Dopo Chernobyl.
Interrogativi per la sinistra
Progresso, natura, società.
Colloquio con il filosofo Ludovico Geymonat
a cura di Tiziano Bagarolo
Non pochi commentatori, a proposito della sciagura di Chernobyl, a corto di argomenti fondati sui fatti, hanno fatto ricorso ad immagini mitiche: l'uomo che cerca di conquistare il fuoco (nucleare) quale moderno Prometeo; la fuga radioattiva dalla centrale nucleare quale moderna punizione per i nuovi apprendisti stregoni che, evocato il mostro malefico, non lo sanno più controllare. Al di là della retorica – che non fa certo difetto a buona parte della cultura italiana, cresciuta alla scuola idealistica di Croce e Gentile – c'è un fatto reale: i radionuclidi fuoriusciti dal reattore di Chernobyl hanno provocato, tra le altre cose, un'estesa inquietudine e riproposto molti degli interrogativi di fondo sulla nostra epoca: il senso e la direzione dello sviluppo scientifico e tecnologico, il rapporto tra scienza e potere, la drammatica attualità dei problemi ambientali.
Questioni per l'intera società, ma prima di tutto per la sinistra; se la sinistra vuole dare una risposta a questi problemi deve innanzitutto conoscere la risposta.
Su questi temi abbiamo voluto aprire una riflessione anche sulle pagine di “Bandiera rossa”. Cominciamo con un colloquio con Ludovico Geymonat, filosofo, marxista, da moltissimi anni studioso del pensiero scientifico e dei suoi fondamenti. Un primo contatto con le questioni per “fissare i punti di riferimento” è quanto gli abbiamo chiesto, non avendo la presunzione di poter dare risposte esaustive e conclusive nel breve spazio di una pagina.
TB. Una sorta di ottimistica fiducia nell'onnipotenza della tecnologia (e della scienza) è forse uno degli elementi di fondo, se non il principale, dell'ideologia corrente del capitalismo contemporaneo, sotto tutte le latitudini. Tutti i problemi possono essere risolti dalla tecnologia contro la quale, d'altra parte, e vano schierarsi perché significherebbe soltanto opporsi al “progresso” o allo “sviluppo economico”, cercare di fermare l'inarrestabile cammino della storia.
Pensiamo ad esempio al modo in cui il mito delle nuove tecnologie è stato usato: per giustificare l'offensiva capitalistica contro la classe operaia, per legittimare le ristrutturazioni e i licenziamenti. Salvo poi quando si verificano catastrofi come Bhopal, come Chernobyl, ricordare che siamo nell'era nucleare, ricordare il tremendo impatto ambientale di molte di queste tecnologie onnipotenti, ricordare come queste siano pronte in ogni momento a trasformarsi da forze produttive in forze distruttive; distruttive al punto da minacciare la stessa vita sulla terra. Non mancano allora i giudizi sommari che liquidano, ad un tempo, l'attuale organizzazione sociale, lo sviluppo industriale, il progresso tecnico-scientifico. Il marxismo ha un punto di vista capace di superare questa contraddizione?
La dimensione planetaria dei problemi attuali
LG: Certamente. Il marxismo non condivide le posizioni luddiste; le ha combattute. Ma non accetta neppure questa ideologia della scienza e della tecnica secondo cui esse possono risolvere tutti i problemi. I problemi che tu indicavi sono in primo luogo problemi di ordine sociale, riguardano l'organizzazione della società, la lotta tra le classi. Non va attribuita alla scienza e alla tecnologia alcuna potenza magica; vanno trattate come tutti gli altri fattori della società, cioè con un esame delle forze che le determinano e che se ne servono, degli interessi economici che vi sono intrecciati ecc. Né alla scienza né alla tecnologia, in quanto tali, in quanto attività sociali umane, noi possiamo attribuire le responsabilità delle catastrofi, ma ai rapporti sociali concreti entro i quali, in un determinato momento, vengono a svilupparsi e ad esplicare i loro effetti.
Esistono certo molti malintesi a questo proposito favoriti anche dai mass media e dal grande capitale. Ad Agnelli, per fare un esempio, fa certo comodo che la gente pensi che lo sfruttamento del lavoro non è colpa sua ma della scienza. Ma questa è veramente una grande mistificazione.
Tornando all'incidente di questi giorni. Esso ha dimostrato un'altra cosa importante: il carattere internazionale, mondiale di questi problemi e della lotta che ci troviamo a fare. Si è visto, ad esempio, che la nube nucleare non rispetta i confini tra un paese e l'altro, tra “l'impero d'Occidente” e “l'impero d'Oriente”; se ne va per conto suo e ci obbliga a fare una riflessione sul carattere internazionale della civiltà umana, dei problemi che la riguardano. E' sempre più superata la divisione tra regione e regione, fra Stato e Stato; i problemi si pongono su scala planetaria.
TB. La dimensione planetaria, la punto di vista capace di superare qualità nuova del problema ambientale – oggi non è più solo questione di fenomeni localizzati di "inquinamento"; siamo spesso di fronte a fenomeni globali, tendenzialmente irreversibili di impatto ambientale dello sviluppo umano: crescita demografica, esaurimento di alcune risorse, minacce di morte di interi ecosistemi (le foreste distrutte dalle piogge acide, l'eutrofizzazione dei mari, per esempio) – possono essere esaminati con le categorie dei classici del marxismo, di Marx, di Engels, di Lenin? Molti, anche a sinistra, ormai lo negano apertamente: alcuni si spingono ad accusare il marxismo di aver condiviso il cieco ottimismo industrialistico del positivismo filo-capitalistico...
LG: Possiamo certamente partire dal marxismo per esaminare queste questioni, ma tenendo conto che la situazione di oggi non è quella di allora Non si può accusare Marx di non essere stato un profeta. I profeti lasciamoli alle religioni. Marx ha esaminato scientificamente, con molto rigore, la situazione dell'industria e dell'economia della sua epoca. Noi possiamo – e dobbiamo, secondo me – usare gli stessi strumenti per fare altrettanto con l'economia, l'industria, le tecnologie di oggi.
Non possiamo invece chiedere al testi di Marx la formula valida allora come oggi. Non possiamo più cancellare la meccanica di Newton; essa è stata un passo fondamentale nello sviluppo della scienza. Ma da quel momento si è andati avanti, si è arrivati ad Einstein ad Heisenberg e oltre, alla fisica moderna.
Questo è normale. Possibile che solo nei riguardi del marxismo si faccia colpa a Newton-Marx di non avere risolto i problemi di oggi? Secondo me c'è in questo un errore di impostazione.
Una cultura indifferente al pensiero scientifico-tecnico
TB. Indubbiamente non si può rimproverare a Marx di non essere stato un profeta. Dobbiamo invece riconoscere che fin dai suoi inizi il marxismo ha avuto una considerazione peculiare della natura e del rapporto tra uomo e natura. Nei testi di Marx ed Engels, ricorre una formula molto pregnante, emblematica della concezione che hanno gli autori del rapporto tra l'uomo e la natura. Marx ed Engels parlano di un “ricambio organico” tra l'uomo e la natura che avviene nel contesto di determinate forme sociali. Da un lato, cioè, c'è il riconoscimento dell'uomo come ente naturale che dipende dalla natura; dall'altro, però, questa dipendenza assume forme che non sono “naturali” ma determinate dal modo “sociale” in cui l'uomo organizza il “ricambio organico”. Tutt'altro quindi che l'unilateralismo del positivismo. E in più punti dalle opere di Marx e di Engels si rivengono riferimenti alle devastazioni ambientali provocate dall'approccio di rapina del capitalismo, mosso dalla logica del profitto, alle risorse naturali.
LG: Lo stesso Lenin aveva compreso la portata del problema e aveva cercato – malgrado l'arretratezza russa – di impostare anche dal lato teorico il problema dei rapporti tra progresso scientifico e progresso civile, con opere esemplari. Ma in Italia opere come Materialismo ed empiriocriticismosono del tutto ignorate, quando non si giunge a dire che si tratta di opere minori, di scarso valore, come ha scritto Luciano Gruppi.
TB. Dalla teoria alla prassi del movimento operaio italialo. Non si può negare che c'è molto da fare per dare alla sinistra una coscienza della questione ambientale. Le scelte tecniche, scientifiche, economiche fatte dal capitale sono troppo spesso accolte come inevitabili, se non proprio come le migliori. Quale può essere la ragione di fondo?
LG: Ci sono due ragioni, a mio modo di vedere. La prima è che nella nostra società resta dominante la borghesia, il capitale, e quindi ciò condiziona il formarsi dell'ideologia degli scienziati e 1'uso della scienza; di riflesso anche il movimento operaio assorbe questi punti di vista su queste questioni.
La seconda è l'ignoranza. Anche nelle file della sinistra italiana troppo spesso per cultura si intende solo quella letteraria-umanistica, con un'attenzione marginale a quella scientifica. Lo stesso Gramsci non aveva capito l'importanza della cultura scientifica e anche il PCI ha continuato a privilegiare, anche nel secondo dopoguerra, un tipo di cultura del tutto indifferente a quella scientifico-tecnica.
TB. In questa ignoranza c'entrano anche le scelte politiche e strategiche? Voglio dire: è forse casuale che il PCI che sceglie con convinzione le centrali (rivendendo tutte le mistificazioni di parte capitalistica sulla necessità di questa scelta per il progresso industriale e tecnologico del paese) abbandoni nel contempo perfino sulla carta l'idea del “superamento” del capitalismo?
LG: No certo. Ormai il PCI si guarda bene dal voler “superare” il capitalismo. Si accontenta di migliorarlo un po'. Si adatta a viverci dentro. In una situazione del genere è chiaro che il capitalismo ha ragione di dire “sono io il progresso”. Che cosa gli può contrapporre, infatti, il PCI?
TB. Eppure tra il '68 e la metà degli anni settanta ci sono state alcune esperienze significative sul terreno della lotta per la salute, contro la nocività dell'ambiente di lavoro, per la tutela del territorio (Marghera, Castellanza...). Ma oggi è rimasto ben poco; le grandi organizzazioni burocratiche sono rimaste impermeabili...
Un qualche sforzo di elaborazione su questi temi, a partire da un punto di vista marxista, o tenendo conto del punto di vista marxista, è stato fatto da alcuni studiosi, talvolta tecnici animati da spirito militante, che hanno prodotto una “ecologia politica” peculiare del nostro paese. Anche Democrazia proletaria ha fatto dei tentativi in questa direzione, con convegni come “Coscienza di classe e coscienza di specie” ad esempio...
E' necessario ritornare a Marx
LG: Il tentativo non è molto riuscito; non ancora almeno. E' certo maturata una maggiore sensibilità... C'è stata una qualche influenza deformante dei francofortesi. Un autore come Cini (L'ape e l'architetto), per fare un esempio, imposta la questione nei termini estremisti, infantili di “lotta contro la scienza” (e Cini è peraltro un bravo fisico...). Alcuni di costoro, naturalmente, si dichiarano contrari a Engels, se non a Marx. Credo invece che sia necessario un ritorno a Marx, ai testi di Marx. Naturalmente come si ritornerebbe a Newton. Ma questa resta una tappa fondamentale senza la quale non si può capire lo sviluppo successivo e non si può fare la rivoluzione oggi.
[Pubblicato in “Bandiera rossa” n. 8, 1 giugno 1986, p. 5]
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