di Carlo Felici
Diciamo subito una
cosa con estrema chiarezza, da testimoni possiamo ribadire con forza
che venerdì 9 Marzo 2012 in piazza con la FIOM non si è consumato il
funerale della sinistra e dell'opposizione al governo Monti, ma invece
abbiamo visto e toccato con mano la sua parusia: la sua presenza e la
sua resurrezione.
La manifestazione nasceva in
condizioni molto difficili, dopo un lungo periodo di stop seguito ai
disordini del 15 ottobre scorso, in un clima di tensione sociale
crescente, era svolta in un giorno infrasettimanale, con il rischio di
non coinvolgere la popolazione non inclusa nelle categorie in sciopero,
tra tensioni e scollamenti nel mondo sindacale e persino dentro la CGIL,
in cui la FIOM appare come una componente assai agguerrita sì, ma
tuttora minoritaria.
Essa tuttavia, da sola, è
riuscita quasi a compiere un miracolo di cui forse le persone che stanno
solo attente ai numeri e alle bandiere non si sono rese pienamente
conto.
In un Paese in cui da mesi non esiste più una
vera e coesa opposizione democratica e politica, oltre che parlamentare,
in un contesto civile e sociale seminarcotizzato in cui la prima
preoccupazione dei media tutti i giorni è sottolineare il consenso alle
misure emergenziali prese da questo governo, con sondaggi che non hanno
nulla di consistente né di reale, e con il solo scopo di gettare bidoni
d'acqua quotidiana sul rischio che la tensione sociale cresca, a causa
di misure impopolari ed inique come quelle sulle pensioni, prese solo
per tacitare temporaneamente i mercati, in una situazione mai registrata
nella storia della nostra Repubblica, di forte riduzione dei diritti
democratici nel settore del lavoro e della rappresentanza politica
(ricordiamo sempre la lex electoralis ad porcum), ebbene, in questo
panorama desolante, le bandiere della FIOM appaiono come le lunghe lance
degli spartani al passo delle Termopili.
Una vera
opposizione ferma, chiara, compatta, civile, determinata che lancia la
sua sfida ad un esercito soverchiante di partiti consociativi, ad un
mondo imprenditoriale che sta riscoprendo metodologie punitive da
sgherri, impedendo persino che i giornali possano circolare liberamente
nelle fabbriche, ricattando operai e delegati sindacali, ad un governo
che minaccia tutti i giorni di andare avanti con lo schiacciasassi dei
“numeri” della fiducia parlamentare, e anche ai mercati che
orwellianamente ci sorvegliano e puniscono a seconda dei casi.
Ieri
finalmente nessuno si è più rifugiato nella “giaculatoria” del minor
male possibile, quella che apre le porte della civiltà ai barbari in
marcia.
Ieri ci siamo fermati e abbiamo levato un
grido forse disperato ma sicuramente impavido e sereno: “Noi siamo qui,
non arretreremo!”
In questo Paese c'è ancora una vera
opposizione alla barbarie di un neoliberismo senza più regole né remore
che ricatta quotidianamente interi popoli azzerando i diritti
democratici e le rappresentanze sindacali, nel nome tirannico del
fondamentalismo del profitto.
Qualcuno si è forse sorpreso perché il Partito Democratico invece non c'era?
Noi
piuttosto ci siamo sorpresi che alcuni suoi rappresentanti finalmente
la smettessero con l'ambiguità di poter rappresentare la velleità di
essere al contempo impegnati nella lotta e nel governo, e che per questo
abbiano deciso di dissentire e di stare con la vera opposizione che
esiste ancora, anche se per adesso minoritaria.
Se
crescerà nei consensi elettorali lo vedremo presto, e non sarà nemmeno
facile, perché la tentazione di un popolo umiliato nella distruzione dei
diritti acquisiti e con una legge elettorale che nemmeno una porcilaia
accetterebbe volentieri, dovrà fare notevolmente forza su se stesso per
recarsi ancora alle urne.
Ieri, gli ultimi
combattenti per la democrazia rimasti in Italia hanno però dimostrato
che è possibile, che una opposizione, anche al PD, si può e si deve
costruire: la sinistra socialista con il suo striscione “Socialismo o
barbarie”, SEL, la FED,il PCdL, l'IDV, erano presenti. Basterebbe solamente
cercare tra queste forze politiche un minimo comune denominatore, non
solo nel restare fermi ad opporsi ad una dilagante ed oppressiva
inciviltà fondata sul ricatto, ma anche nel proporre un serio programma
alternativo di governo, e sicuramente una voce autorevole tornerebbe a
farsi sentire anche nelle stanze ormai blindate delle istituzioni
italiane.
La creazione di un accordo politico tra le
forze ieri in campo è dunque urgente e necessaria, è un vero e proprio
imperativo categorico di civiltà, anche per portare il PD a decidere
finalmente cosa vuole fare del suo futuro, se sprofondare nella palude
centrista, oppure guidare un serio processo di cambiamento politico,
civile ed istituzionale di questo Paese.
Ieri la foto di Vasto non appariva solo sbiadita ma piuttosto incenerita, chi guida oggi il PD se ne è reso conto.
Ieri
è apparsa netta la distanza tra chi in quel partito rincorre sogni, ma
sarebbe meglio dire per tutti noi gli incubi, di una riedizione del
governo Monti, avvalorata anche da un passaggio elettorale, e chi vuole
invece una seria alternativa politica a ciò che è oggi in atto,
soprattutto per restituire dignità ad un'Italia tuttora offesa e
prostrata da una corruzione imperante che, da sola e in modo perdurante
ed invasivo, non solo fa impallidire gli anni di tangentopoli, e
crediamo persino i perduranti accusatori di un Craxi troppo facilmente
assunto a capostipite di tutti i nostri mali, ma che è stata anche amplificata a dismisura
dagli anni del berlusconismo. Per far risorgere una società prostrata
da una attività criminale ed affaristica che è già vera e propria
metastasi della democrazia.
Landini lo ha detto chiaro e tondo: “c'est ne qu'un debut” Questo
non è che l'inizio di una nuova fase, quella di una vera opposizione,
non più “addomesticata” o “telecomandata” a seconda che vi siano o meno
governi amici o nemici da contrastare, la vera opposizione civile alla
barbarie imperante, quella che non lotta per mezzo di un'altra barbarie
speculare e scomposta e facilmente strumentalizzabile con gli sfasci delle
vetrine, i pestaggi e i lanci di pietre, bombe carta o molotov, e
che però non è meno disposta ad avanzare fino ad assediare i palazzi del
potere, fino allo sciopero generale.
Le parole di
colui che appare, si comporta e parla oggi, anche per il perdurante
vuoto della politica democratica, come un vero leader non solo sindacale
ma anche politico, e forse proprio quello più indicato per compattare
una opposizione trasversale che includa le forze politiche ieri in
piazza, sono nette e senza equivoci:
"Se già a partire
dal tavolo della prossima settimana non ci saranno risposte
sull'estensione dei diritti continueremo la battaglia e la
mobilitazione. Offriamo questa piazza a tutta la Cgil perché si possa
continuare. Ma con chiarezza diciamo anche che i metalmeccanici sono
disposti a tornarci e a starci, fino allo sciopero generale, e ad andare
anche sotto i palazzi del Governo perché qui in piazza c'è il paese
reale".
Sì, ieri c'era effettivamente il paese reale,
non la minoranza del più grande sindacato nazionale dei lavoratori e
tanto meno, come alcuni reazionari odierni vorrebbero farci credere, una
“forza conservatrice”, o meno che mai i sopravvissuti di un'epoca
destinata a scomparire.
Ieri c'erano gli ultimi veri
combattenti rimasti in Italia, gli ultimi partigiani, i cittadini scesi
in campo per la giustizia, per la libertà e per la civiltà del lavoro,
gli spartani che ancora combattono e resistono e non sono disposti ad
arretrare di un millimetro, per cedere il suolo della civiltà alla
barbarie.
Ieri c'ero anch'io, c'eravamo anche noi..e se non vi piace beh..
Venite a prenderci!
C.F.
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