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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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lunedì 19 marzo 2012

SUL MANIFESTO DI PARIGI di Riccardo Achilli




            SUL MANIFESTO DI PARIGI
                    di Riccardo Achilli



Il mio commento, che come si dice, impegna solamente la responsabilità personale di chi lo formula, non è privo di critiche. In linea generale, se l'idea di fondo è quella di avere più Europa, e più Europa sociale, credo che, al di là delle posizioni politiche individuali, si può essere d'accordo. E' la strada indicata da tale documento per avere un'Europa sociale che mi lascia perplesso. Vorrei fare un'analisi puntuale:

Preambolo: il Governo conservatore italiano si è dimesso nel novembre 2011. Ma a chi vogliono darla a bere i dalemiani della fondazione Italianieuropei? In realtà al suo posto c'è un Governo ancor più conservatore, che i dalemiani, in quanto componente dominante del PD, stanno sostenendo. Credo che ciò li dovrebbe privare di qualsiasi legittimità a spacciarsi per progressisti.
"Adesso spetta all'Unione europea fornire risposte appropriate". Il primo punto messo a fuoco dal documento, come tema più importante, è il risanamento del bilancio. Se questa è la priorità, allora cadono di fatto tutte le altre che il documento sostiene (equità sociale, crescita, creazione di occupazione). Questo perché l'obiettivo di ridurre l'indebitamento, quand'anche non fosse rigido come quello introdotto dalla riforma costituzionale del pareggio di bilancio, impone comunque la fissazione di soglie quantitative entro le quali riportare i livelli di deficit/Pil e di debito/Pil. Le esperienze di Maastricht e quella del Patto di stabilità dimostrano chiaramente che nel medio periodo nessuna soglia quantitativa è sostenibile, per il semplice motivo che il ciclo macroeconomico procede per vie proprie, infischiandosene delle soglie predeterminate dai Governi.
A meno che non si conducano politiche di totale sterilizzazione del bilancio pubblico, che sono esattamente le politiche condotte dai liberisti come Monti.

Per essere ancora più chiari: è impensabile proporre, in una fase di recessione economica, il risanamento delle finanze pubbliche come priorità. Perché non si fa altro che aggravare la recessione, e con questa peggiorare i saldi di finanza pubblica (poiché, come tutti sanno, questi sono endogeni al ciclo economico generale). Sarebbe molto meglio un altro ragionamento, che provo a sintetizzarvi: per perseguire una crescita economica ed occupazionale sostenuta e regolare, che è precondizione indispensabile per generare le risorse necessarie a ridurre deficit e debito, l'utilizzo del bilancio pubblico sarà fatto con regole elastiche, che prevedano un suo utilizzo anticiclico nelle fasi di rallentamento della crescita e di recessione, e con una maggiore austerità nelle fasi di crescita, che vanno sfruttate per ridurre i livelli di indebitamento rispetto al Pil, prevedendo politiche finanziarie tese a ridurre il deficit/Pil soltanto negli anni in cui la crescita annua superi l'1%, e progressivamente sempre più austere quanto più la crescita è elevata. Va infatti ricordata una verità economica fondamentale: il rapporto "critico" non è quello fra deficit e Pil, ma quello fra debito e Pil.
E' infatti questo secondo rapporto che genera la crescita degli interessi passivi, che sottraggono risorse economiche per investimenti in competitività o sviluppo. Da questo punto di vista, il debito cresce solo se il rapporto fra deficit e Pil tende a peggiorare progressivamente, per un periodo temporale lungo. Altrimenti, se tale rapporto oscilla fra miglioramenti e peggioramenti, il debito/Pil rimane più o meno stabile nel tempo. E' invece condivisibile l'idea di mutualizzare il debito pubblico dei singoli Stati membri tramite gli eurobonds. Peccato però che l'opinione pubblica tedesca, prima di accettare una simile proposta, sarebbe disposta ad eleggere un nuovo Adolf Hitler alla cancelleria.

Maggior ruolo della BEI proposto dal documento: credo che vi sia più di un problema, per la sinistra, a richiamare tale organizzazione. La BEI è infatti una banca che, pur operando senza scopo di lucro (e quindi con un tasso di interesse molto basso, che copre le sole spese di istruttoria)presta risorse finanziarie per grandi progetti di investimento infrastrutturale, di creazione di impresa o di sviluppo regionale. Lo fa con le risorse proprie, conferite dagli Stati membri, ma anche e soprattutto drenando risorse dai mercati finanziari, operando quindi come un qualsiasi player finanziario. Potenziare l'operatività della BEI, come proposto dal manifesto di Parigi, significa quindi aumentare il livello di indebitamento complessivo dell'Europa nel suo insieme nei confronti dei mercati finanziari, e quindi aumentare la dipendenza politica delle istituzioni europee (e di quelle nazionali degli Stati membri) dal grande capitale finanziario. SE VOGLIAMO UN'EUROPA DEI POPOLI E DELLA SOLIDARIETA' DOBBIAMO RIDURRE LA DIPENDENZA DELLA POLITICA DAGLI INTERESSI DEL CAPITALISMO FINANZIARIO, NON ACCRESCERLA.
Ciò significa che occorre utilizzare in modo più intelligente le risorse pubbliche esistenti per grandi progetti di investimento pubblico trans-nazionali, anche con una più efficace azione di recupero dell'evasione fiscale condotta su scala europea, e non delle singole nazioni, nonché con la lotta ad ogni forma di spreco e di inefficienza nella spesa pubblica (iniziando da una riduzione dei compensi e degli appannaggi economici della classe politica, dei manager e dirigenti pubblici, e più in generale dei costi della politica, che dovrebbe tornare ad essere un'attività di servizio alla collettività, non un lucrosissimo business) , non chiedere tali risorse in prestito dai mercati finanziari.

Rilancio delle politiche industriali: non basta scimmiottare Obama sulla green economy per dare una impronta di sinistra e progressista alle politiche industriali. Sulla green economy sta infatti convergendo anche il pensiero industrialista della destra. Credo che occorrerebbe puntare anche ad un secondo capitolo: il rilancio del ruolo delle partecipazioni pubbliche nell'economia per creare campioni, non più nazionali ma europei.

Siamo sinceri: solo l'industria nazionalizzata può svolgere un ruolo anche sociale, p. es. localizzando stabilimenti in zone depresse dove non vi sono convenienze localizzative per l'industria privata, perché nel caso dell'industria pubblica le perdite di redditività conseguenti a tale scelta, di tipo sociale e non produttivo, possono essere collettivizzate. Solo l'industria pubblica può sostenere investimenti strategici in innovazioni scientifiche e tecnologiche di rottura, che hanno ritorni economici in tempi molto lunghi, perché l'industria privata, che è ossessionata dalla logica del ritorno economico sugli investimenti immediato (perché se gli azionisti non vengono retribuiti, alla prima assemblea cambiano il management) non ha convenienze a farli. Se guardiamo alla storia italiana, le imprese innovative sono sempre state imprese pubbliche (Finmeccanica, ENI, le imprese militari ed aerospaziali del gruppo EFIM, Alfa Romeo) o imprese private che però godevano di enormi sussidi pubblici agli investimenti innovativi (Fiat, Olivetti) tali da rendere tali investimenti di fatto "pubblici" e non "privati".
Lo stesso in Francia: l'innovazione tecnologica nasce dalla politica dei "champions nationaux" pubblici (Alsthom, EDF, Aérospatiale-Dassault, Renault). Similmente, il sistema bancario può operare finanziando progetti strategici, di cambiamento di paradigma produttivo (come ad esempio la green economy) solo se è pubblico, poiché tali progetti hanno una redditività molto differita nel tempo, che la proprietà privatistica delle banche non sarebbe mai disposta a sostenere.

Occorre quindi ritornare al tempo delle nazionalizzazioni, mirate a creare campioni, non più di scala nazionale (perché di fronte ai colossi statunitensi, giapponesi, ed ora anche cinesi, i campioni nazionali non hanno le economie di scala e le risorse finanziarie per competere), ma di scala europea, che siano cioè di dimensione ed operatività transnazionale, e partecipati da una pluralità di Governi europei, con una legislazione industriale, contabile, del lavoro ecc. che sia europea.
La tassa sulle transazioni finanziarie e la lotta ai paradisi fiscali su scala europea sono sciocchezze demagogiche. A parte il fatto che le due principali piazze finanziarie europee, ovvero la Svizzera e la Gran Bretagna, non accetteranno mai di implementare tali misure, perché significherebbero la morte delle loro economie nazionali, la Tobin tax e la lotta ai paradisi fiscali devono essere condotte su scala mondiale, per essere efficaci, altrimenti non fanno altro che provocare uno spostamento dei flussi di investimento finanziario dall'Europa ad altre piazze meno regolamentate extra europee. Se i cosiddetti "progressisti" credono di supplire con una proposta demagogica come una Tobin tax soltanto europea all'assenza di un progetto sociale, allora l'unica differenza che li separa dai conservatori è che perlomeno questi ultimi sono più sinceri e meno demagogici.

Governance europea: anche in questo caso, come per i casi precedenti, la proposta è debolissima. La proposta vera dovrebbe essere quella di creare un'unione politica europea, su basi democratiche e confederali, cioè con un Parlamento europeo, e Parlamenti nazionali per le politiche strettamente nazionali, realmente plenipotenziari, ed un Commissione Europea designata dal Parlamento Europeo ed in ogni momento revocabile, come un normale Governo, nonché forme estese di democrazia diretta e dal basso, tramite referendum europei e proposte di legge popolari europee. Ed invece la proposta qual’è? soltanto quella di estendere la regola della codecisione! Ovvero la possibilità per il Parlamento europeo di emendare o rigettare un testo di legge presentato dalla Commissione ed adottato dal Consiglio. Tale procedura è pessima, sia perché l'iniziativa legislativa rimane in capo alla Commissione ed al Consiglio, e non al Parlamento, cioè all'unico organo eletto direttamente dai cittadini, sia perché è tremendamente farraginosa e pesante: se il Parlamento propone anche un minimo emendamento, si attiva una procedura di consultazione fra Parlamento e Consiglio lunghissima, che può arrivare fino ad una terza lettura dell'atto, ed a una procedura di conciliazione fra i due organi, prima che l'atto diventi legge. Un procedimento talmente bizantino da scoraggiare, nella maggior parte dei casi, il Parlamento dal fare qualsiasi emendamento ad un testo elaborato dalla Commissione (cioè da una struttura burocratica non elettiva) anche se in teoria una maggioranza di parlamentari vorrebbe fare emendamenti. Se questa è la proposta di governance, beh...non funziona, perché non è sulla base della codecisione che si costruisce un'Europa politica e democratica. Occorrerebbe poi capire in cosa consisterebbe l'ampliamento della sfera di operatività della codecisione proposto dal manifesto di Parigi, atteso che, dal trattato di Lisbona in poi, questa procedura non è più eccezionale, ma è diventata la procedura ordinaria.

C'è però un punto, che secondo me è il più grave di tutti: manca completamente il progetto sociale. Non si dedica una riga che una alle politiche sociali, socio assistenziali, sanitarie, ecc. Questa carenza è gravissima per chi si richiama ai valori della sinistra e del socialismo. Se sei di sinistra, ti vuoi fottere a dirmi cosa intendi fare per ridisegnare il welfare europeo di fronte a grandi fenomeni di fondo, che cambieranno il profilo delle popolazioni europee nei prossimi vent'anni (calo della natalità e invecchiamento rapido della popolazione, con tutte le conseguenze che ciò comporta sugli assetti dei sistemi sanitari e socio assistenziali pubblici, esplosione dei fenomeni migratori, con tutte le conseguenze sulle politiche per l'integrazione, le politiche socio educative, le stesse politiche abitative, l'emergere di nuove povertà nei ceti medi, l'emergere di nuove forme di esclusione sociale determinato da nuovi analfabetismi - l'analfabetismo informatico, l'analfabetismo riguardo alle lingue straniere, ecc.)

In sintesi: questa proposta mi sembra molto debole e priva di coraggio, nella sostanza non molto diversa dalla proposta che fanno i partiti di centro destra, se non, spesso, per mere dichiarazioni di principio prive di indicazioni politiche concrete (la priorità sulla crescita e sull'occupazione è una priorità anche per la destra, solo che la destra la promuove con politiche di destra, come le privatizzazioni, la deregulation, la riduzione della pressione fiscale sui redditi alti. Il problema quindi non è quello di fissare una priorità politica generale, il problema è indicare quali politiche saranno concretamente messe in atto, perché c'è una strada liberista e di destra ed una strada di sinistra per occuparsi della crescita). spesso tale documento, per mascherare le sue carenze progettuali sostanziali, sfocia in veri e propri progetti demagogico irrealizzabili, come la Tobin Tax europea. Si salvano solo poche cose, come la richiesta di mutualizzare i debiti pubblici nazionali, l'accento sulla green economy (che però è una bandiera anche della destra democratica; ricordo che è stata la Merkel a mettere la pietra tombale sul programma nucleare tedesco, ed a rilanciare gli investimenti nel settore delle rinnovabili). Le proposte di governance politica europea sono molto al di sotto dell'idea di realizzare un'Europa politica, e l'assenza di un progetto sociale, che sia parallelo a quello economico, è assolutamente indicativa della natura non di sinistra, e sostanzialmente liberale, di tale manifesto.


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