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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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martedì 13 dicembre 2011

31 TESI SULLA SOCIETÀ DELLA MISERIA (e oltre)


di Giuseppe Sottile & Antonio Pagliarone


31 TESI SULLA SOCIETÀ DELLA MISERIA (e oltre)
Message in a bottle


La ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di
produzione capitalistico si presenta come una “immane
raccolta i merci (Karl Marx Il Capitale)

L’intera esistenza delle società nelle quali predominano le
moderne condizioni di produzione si presenta come
un’immensa accumulazione di ‘spettacoli”
(Guy Debord, La Società dello spettacolo)



I. Diversamente da quanto solitamente immaginato, la "politica" non ha mai avuto alcun ruolo rilevante nelle società capitalistiche, specie riguardo l'influenza da essa esercitata sulle fasi del trend economico. Essa ha goduto dei favori della crescita economica un tempo (Golden Age) come è caduta in disgrazia quando si è entrati in una fase di pronunciato declino economico.

II. A partire in specie dal secondo dopoguerra e relativamente ai Paesi industrializzati, il capitalismo ha intrapreso una notevole fase di crescita economica, caratterizzata da consistenti investimenti in capitale fisso ed ampio incremento dell'occupazione in ogni settore dell'economia. La crescita dei primi si è accompagnata - come sempre nella storia di questo sistema sociale - alla crescita della seconda.

Il mio punto di vista … concepisce lo sviluppo della formazione economica della società
come processo di storia naturale” (K. Marx, Il Capitale)

III. In questa fase il capitalismo sembra aver portato a compimento, in alcune aree del pianeta, la sua più essenziale natura, ossia trasformare la popolazione in una massa di lavoratori salariati. Il sistema capitalistico così non è altro che il sistema del lavoro salariato; è attraverso questa forma del lavoro infatti che si producono beni e servizi, ossia quella parte del reddito monetario costituito da profitti e salari.

IV. La crescita economica intrapresa nel secondo dopoguerra nel cosiddetto "primo mondo" ha avuto comunque alcuni effetti salienti: un tasso di disoccupazione quasi irrilevante, una conseguente crescente forza rivendicativa dei salariati, ergo una riduzione del grado di concorrenza al loro interno, una crescita della componente lorda del salario e dulcis in fundo il consolidarsi del sistema del welfare state per come lo abbiamo conosciuto, sul modello pubblico europeo o prevalentemente privato negli Stati Uniti. Se si dovesse fare, come opportuno, una storia del movimento dei salariati come storia delle varie fasi e gradi di lotta di classe al loro interno più che "contro il capitale", nella storia del capitalismo il secondo dopoguerra è stato di gran lunga il periodo più favorevole ad una riduzione del grado di quella lotta.

V. Sono queste le ragioni di fondo che hanno permesso a tutti i governi e di qualunque colore politico di porre in atto quelle riforme volte al miglioramento degli standard di vita nel capitalismo che poi politici ed intellighenzia hanno propagandato come loro meriti. Si trattava di fornire una veste legislativa e dunque “codificare” oggettive condizioni di incremento della ricchezza prodotta in forma capitalistica. Non è un caso che l'ideologia dominante del tempo fu il keynesismo, alla quale però a rigore non corrispose alcuna politica economica, poiché sino alla fine degli anni '60 non vi furono in pratica politiche economiche in deficit.

VI. Tuttavia, il secondo dopoguerra non è stato altro che l'apice d'una fase tendenzialmente espansiva del capitalismo empiricamente constatabile per tutto il XVIII ed il XIX secolo. Una fase di accumulazione capitalistica allargata che ha visto il valore di scambio diventare la forma generale della ricchezza ed il lavoro salariato la forma storica del processo di riproduzione della specie umana. Da ora, beni e servizi prodotti vengono identificati con la loro espressione monetaria; il valore d'uso risulta una semplice propaggine del valore di scambio con tutte le conseguenze che ciò ha sugli standard di vita e la loro “percezione sociale” per come li abbiamo conosciuti nel capitalismo. L'ideologia generale che ha accompagnato questa fase storica ("superba, sciocca" e criminale) è stata quella del "progresso" tout court.

VII. Il risvolto sociale di tutto ciò è stato correttamente definito integrazione dei salariati. D'altro canto, la “democrazia borghese” pienamente compiuta nel corso del '900 non è stata altro che la forma politica pienamente svelata di questa integrazione, costituita da un insieme di apparati che ne hanno fatto da cornice ed in specie partiti, sindacati, sistemi di governo "democratici", sistema dell'istruzione, struttura della previdenza, sanità ed assistenza. In sostanza e dalla sua origine, il capitalismo come compiutosi in alcune aree del pianeta ha ottenuto il massimo consenso non totalitario in "tempo di pace".

"Il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso [...] la produzione è solo
produzione per il capitale, e non al contrario i mezzi di produzione sono dei semplici
mezzi per una continua estensione del processo vitale per la società dei produttori"
(Karl Marx, Il Capitale)

VIII. E tuttavia come ogni evento viene all'esistenza per mutare e poi scomparire, una serie di circostanze di natura economica manifestatesi negli anni '70, riconducibili al rallentamento della crescita per via di limiti intrinseci all'industrialismo capitalistico nella produzione di valore, invertono la fase tendenzialmente espansiva in una tendenzialmente regressiva, rilevabile osservando numerosi fondamentali indici economici quali, p.e., il saggio di accumulazione e del profitto. Col senno di poi, si constata come la "forza propulsiva" del capitalismo cessa e con essa le condizioni a cui la nostra specie s'era abituata a riprodursi al suo interno in una certa area del pianeta. Questo punto di svolta superiore rappresenta anche l'incipit ad una necessità condizionata, a posteriori o relativa che dir si voglia, poiché spiega in larga parte tutto ciò che ne consegue nei decenni successivi.

Il capitale è una contraddizione in processo, da una parte esso spinge alla riduzione del tempo
di lavoro a un minimo e, d’altra parte, esso pone il tempo di lavoro come la sola fonte e la sola
misura della ricchezza. Esso diminuisce dunque il tempo di lavoro sotto la sua forma necessaria
per accrescerla sotto a sua forma di pluslavoro. (Karl Marx)

IX. En passant possiamo rilevare come questa inversione di tendenza si sia per prima espressa distruttivamente negli "anelli deboli" del capitalismo (ex blocco sovietico), in quelle società cioè a proto-capitalismo di stato autodefinitesi "comuniste", poiché non caratterizzate da uno sviluppo tecnico ed incapaci di realizzare l'integrazione dei lavoratori, per via di un welfare miserabile fondato su corruzione, nepotismo e pratiche clientelari. In effetti, il peggior incubo per le popolazioni sottoposte a quei regimi è stato nel contempo un fervido business per apparati politico-intellettuali dell'Occidente che ivi hanno trovato un ottimo argomento per legittimare loro stessi a patto però, con buona partecipazione degli stessi, di falsificare avvenimenti storici e di presentare quei regimi come ragionevoli alternative al capitalismo. A ben vedere, il marxismo ed il comunismo novecenteschi sono stati una apologia e parodia tragi-comica del capitalismo.

X. Due sono i fenomeni veramente salienti di quella contrazione nella crescita economica, costellata da ben dieci, più o meno marcate, crisi economiche mondiali (contrazioni del prodotto netto): una metamorfosi in senso speculativo dell'economia capitalistica onde "ovviare" ad una crisi di redditività del capitale produttivo di valore ed un graduale smantellamento del welfare state. Alcuni degli aspetti di questo processo sono le privatizzazioni, l'outsourcing, il crescente incremento del debito etc. ed il resto ancora rappresenta la semplice cornice spettacolare di carattere politico-propagandistico.

XI. Poiché il settore finanziario-speculativo ha preso a crescere considerevolmente al pari della "redditività nominale" degli investimenti da esso procurata, crescenti quote del reddito nazionale sono state sempre più subordinate ed utilizzate a partire dagli anni '80 a fini speculativi da parte degli stessi capitalisti (e non solo). Il capitalismo ha cominciato ad assomigliare ad un enorme Moloch che fagocita quote crescenti della ricchezza (monetaria e fisica) da esso prodotta mediante il lavoro salariato. Il settore della finanza speculativa infatti non solo sottrae ricchezza in forma capitalistica e non ne produce, ma a differenza di altri settori "non produttivi di valore" non svolge alcun ruolo necessario alla riproduzione del sistema capitalistico, bensì la blocca semplicemente.

XII. La dinamica speculativa tuttavia non va considerata affatto un "bubbone" alieno alla parte "sana" della società; al contrario essa è il percorso che il capitalismo segue (in questo ultimo trentennio in via pare definitiva) appena le condizioni di redditività degli investimenti nei settori non speculativi vengono riducendosi, come accaduto a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Da adesso, il declino del sistema capitalistico si prefigura e svolge non tanto e non più come crisi di produzione e realizzazione di valore secondo meccanismi noti, bensì come usura “senza fine” di quanto rimasto per produrre valore a fini speculativi.

XIII. Sul piano del regime sociale consegnatoci dal secondo dopoguerra assistiamo a sempre più vistose modificazioni del regime del welfare verso un suo ormai evidente smantellamento. Subentra l'era della de-integrazione dei salariati. Privatizzazioni, outsourcing, deregulation, precarizzazione, riduzione del valore del salario reale, incremento dell'orario di lavoro e della sua intensità, riduzione delle garanzie previdenziali e loro subordinazione alla dinamica speculativa, indebitamento e feroce concorrenza tra i lavoratori salariati sono alcuni dei fenomeni conseguenti più manifesti.

XIV. Tutto ciò ha avuto la sua propria ideologia, che ha riflesso questa fase come una "scelta" dei ceti dirigenti ed il frutto nel contempo di un nuovo paradigma economico che sarebbe scaturito dalle new technologies: il "neoliberismo postfordista.".

La stampa quotidiana e il telegrafo, che ne dissemina le invenzioni in un attimo
attraverso tutto il globo terrestre, fabbricano più miti [...] in un giorno, di quanto
una volta se ne potevano costruire in un secolo. (Marx a Kugelmann, 27 luglio 1871)

L'incremento della concorrenza tra i capitali a livello mondiale non è stato percepito come conseguenza di un declino in corso dagli anni '70 per via della redditività decrescente degli investimenti produttivi, bensì, trasfigurato in veste ideologica, come una nuova era di abbondanza il cui problema è un problema di "gestione". Qui ancora una volta l'ingovernabilità di questa nuova fase ha fatto tutt'uno con la formazione di nuovi modelli sociologici e di formazioni politiche più adatte di altre a impersonare la "nuova era" del capitalismo, sino a quando tutte, all'unisono, si sono trovate a convergere verso lo stesso tipo di politiche economiche e sociali, il cosiddetto “neoliberismo”. Il "disordine" crescente si è riflesso con apparati politici in apparente competizione a cui si sono aggiunti, come sempre, quelli "a(nta)gonisti" che hanno assunto e teorizzato anch'essi l'idea di un "nuovo ordine e controllo sociali" onde competere nel teatrino della politica. Un tempo era, p.e., l'imperialismo, poi si è trattato di globalizzazione, post-fordismo, geopolitica con la solita minaccia di una guerra etc.

"Il termine “complessità”, riferito ai sistemi sociali, nasconde l’incomprensione che si ha dell'attuale periodo storico. Gli intellettuali, apologeti dello status quo, ossia del loro più o meno lauto business, sono dei maestri nel trasformare la loro colpevole ignoranza in una nuova, più profonda e illuminante comprensione dei fatti. Nelle loro menti, la decadenza penosa dell’attuale sistema sociale assume la forma d'una società più complessa. Questo è uno degli effetti del principio di relatività storico. (Anonimo)

XV. In realtà, piuttosto che in questa "modernità", propagandata a destra come a sinistra, il capitalismo è più prosaicamente entrato in una lunga fase di declino. Il sistema capitalistico o meglio ciò che ne resta non riesce più a riprodursi, il che significa che il regime del lavoro salariato e le strutture che ne esprimevano il consenso (partiti, sindacati e welfare anzitutto) vanno sgretolandosi. Ciò che residua è una massa di lavoratori servili, produttivi di valore, nella forma di salari e profitti, costantemente risucchiato dalla finanza speculativa e dal debito che così viene a formarsi.

XVI. Ciò che emerge è un regime del lavoro di tipo neoservile tendenzialmente privo di tutele e garanzie, in cui vige una concorrenza spietata tra salariati su cui gioca il "dominio" del capitale e attraverso cui ormai soltanto il potere politico trova la propria legittimità. Ma ciò significa anche che gli apparati politico-istituzionali godono di sempre minor consenso, sono semplici appendici d'un capitalismo parassitario e debbono inventarne di tutte per conservare un po' di credibilità (a principiare da guerre fasulle), nonché fungere in taluni casi da semplici contenitori del disagio sociale.

Ma non scoppiano forse tutte le rivolte, senza eccezione, nel disperato

isolamento dell'uomo dalla comunità? Ogni rivolta non presuppone forse

necessariamente questo isolamento? (Il re di Prussia e la riforma sociale, firmato: un Prussiano" Marx, 1884)


XVII. In effetti l'Occidente capitalistico assomiglia sempre più ai Paesi dell'ex blocco sovietico e cosiddetti comunisti tutti. Così una critica radicale alla storia del capitalismo non può non passare per una critica feroce di quei regimi, in specie URSS e Cina. L'abomino sociale espresso da quei regimi con estesi settori di lavoro finanche schiavistico è unico nella storia della industrializzazione capitalistica, ma anche di tutta la storia umana. Anche a quanto accaduto in quei Paesi è dovuto, probabilmente, il ritardo del processo di possibile emancipazione umana nell'Occidente capitalistico, contrariamente a quanto supposto dalle elite intellettuali interessate del passato.

XVIII. I salariati si trovano ora e si troveranno a dover fare i conti con un sistema sociale rispetto al quale non avranno più nulla da perdere. Ciò che fin'ora è stato fonte della loro esistenza diverrà per essi una condizione insostenibile: il lavoro salariato stesso nelle forme che un capitalismo agonizzante sta consegnando loro. Una condizione storica d'esistenza sta semplicemente venendo meno e come ogni evento storico verrà sostituito da qualcos'altro, fosse anche una prolungata barbarie.

"Mi si indichi "almeno una istituzione della nostra vita moderna, privata o pubblica,
che non sia da condannare completamente, senza riserve (Bazarov in Turgenev, Padri e figli)

XIX. Essi si trovano e troveranno tra l'incudine della precarietà reddituale ed il martello dell'indebitamento. Di conseguenza risulterà inutile per essi rivolgersi alle autorità, ai partiti, ai sindacati. Dovranno sopprimere le strutture organizzative che fino ad ora si sono dati, in specie le variegate formazioni di sinistra che, come sempre, pure ora sono più realiste del re. Ciò che queste riescono ad esprimere oggi è al massimo l'esigenza alquanto idiota di un capitalismo senza neoliberismo, praticando infatti nel contempo draconiane politiche economiche considerate "necessarie", ossia coerenti alle compatibilità capitalistiche.

XX. I salariati manifestano al momento ancora la loro natura bifronte: essi sono socialmente sempre stati una classe conservatrice, per essi è sempre stato essenziale che il capitalismo "desse loro lavoro". Come capitale variabile produttivo o meno di plusvalore essi dipendono dall'accumulazione di capitale, ossia dall'espansione del capitale morto. In tutti i casi storici in cui questo processo si è interrotto, più che negarsi in quanto tali, hanno atteso che il meccanismo riprendesse.

XXI. D'altronde, se sino ad un certo punto lo sviluppo e l’ espansione del capitalismo hanno fatto tutt'uno con una integrazione del movimento operaio e dei salariati, poiché quello sviluppo ed espansione lo furono allo stesso modo del capitale variabile in senso largo, la de-integrazione in corso fa tutt'uno con la cessazione di quello sviluppo ed espansione.

XXII. Ciò rende assai ragionevole ed anche coerente con l'analisi economica di Marx l'eretica concezione secondo la quale la classe dei salariati non è e non fosse affatto una classe "naturalmente" rivoluzionaria, semmai pars specifica dell'industrialismo capitalistico. A meno che non si voglia considerare la classe dei salariati come una classe " parassita" nata in seno al capitalismo per sopprimerlo Ed è questo che si estingue con essa e non perché abbia sviluppato nel suo seno elementi di comunismo o l'estensione del lavoro salariato in quanto tale, ma perché, come oramai visibile, esso non è più in grado di produrre nulla e si limita a usurare quanto rimasto.

XXIII L'idea che il movimento operaio fosse costituito da una classe rivoluzionaria non fu propria neppure delle strutture politico-sindacali che si diede quel movimento, spesso in teoria, ma certamente nella pratica. Lo fu di sezioni ultraminoritarie della divisione intellettuale del lavoro, che compensarono la loro mancanza di peso politico con l'idea che avessero un ruolo speciale nelle società. A ciò è riconducibile la genesi delle ideologie politiche che si sono prodotte in questi ambiti.

XXIV. Tuttavia, poiché parimenti rappresentano praticamente la quasi totalità della popolazione e la principale se non unica fonte della produzione di reddito monetario, solo dai salariati può provenire il superamento dell’attuale sistema sociale in via di disfacimento. La negazione del regime del lavoro salariato, oggi più che mai, non sarà una "opzione politica", bensì una necessità economica collettiva. Ne va della esistenza di tutta la comunità umana. O la galera nella quale viviamo o una liberazione secondo le condizioni del nostro tempo.

Il mio ottimismo si fonda sulla certezza che questa civiltà crollerà.
Il mio pessimismo su tutto ciò che essa farà per trascinarci nella sua caduta (Guy Debord).

XXV. Come? Sperimentando forme di produzione e gestione delle risorse umane e materiali non mercantili, organizzate dagli stessi lavoratori, dunque non finalizzate al profitto ma rivolte alla abolizione di tutta una gamma di prodotti e servizi che si percepiranno come inutili o dannosi alla collettività, riduzione di altri e creazione di nuovi qualitativamente utili. Tali sperimentazioni, se estese, saranno le uniche a poter ridurre il grado di lotta per l'esistenza, il tempo necessario alla riproduzione ed ad incrementare drasticamente il grado di libertà personale. La questione, dunque, non è affatto unicamente una questione di "gestione".

In una società futura, in cui l’antagonismo delle classi fosse cessato, l’uso non sarebbe più
determinato dal minimo tempo di produzione; ma il tempo di produzione che si consacrerebbe
a un oggetto sarebbe determinato dal suo grado di utilità. (Karl Marx)

XXVI. ......e che dire del resto del mondo consegnatoci da questo stadio finale del capitalismo? Vi possiamo vedere il nostro immediato futuro, ossia semplice barbarie: una fatiscente e nauseante caserma ricolma di monitor e telecamere. Politici che sono solo gangster ed una umanità disfatta dedita ad ogni sorta di prostituzione.

Se il crimine fosse quotato in borsa, le sue azioni sarebbero il miglior
possibile investimento. (Dal Corriere della Sera, 25 sett. 1972)

XXVII. In questi periodi gli elementi più dinamici non hanno altra scelta che quella fra l'inazione o la formazione di raggruppamenti che, non essendo rappresentativi della classe, non possono essere altro che organizzazioni politiche. Condannare in blocco questo tipo di raggruppamento come burocratico vuol dire rifiutare ogni possibilità di accelerare l'evoluzione storica e di ridurre eventualmente il rischio di una ricaduta della società nella barbarie. Da ciò non deriva però che ogni organizza­zione che riconosca la necessità dell'abbattimento violento della società giochi necessariamente un ruolo positivo. Le divergenze che separano le organizzazioni o i gruppi rivoluzionari coprono, in effetti, delle influenze sociali opposte. In tale situazione si tratta di una corsa contro il tempo e tutti gli anni persi possono essere decisivi.

Noi non ci presentiamo al mondo come dottrinari con un nuovo principio: ecco la verità, in ginocchio di fronte ad essa! Noi mostriamo al mondo dei principi che il mondo stesso ha sviluppato entro di sé. Noi non gli gridiamo: lascia le tue lotte, sono delle sciocchezze, le vere parole d'ordine sono quelle che ti diciamo noi. Noi mostriamo semplicemente ed esattamente al mondo il perché della sua lotta, e la sua coscienza sarà un risultato che dovrà acquisire, che lo voglia o no. (Karl Marx).

XXVIII. Dal momento che l'azione comune si rivela più efficace dell'attività indivi­duale isolata e che, d'altra parte, esige un quadro in cui si possa elaborare e concretizzare, è al passo seguente che si presenta l'alternativa: o uno si riunisce per darsi il massimo delle possibilità di arrivare all'obbiettivo finale, oppure ognuno resta nel suo angolino e si condanna a sprecare le sue risorse e a restare al di sotto dell'efficacia alla quale potrebbe arrivare. Dal punto di vista rivoluzionario non ci sono individui che pensano e altri che agiscono, ma individui che trasformano la realtà a partire da una analisi alimentata da questa. Di conseguenza non ha alcuna importanza il numero di aderenti ad un raggruppamento, non è la quantità che lo valorizza ma la qualità dell’attività di coloro che sono impegnati a diffondere l’autoorganizzazione non come una delle tante ideologie ma dimostrando la possibilità di sviluppare nuovi rapporti sociali embrioni della nuova società.

XXIX. In realtà per poter costituire un raggruppamento rivoluzionario occorrono i rivoluzionari. Possono essere considerati come rivoluzionari soltanto coloro che favoriscono sistematicamente lo sviluppo dei rapporti sociali “comunisti”, anche con la formulazione teorica dell'esperienza storica del proletariato e con l'appoggio pratico alla sua auto-emancipazione. Un tale lavoro implica una lotta senza concessioni contro la burocrazia politico-sindacale, lotta che sarà tanto più efficace in quanto assumerà la forma non di denuncia astratta ma di proposte pratiche che tendano allo stabilirsi della democrazia diretta nella direzione delle lotte. Non si tratta di contrapporsi alla burocrazia reagendo ad ogni sua iniziativa, che è il modo migliore di mettersi a rimorchio e di modellarsi su di essa, ma di portare l'attacco, in teoria e in pratica, contro i rapporti sociali che tale burocrazia rappresenta. In altri termini, il ruolo dei rivoluzionari non è quello di dare delle direttive, o anche dei consigli, ai lavoratori sugli obbiettivi o sui modi di lotta, ma di insistere in tutte le circostanze per l'adozione di forme di organizzazione che permettano la partecipazione cosciente alla direzione della lotta del maggior numero possibile di lavoratori.

XXX. La necessaria continuità dell'azione rivoluzionaria implica un minimo di organizzazione. Le condizioni di esistenza della società di classe fanno in modo che i rivoluzionari siano forzatamente molto pochi e molto dispersi e che molti fra di loro non facciano parte del proletariato. Se si prende sul serio il lavoro rivoluzionario è inconcepibile il rifiuto delle misure pratiche che permettono di portarlo avanti, impiegando nel miglior modo possibile il tempo e le energie a disposizione. Ma la natura stessa del progetto rivoluzionario esclude una organizzazione gerarchizzata.

L'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perchè, a considerare
le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni
materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. (Karl Marx)

XXXI. Un raggruppamento rivoluzionario deve porsi ora il problema di avanzare delle ipotesi per la soluzione dei problemi che sorgeranno inevitabilmente in occasione di una rivoluzione dai connotati imprevedibili. Purtroppo, contrariamente a quanto credevano i marxisti del passato, il capitalismo non ci consegnerà una economia ed una società matura per il socialismo anzi nella sua fase di autodistruzione questo sistema di produzione, ormai morto, ha provveduto alla devastazione di quanto è stato realizzato nel corso del tempo e continua imperterrito a provocare danni che saranno irreparabili se non si imponesse immediatamente il suo superamento.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Perfetto e grandioso!

Ma un appunto:

quando l'attacco alle condizioni di vita dei lavoratori sarà completato, e quotidiamente accettato, non ritorneranno le condizioni per un interessante margine di profitto nella produzione! Non sposteranno i capitali dalla finanza alla produzione per un nuovo ciclo di accumulazione di capitale nell'industria?

gianni

Lorenzo Mortara ha detto...

Direi che è il contrario più continueranno con la rapina ai danni dei lavoratori, più investiranno in borsa perché la strozzatura tra la grande produzione e la scarsa capacità di assorbimento del mercato, non darà il là a finanziamenti produttivi. Continuerà l'eccesso di sovrapproduzione. Contemporaneamente aumenteranno rischi di crolli finanziari e possibilità di lotta dei lavoratori. Senza vittorie dei lavoratori difficilmente la situazione cambierà...

Anonimo ha detto...

La ringrazio moltissimo della risposta.
Se non abuso della Sua cortesia Le sottoporrei un altro mio dubbio.

Fermo restando che, spero presto, ci siano vittorie che possano fermare l'abominio e la distuzione che l'umanità sta subendo a causa del meccanismo primitivo del profitto, che sta alla base del capitalismo, il mio dubbio è il seguente.

Aumento di assorbimento del mercato c'è quando partono nuove tecnologie di massa o durante e dopo le guerre.

Il treno, la macchina, gli elettrodomestici etc.,etc.

Ad esempio una rivouzione verde, intesa come sostenibilità di ogni aspetto legato alla vita materiale (trasporti,energie, abitazioni, agricoltura,etc.) comporterebbe una ripresa della produzione e dei consumi immensa.

Attualmente è bloccata dalle multinazionali del petrolio e da parte della finanza, che controllano le decisioni politiche, e se possono scegliere preferiscono le guerre. Ma una volte che i margini di profitto in questi settori - grazie all'abbattimento dei salari, dei diritti e dello stato sociale - fossero pari o superiori a quel, credo, !5% della finanza non ci sarebbe uno spostamento di capitali in quella direzione?

E una rivoluzione verde è solo un esempio tra quelli più auspicabili, ma altri meno gradevoli frullano sempre dalla parte delle mutinazionali.

gianni

Lorenzo Mortara ha detto...

Nessun abuso, ci piace coltivare il rapporto coi lettori.
Il problema che pone è molto complesso, e magari il nostro compagno economista, Riccardo Achilli, prima o poi metterà mano a un articolo che saprà dirle meglio di queste righe.
Non è solo il tasso di profitto a determinare l'investimento, ma anche la probabilità di incassarlo. Un esempio: con il suo nuovo programma, grosso modo raddoppiare la produzione comprimendo i salari, Marchionne ha appena rimandato a tempi da definire le produzioni, perché il mercato non saprebbe assorbirle. Dopo le guerre e in concomitanza con grandi innovazioni, il capitalismo si è ripreso, ma la Storia non si ripete sempre uguale. Oggi la composizione organica del capitale assorbirebbe quelle innovazioni nel giro di pochissimo e occupando pochissima manodopera. Non deve inoltre dimenticare le grandi conquiste del dopoguerra del movimento operaio. Sono più queste che assorbirono la disoccupazione, piuttosto che le nuovo tecnologie. Mi pare che lei inverta le cose.
Quanto alla rivoluzione verde credo sia pressoché se non è preceduta prima da una rivoluzione socialista, non è bloccata dalle multinazionali, ma dallo sfruttamento dell'uomo, cioè di una parte della natura sull'altra, su questo Marx è ancora mille miglia più avanti dei verdi che vedono lo sfruttamento della natura ma non lo fanno dipendere dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Legga gli ultimi libri pubblicati da PONSINMOR curati da Bagarolo sul rapporto marxismo e natura.

Un saluto

Anonimo ha detto...

Grazie dell'attenzione e del consiglio di lettura.

Sui verdi e su Marx sono perfettamente d'accordo con Lei. Già da parecchi anni sono convinto, e vado spiegando, che il nodo in cui si intrecciano tutte le rovine è la proprietà privata dei mezzi di produzione, e il loro unico fine di valorizzazione del capitale, e che, a questo punto, il capitalismo non è più neppure un mezzo,seppur inumano, per lo sviluppo delle forze produttive ma il veicolo certo per la loro costante e sicura distruzione.

Penso anche che la contraddizione, sempre più potente, fra sfruttati e sfruttatori porterà - penso anche in un tempo non così lungo - o alle barbarie o al cambiamento.

Il tema su cui oscillo, e su cui non riesco a far chiarezza è il fatto dell'irreversibilità di QUESTA crisi, al di là dei tempi di risposta dei movimenti, che, quando arriveranno corposi, scriveranno una volta per sempre la parola.
fine.

Se avesse delle segnalazioni bibliografiche su questa tematica sarei contento di leggerle.

Con grande stima per il suo ottimo lavoro, che con il suo ultimo post ha toccato un vertice di profondità e chiarezza - qualità sempre rare anche singolarmente, ma rarissime congiunte - ammirabile,

la saluto cordialmente

gianni

Anonimo ha detto...

2 continua

Ps. Per non farLe perdere tempo che so prezioso, aggiungo che dimenticavo di dirLe che ho presente la tematica della caduta tendenziale del saggio di profitto, legata all'aumento inarrestabile del capitale fisso a discapito di quello variabile.

gianni

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