di Ikos
Fra poche settimane "il manifesto" potrebbe non esserci più in edicola. Non vi farò un pistolotto sul pluralismo dell'informazione, sulla difesa della libera espressione ecc. dal momento che è sempre più evidente che anche l'editoria (quella cooperativa non fa eccezione), nella putrefatta società borghese di oggi, è un affare tra gli altri. Anche il settore editoriale soggiace implacabilmente alle leggi di un mercato capitalistico che oggi domina l'intero globo. La tiratura non è alta? Sopprimete il giornale, un lusso che in tempo di crisi lor signori non possono più permettersi. Direbbe Lenin: questa sì che è una nazione civile e costituzionale!
Ora – ragionando, no?, e al sodo – perché “il manifesto” non si autofinanzia? perché, anziché imbandire qualche tavolata d'elite sabato sera con il ghiottone Valentino, non organizza gruppi di diffonditori della stampa per i quartieri, durante i cortei operai, davanti alle fabbriche ecc.? Ma è presto detto: perché quei 30.000 lettori sono stati scien-ti-fi-ca-men-te disabituati ad una attività di propaganda pianificata (non si spaventi nessuno n°1!), anche se è soltanto in questo modo che si ottengono quei quatrinelli che così e solo così ottenuti ti danno la libertà di esercitare un punto di vista anche solo vagamente critico. Non che questo agguerritissimo manipolo di lettori d'avanguardia sia mai stato così propenso ad una concezione di militanza orientata da criteri leninisti (non si spaventi nessuno n°2!), ma una volta perlomeno (si fa per dire) c'erano i circoli del “manifesto”, e questo gruppo ambiva a rappresentare politicamente (sul piano istituzionale, beninteso) un pezzetto di sinistra sessantottina. Oggi nemmeno quello – il deserto. Solo qualche “illustre” (facoltoso) sottoscrittore scandalizzato dalla possibilità che la nostra beneamata republique non possa più giovarsi del ringhietto soffocato dell'opinione pubblica radical.
Ma comunque... pur essendo sideralmente distante dalla linea editoriale (attuale e non) di questo foglio d'élite prendo parte alla campagna per la sua sopravvivenza e invito a fare altrettanto. E badate – lo dico ai compagni più critici di me a cui spedisco questa noterella – non per sentimentalismo piccoloborghese (“il manifesto” è un giornale sexy, lo dicono i “comunardi” del Valle) o per incoscienza del fatto che la bandiera del “manifesto” è ben lungi dall'essere rivoluzionaria, ma per una chiara visione dei rapporti di forza oggi tra le classi. Mi spiego: non stupidamente Valerio Evangelisti ha fatto notare in una sua nota polemica che chiudere “il manifesto” fa pur sempre parte di una strategia “il cui solo fine è di schiacciare il movimento operaio e indebolire le sue organizzazioni fino a disperderle”. La CGIL da questo punto di vista ha già capitolato: perché consentire che venga “sospeso” l'articolo 18 a 7 milioni di lavoratori precari per 3-4 anni con la prospettiva di una ricollocazione (sì, forse, si vedrà, se lo vorrà il mercato...) rappresenta già oggettivamente una capitolazione. Ma ciononostante, non volendo fare il gioco dei padroni, non ci rassegneremo a questa china discendente e daremo battaglia anche e soprattutto dentro questa organizzazione sindacale: perché lì sono i lavoratori, non per altro.
Sarebbe poi insensato voler escludere a priori che l'esplosione delle contraddizioni interne a questo collettivo non porti ad una qualche evoluzione positiva di linea. D'altra parte di questa “libertà” fluttuante (scrivete quel che volete ma scrivete: tornate con la mente agli articoli di Asor Rosa ad esempio) gli eretici ne han fatto bandiera.
Se mai dunque (e volendo concludere in positivo) vi capitasse di sfogliare il plurisuccitato organetto di stampa della gauche intellettuale (sabato e domenica raccomando all'anima vostra i supplementi con le pagine più direttamente culturali), leggete Alessandro Robecchi, che ha una pregevole scrittura d'avanguardia, leggete Manlio Dinucci, che ne ha una sorvegliatissima, leggete Franco Arminio, un ancor lucido poeta errante, leggete Alessandro Portelli, grande studioso del movimento operaio americano.
Avec la fraternité,
Ikos per il Circolo d'avanguardia "Il solco"
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