farsi da parte, che nel frazionamento di partituncoli e correnti vede la garanzia della propria sopravvivenza, sia pur ai margini del potere, nonché una galassia dei movimenti sociali che è troppo spesso autoreferenziale, settoriale e indisponibile (anche per una notevole carenza di capacità analitica della fase attuale del capitalismo) a far rientrare le proprie rivendicazioni settoriali nel quadro più vasto della lotta di classe contro il capitalismo stesso.
Da questo punto di vista, mi ha dato molta tristezza vedere una parte importante dei no-TAV, alla manifestazione del 9, abbandonare piazza San Giovanni non appena il loro esponente aveva finito di parlare. Anche visivamente, tale episodio dimostra come i movimenti fatichino a comprendere che anche una lotta per un obiettivo specifico e delimitato, come quella contro la TAV Torino-Lione, non porti a nessun risultato, se non è inserita in un quadro più ampio di contrasto alla fase iper-liberista che il capitalismo ha adottato.
Per quanto sopra, concludo questo breve articolo con un ringraziamento alla FIOM, e con un invito all’ottimismo, sia pur in una fase drammatica come quella attuale.
Il seme sotto la neve c’è ancora ed è vivo. Prima o poi verrà chi lo saprà raccogliere e far germinare. 

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