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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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martedì 24 aprile 2012

Che sia Hollande la nostra briscola?










CHE SIA HOLLANDE LA NOSTRA BRISCOLA?
di Norberto Fragiacomo




In Italia, la frana non si arresta; anzi, sta venendo giù il fianco della montagna: per accertarmene è stato sufficiente dare una scorsa ad una copia di Repubblica dimenticata sul sedile da un viaggiatore, in una domenica con pochissimi treni. Invero, più delle notizie funeste sorprendono i (primi) commenti critici sul Governo Monti formulati da alcune teste d’uovo del giornalismo nostrano.
Andiamo con ordine. A Torino – vale a dire a casa sua – la Fornero si becca mezza dozzina di uova marce; seguono le abituali cariche della polizia contro i contestatori. In precedenza, la ministra aveva invitato gli italiani a non lamentarsi troppo: le cose andrebbero a meraviglia se ci fosse “più spirito costruttivo”. I lanciatori hanno provato a farle intendere che a mani nude, e con le tasche vuote, risulta difficile costruire qualcosa – ma la “tecnica” va avanti per la sua strada, in macchina. Dal canto suo, Mario Monti ha affrontato, la settimana scorsa, il tema dei suicidi “per motivi economici” (sì, come i licenziamenti – e forse non è un caso): dovremmo essere lieti del fatto che i nostri numeri sono molto al di sotto di quelli greci; per merito suo, naturalmente. Come rileva persino Paolo Mieli, i replicanti di Blade Runner mostravano maggiore sensibilità umana, ma il punto è un altro: “logorati” da cinque mesi di governo, i professori stanno andando fuori giri, e iniziano a perdere la misura nelle dichiarazioni. Inesperienza, probabilmente – ma qualcuno (da fuori) non l’aveva messa in conto. Il premier, in ogni caso, incassa il sostegno acritico di Casini: il nuovo Partito della Nazione sarà costruito intorno a lui (ed a Casini stesso, che potrebbe puntare alla Presidenza della Repubblica). Mala tempora currunt, e visto che la crisi durerà almeno fino al 2017, il supertecnico conta di restare in sella ancora a lungo, per svolgere “al meglio” il proprio compito. Certo, ogni tanto il Cincinnato bocconiano ribadisce di voler lasciare l’anno prossimo, ma si smentisce da sé, con gli allarmi lanciati mezz’ora dopo.
Nel frattempo, si rincorrono le voci su nuove manovre, e gemelle dell’IMU: gli italiani incassano (il verbo è abbastanza improprio, in effetti), e smettono di consumare. Non che la cicala stia mutando in formica: ha smesso di folleggiare perché è moribonda, tutto qui.
Il Fondo Monetario, però, non è contento dell’andazzo: nel nostro Paese e nell’intera Europa mancano ricette per la crescita, l’austerity non basta più. Come comportarsi, dunque? Non si sa, visto che le regole in corso di approvazione (pareggio di bilancio e fiscal compact) hanno tolto di mezzo il moltiplicatore keynesiano, e senza qualche goccia d’acqua – cioè di denaro, pubblico o privato che sia – non cresce nemmeno la gramigna. Cosa c’è sotto questi velati attacchi all’esecutivo “tecnico”, che echeggiano sulle gazzette dell’alta finanza? Un contrasto interno al Capitale, un’ipotesi di inversione di rotta? Torneremo sull’argomento tra breve: prima di fare speculazioni, è opportuno riportare i fatti.
Negli ultimi tempi abbiamo conosciuto una nuovissima – e disgraziatissima – categoria sociale, quella degli “esodati”. Si tratta di persone relativamente avanti con gli anni cui, dopo che hanno perso il lavoro, era stato garantito un passaggio fino alla pensione tramite un ponticello d’emergenza, messo insieme con le risorse degli ammortizzatori sociali. La recente riforma pensionistica ha travolto, come un’onda di piena, il fragile diritto acquisito, ed ora questa gente si trova ad annaspare, senza presente né futuro. Pare sia allo studio un decreto legge, il cui contenuto – in un’epoca “normale” – verrebbe sicuramente giudicato scandaloso e beffardo: si tratta di rimandare al lavoro gli esodati, etichettandoli come “categoria protetta” per favorirne il reinserimento. Reinserimento dove? Non nelle aziende che li hanno cacciati, evidentemente, e neppure nella P.A. (una volta li avrebbero sistemati in qualche ufficio periferico), che è stata ridotta a pane e acqua, in attesa di scelte più drastiche e/o definitive. Il mistero, dunque, è avvolto in un enigma, e di buffo non ha proprio nulla: uomini e donne stanchi, già con la mente al riposo, vengono rispediti in campo d’imperio, ed assegnati a squadre che, nella migliore delle ipotesi, li accoglieranno come pesi morti. Dopo averli illusi, lo Stato li abbandona - anzi, fa di più: li umilia come esseri umani. E guai a protestare, altrimenti la Fornero li rimprovera pure.
Cosa ci dicono tutte queste news, apparentemente scollegate fra loro? Che siamo ormai entrati nel tunnel greco, alla fine del quale c’è solo la luce della fatidica locomotiva destinata a travolgerci. Se non altro, la galleria è affollata: gli spagnoli non stanno meglio di noi.
Ma che dire degli appelli alla crescita del FMI e del governo USA? Che si stia invece aprendo uno spiraglio? Onestamente riteniamo di no, e non daremmo troppa importanza a certe esternazioni. Il Fondo somiglia ogni giorno di più alla Sibilla cumana, quella dell’ibis redibis non morieris in bello, in cui la presenza o meno della virgola capovolge il significato della “profezia”. Ci viene ingiunto di crescere, ma non si spiega come[1], e a distanza di una settimana si pubblica un documento agghiacciante, malthusiano[2] che, senza tanti giri di parole, addita agli Stati la via della riduzione della spesa pensionistica. La verità la raccontano i fatti: in Grecia (così come un decennio fa in Argentina), il FMI è il principale ispiratore di quella politica che finge adesso di osteggiare. Il rigore non se l’è inventato Frau Merkel, che anzi potrebbe essere costretta, allo scadere, a tirarlo nella propria porta. Non è infatti assurda l’ipotesi che sia in atto, da parte del capitalismo anglosassone, un gigantesco scaricabarile sulla Germania “auriga” d’Europa, premessa (ideologica) per l’annientamento della sua potenza economica, che sarà comunque conseguenza inevitabile del collasso europeo. Lo abbiamo scritto e lo ripetiamo: il governo tedesco sta interpretando, sulla scena, il ruolo non particolarmente ambito dell’utile idiota. Alles Gute, Kameraden!
E’ verosimile che la disinformazione abbia un obiettivo ulteriore: quello di confondere il pubblico-vittima. Più che di divisioni interne al fronte della Finanza, si dovrebbe allora parlare di una spartizione dei ruoli, secondo il noto schema “poliziotto buono (il FMI, qualche volta)-poliziotto cattivo (i mercati che ci tengono d’occhio, le società di rating, il FMI la volta successiva ecc.)”.
I dominanti conoscono la psicologia delle masse, e soprattutto – lo testimonia Eric Hobsbawm, e di lui ci fidiamo – si dedicano allo studio del marxismo con ammirevole diligenza.
Scriveva Lenin, nel lontano 1920: “Il mondo intero è oggi cambiato. E anche la borghesia è oggi cambiata dappertutto. Essa ha paura del “bolscevismo”, lo detesta fin quasi a impazzire, e appunto per questo motivo accelera, da un lato, lo sviluppo degli eventi e rivolge, dall’altro lato, tutta la sua attenzione alla lotta per schiacciare con la violenza il bolscevismo, infiacchendo con ciò stesso le posizioni in vari altri campi (…) perseguitano il boscevismo con lo stesso zelo con cui lo perseguitavano Kerenskij e soci; anch’essi finiscono quindi per “passare ogni limite” e ci aiutano come Kerenskij ci ha aiutato [3]”. La classe egemone ha evidentemente fatto tesoro dell’esperienza novecentesca: accelera, come un secolo fa, lo sviluppo degli eventi, ma – a differenza di allora – non si lascia prendere dal panico, e alterna la persuasione, le false speranze e le blandizie alla forza. Ostenta divisione al suo interno per tenere divise le masse e rendere impossibile, o quasi, il consolidarsi di un fronte comune.
Mentre i suoi emissari ci tolgono tutto, Breil compreso, i vertici “illuminati” invocano la crescita, formula magica destinata a spalancare non si sa quali porte. Porte che, per noi, rimarranno sprangate, ma che per qualcun altro sono apertissime: nel pieno della crisi, i patrimoni dei supermiliardari aumentano a ritmo accelerato [4].
Tre indizi fanno una prova, e noi di indizi ne abbiamo a trilioni: la crisi servirà alla redistribuzione della ricchezza, a vantaggio di chi sta molto in alto, e lo stato d’emergenza sarà invocato (viene già invocato) per giustificare un coprifuoco permanente, con sospensione a tempo indeterminato di diritti e tutele. Se il PIL continuerà a calare, poco male: l’importante è che la mezza torta finisca per intero nel piatto giusto, e che quanti stanno in basso, opportunamente traumatizzati, si adattino alla servitù prossima ventura. Ce lo daranno, prima o dopo, il lavoro: ma sarà forzato.
Uscite d’emergenza? Verrebbe da dire “nessuna”, ma la conclusione è troppo pessimistica: anche il miglior condottiero, la più efficiente organizzazione commettono errori. In Italia, l’esecutivo bocconiano non sempre riesce a mantenere il basso profilo richiesto dalla circostanze: Monti, qualche volta, parla troppo e l’arroganza della Fornero – stigmatizzata da quel vigile osservatore che è Eugenio Scalfari – rischia di accendere conflitti indesiderabili. Non potendo licenziarla per motivi economici, la si manda a parlare all’Alenia (mossa abile), ma il timore reverenziale degli italiani nei confronti dei “tecnici” si sta pian piano riducendo.
Che fare, quindi?
Leggiamoci quest'altro passo: “non sappiamo né possiamo sapere quale scintilla (…) farà scoppiare l’incendio, nel senso di un eccezionale risveglio delle masse, e siamo quindi tenuti a metterci “al lavoro” in tutti i campi, di qualsiasi genere, anche nei più vecchi, aridi e apparentemente infecondi [5]”.
Per quanto la situazione odierna non sia rosea – anzi, proprio per questo! – le forze d’opposizione non possono cullarsi in assurde illusioni (la grazia non arriverà mai), e devono cogliere ogni minima occasione che si presenti.
Domenica 22 il socialista Hollande ha vinto il primo turno delle elezioni presidenziali francesi: non è un successo definitivo, e la percentuale raccolta da Melenchon, candidato della sinistra “vera” (11%), è stata purtroppo inferiore alle attese – tuttavia, se il 6 maggio Sarkozy venisse sconfitto, la situazione in Italia e in Europa potrebbe mutare. Qualora i mercati reagissero “istericamente” – in parole povere, attaccando la Francia –, il gioco di chi li manovra diverrebbe a tutti palese, e l’indignazione si mescolerebbe all’entusiasmo per il trionfo di chi, in campagna elettorale, ha denunciato i rischi della politica di austerità continentale, auspicando modifiche ai trattati.
E’ improbabile che Francois Hollande mantenga tutte le sue promesse, ma non importa: il suo eventuale successo diverrebbe un prezioso assist per le forze anticapitaliste del continente, e un brutto colpo per il mandriano tedesco [6].
L’indomani, la sinistra italiana (partiti, sindacati, associazioni, movimenti) dovrebbe scendere compatta in piazza per chiedere risolutamente elezioni anticipate, e la fine dell’era Monti – in nome, si capisce, della democrazia.
Alla peggio, sarà un segnale di unità rivolto a chi (esodati, precari, pensionati, funzionari pubblici, piccoli imprenditori sul lastrico ecc.) incomincia a rendersi conto di non avere futuro.



Trieste, 23 aprile 2012



[3] LENIN, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, pag. 113.

[6] Il governo Merkel si è rammaricato apertamente per l’insuccesso di Sarkozy, contravvenendo piuttosto clamorosamente alle regole non scritte della diplomazia internazionale.
 
 
 

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