Mentre il Governo Monti spreme pensionati e lavoratori dipendenti con l'alibi del risanamento finanziario, qualche giorno fa, ovviamente nel semi-silenzio degli organi di stampa asserviti, come loro natura, agli interessi del capitale, la Camera dei Deputati ha approvato il rifinanziamento delle missioni militari all'estero, con un costo per l'erario pari a 1,402 miliardi di euro. La sola missione militare in Afghanistan per il 2012, costa la modica cifra di 780 milioni di euro. Come al solito, la maggioranza parlamentare è stata trasversale, ovvero basata sull'asse Pd-Pdl-Terzo Polo (sarebbe necessario peraltro ricordare a Bersani che quando c'era il Governo Berlusconi, più volte fece dichiarazioni di perplessità circa l'opportunità di tenere in piedi le missioni, specie quella afghana). Solo Gero Grassi ed Enrico Gasbarra, per il Pd, hanno avuto la dignità di votare contro, insieme ad Idv e Lega, mentre i radicali, pur avendo condotto da sempre una battaglia contro le missioni militari, hanno scelto una incomprensibile astensione.
La logica, se ce n'è una, è quella da sub imperialismo a rimorchio degli USA che da sempre ispira il peggio della politica estera italiana, e che è perfettamente incarnata da un Monti capace di spendere soldi dei contribuenti al fine di viaggiare a Washington, la scorsa settimana, per farsi elogiare il suo piano di demolizione sociale del Paese dalla comunità finanziaria di Wall Street. Il servilismo nei confronti dell'imperialismo USA è un riflesso condizionato della classe politica italiana, che però ha raggiunto livelli di parossismo con la seconda Repubblica, quando di fatto l'Italia ha rinunciato a qualsiasi ruolo autonomo di gestione dei propri interessi strategici ed economici, persino nelle aree dove naturalmente avrebbe dovuto esercitarlo (Nord Africa e Balcani, più in generale nel bacino mediterraneo). Praticamente, negli ultimi 18 anni, non ci siamo fatti mancare niente. Abbiamo partecipato, a rimorchio della NATO, cioè del Dipartimento di Stato Usa, a tutte le missioni di guerra possibili ed immaginabili: Balcani, Libano, Palestina, Afghanistan, Irak, Libia, Repubblica Democratica del Congo, con il nuovo decreto anche il Sudan del Sud e la Georgia, due scenari che, francamente, appaiono lontani dagli interessi strategici italiani, ma che anche se dovessero rivelare, magari in prospettiva, qualche interesse per il nostro Paese, sono già ampiamente sotto il cappello di altri. In Sudan, gli interessi ruotano attorno alla guerra sotterranea fra Usa e Cina per accaparrarsi le risorse petrolifere ed idriche, vero motivo per il quale è stata pilotata l'indipendenza della parte meridionale di quel Paese, attraverso una sanguinosa guerra civile che ha avuto come protagonista l'Epls, vero e proprio paradigma di movimento di liberazione nazionale costruito a tavolino dalla CIA, e predicante tranquillizzanti ideologie neoliberiste e filo occidentali. In Georgia, il problema ruota attorno al conflitto Usa-Russia per il controllo di una zona strategica, perché piattaforma di futuro passaggio del progetto di gasdotto Nabucco.
L'Italia si rende quindi sistematicamente serva di interessi strategici non suoi, ma del suo padrone al di là dell'Atlantico. Ma come illustrano i drammi shakespeariani, il servo troppo zelante è anche molto spesso un servo ingenuo. La partecipazione ad un progetto dell'Unione Europea di messa sotto controllo della Georgia nuoce gravemente agli interessi di politica energetica italiana. Infatti, tale missione serve soltanto per assicurarsi il controllo della Georgia dalle mire espansionistiche russe, esercitate tramite lo stato-fantoccio abcaso. La tutela Ue su Tbilisi, a sua volta, serve soltanto per garantirsi la realizzabilità del gasdotto Nabucco, che di fatto metterebbe fuori mercato il progetto ENI-Gazprom per il gasdotto South Stream, progetto che ha creato al Governo Berlusconi non poche antipatie nella burocrazia dell'Unione Europea, e nel tandem Sarkozy-Merkel, che lo accusavano di intelligenza con un brutale dittatore come Putin (mentre invece la Merkel che chiede di privare la Grecia della sua sovranità nazionale in materia di politiche economiche, per assegnarla ad un organismo privo di legittimazione elettorale come la Commissione, è un fulgido esempio di democrazia). E' evidente che l'interesse dell'Italia dovrebbe essere quello di sostenere il progetto South Stream, e quindi contrastare il concorrente Nabucco, sia perché un pezzo importante dell'imprenditoria italiana avrebbe lavoro per la realizzazione dell'opera, sia perché il progetto garantirebbe al Paese un rifornimento diretto di gas russo, senza passare per la Turchia e l'Europa centrale, come invece prevede il tracciato del Nabucco. Ma evidentemente gli interlocutori di questo Governo non hanno a cuore le sorti dell'Italia.
L'adesione acritica ai bombardamenti aerei della NATO sulla ex Iugoslavia fatta negli anni Novanta è un altro esempio più illuminante dell'idiozia da servo zelante della politica estera italiana. La disgregazione della ex Iugoslavia ha creato almeno tre Stati ad economia infiltrata da attività criminogene, che ovviamente dirigono proprio sull'Italia i prodotti delle loro attività criminali e di contrabbando, stipulando lucrose alleanze con la stessa criminalità organizzata italiana. Il grande business della ricostruzione e dei servizi di consulenza ed assistenza alla “institutional building” dei neo-Stati balcanici è stato monopolizzato da imprese statunitensi, canadesi, tedesche, francesi, britanniche, spagnole ed olandesi, con gli italiani che si prendevano le briciole.
Sull'Afghanistan tutti sanno il motivo per il quale tale guerra è iniziata: ancora una volta, l'esigenza di far transitare il petrolio ed il gas estratti in Turkmenistan, Azerbaidjan e Uzbekistan. In particolare, la guerra scoppiò perché fallirono le trattative fra la ditta americana che doveva realizzare l'oleodotto, la Unocal, ed il governo talebano (molto generosamente aiutato, nella sua ascesa al potere,dai due tradizionali alleati degli USA nell'area, Arabia Saudita e Pakistan). Lo snodo, raccontato nell'articolo “Afghanistan: tutte le bugie sulla guerra degli oleodotti” di Franco Marino, scaricabile su http://www.senzasoste.it/internazionale/afghanistan-tutte-le-bugie-sulla-guerra-degli-oleodotti , avvenne il 2 agosto 2001, quando i Taleban rifiutarono l'ultima offerta della Unocal per la realizzazione dell'oleodotto. Il 10 Settembre, Bush ricevette un dettagliato piano militare per l'invasione dell'Afghanistan, redatto dal Pentagono e dalla CIA. Quello che successe il giorno dopo il 10 Settembre 2001 lo sanno tutti.
Ebbene, la situazione sul campo oggi è che l'oleodotto non si è potuto realizzare, proprio perché la coalizione militare guidata dagli Usa non è riuscita a prendere il controllo completo del territorio, e la resistenza dei talebani, specie nelle aree tribali di confine con il Pakistan, si è rivelata praticamente indomabile. La contemporanea grave crisi economica, con i suoi riflessi su un bilancio federale già dissestato dai tempi della reaganomics, ha quindi costretto Obama a cambiare strategia, ed a riprendere i negoziati con i talebani, annunciando al contempo la graduale riduzione del contingente militare Usa, che si completerà entro il 2014. Gli Usa cercheranno quindi di perseguire i propri interessi economici ed energetici in Afghanistan per vie negoziali.
Di fronte ad un simile scenario, e peraltro con un Governo-fantoccio, come quello di Karzai, ripetutamente accusato di brogli elettorali e corruzione, se il Governo italiano avesse avuto a cuore gli interessi del Paese, avrebbe deciso di anticipare il ritiro delle proprie truppe, e di cessare la missione militare entro fine 2011. Ciò avrebbe permesso di risparmiare 780 Meuro del pubblico erario, magari alleggerendo un pochino la pressione su un Paese che si sta impoverendo. Oppure, al limite, avrebbe deciso di utilizzare le risorse per finanziare progetti di tipo civile, di ricostruzione ed assistenza. Ma ovviamente no! Si rimane fino alla fine, e con un intervento prevalentemente militare, e molto meno concentrato sugli aspetti civili. Infatti, dei 780 Meuro, solo 35 sono dedicati alle attività civili di tipo assistenziale. Tutto il resto serve ad attività militari. Ed ci si inventano nuove missioni in altre parti del mondo, dove peraltro non c'è nemmeno una guerra (perché la verità è che in Sudan del Sud ed in Georgia non ci sono al momento guerre in atto, ma solo potenziali stati di tensione).
Il decreto appena approvato prevede anche la possibilità di bombardare aree del territorio afghano senza necessità di preventivo assenso parlamentare! Evidentemente, la presenza di un militare di professione sulla poltrona di Ministro della Difesa, che, come in ogni Paese democratico, è stata sinora sempre appannaggio di un civile, conduce a simili derive. Con la conseguenza che la grave decisione di bombardare un Paese straniero sarà presa dai vertici militari, senza più alcuna possibilità di controllo da parte dell'opinione pubblica. Semplicemente non ne sapremo niente, o non avremo strumenti istituzionali per intervenire. Stiamo parlando peraltro di ampliare la discrezionalità di bombardare un Paese dal quale ci si sta ritirando!
Naturalmente la foglia di fico per giustificare una linea politica ingiustificabile è “la difesa della democrazia e della libertà”. Benissimo, professor Monti. Se si fosse veramente interessati alla democrazia ed alla libertà, Le propongo un emendamento al decreto sul rifinanziamento delle missioni: anziché andare in Sudan del Sud ed in Georgia, dove ci sono situazioni di relativa tranquillità, Le propongo di intervenire in Uganda del nord, dove una sanguinosa guerra civile, fomentata peraltro da una organizzazione guerrigliera di cristiani integralisti (l'Esercito del Signore, perché non ci sono soltanto le persecuzioni contro i cristiani in Nigeria, di cui si occupano esclusivamente i media) da anni massacra civili e provoca enormi sacche di profughi. Le propongo di intervenire in Gibuti, dove c'è una guerra fra Esercito governativo e ribelli del FRUD, Le propongo di intervenire in Ciad, dove, dopo la destabilizzazione del Paese provocata in larga misura da Gheddafi negli anni Ottanta, continua una sanguinosa guerra civile fra Governo e URF, oppure nella Repubblica Centroafricana, che è un vero e proprio campo di battaglia fra 3-4 fazioni armate diverse. O ancora, se Lei volesse “esportare un po' di democrazia”, Le suggerirei di volgere lo sguardo alla Guinea Equatoriale, dove un brutale despota, da più di 30 anni, mantiene un Paese potenzialmente ricchissimo nella miseria più assoluta, reggendosi su un regime clanico e nepotista, cleptocrate e corrotto, repressivo al punto tale da negare addirittura la possibilità di far uscire giornali quotidiani. Dove le minoranze etniche sono taglieggiate e fedeli clienti di una delle peggiori carceri del mondo. Cos'è, questi Paesi non rientrano nei sacri canoni della libertà e della demcorazia? I libici meritano la somministrazione forzosa di dosi di democrazia sulla punta delle bombe all'uranio impoverito ed il dittatore della Guinea Equatoriale deve essere lasciato in pace, permettendogli anche di organizzare un evento-vetrina come la coppa d'Africa di calcio, per fare propaganda al suo brutale regime di ladri? E' questo il concetto di libertà dei liberali cui Lei si pregia di appartenere, professor Monti?
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