di Lorenzo Mortara
Oggi a
Bologna ci saranno i funerali di Gesù
Bambino. Purtroppo questa volta, più o meno
come l’altra, non risorgerà. È l’unica nota davvero stonata tra
le tante che ci ha lasciato.
Ho
sentito per la prima volta Lucio Dalla tanti anni fa, quando mi
prestò i suoi dischi la mia balia. Solo coi suoi ultimi pezzi ho
però scoperto che il motivo profondo che mi lega a lui è che è
siciliano proprio come
me. In ogni caso, fino a quel momento, i cantautori erano per me un
unico disco del Principe
che mi aveva fatto conoscere il mio migliore amico e che avevo
sentito fino allo strazio per almeno un paio di anni senza capirci
granché, se non che d’istinto mi piaceva molto, forse per la
sobrietà dei testi, così lontani dalle note dolciastre nelle quali
si erano imbattute fino a quel momento le mie orecchie, non per amore
ma per sordità ad ogni sforzo di ascolto alternativo a quel che
passava il convento, poca roba per altro, non entrandoci io quasi
mai.
È
dunque ribellandomi con sforzi indicibili alla mia pigrizia che misi
sul giradischi gli Lp ormai famosissimi che Dalla aveva intitolato
col suo nome. E mentre palleggiavo nelle mani la copertina con gli
occhiali sulla berretta coi due occhi beffardi appena sotto che li
spiavano, o più probabilmente che guardavano dentro di sé, cominciai a
capire che il mondo della canzone era molto più vasto e complesso di
quello racchiuso in Miramare.
Da lì in poi, fui rapido a saccheggiare un po’ tutto il pantheon
dei cantautori italiani, da Conte a De Andrè, passando per Gaber,
Guccini e tanti altri.
In
pochi mesi persi la verginità, quando, devo dire con rammarico, un
altro emiliano insegnò alla mia ingenuità che a
canzoni non si fan rivoluzioni. Ci volle
ancora un secolo, però, prima che capissi che non si fanno nemmeno a
cinema, a pittura, a scultura, a teatro, a poesia, a romanzo e ad
arti varie in genere. Le rivoluzioni si fanno
solo a marxismo o non si fanno punto. A
canzoni, però, si possono rivoluzionare le canzoni, ed è già
molto. Ed è questo che ha fatto Lucio Dalla e per questo sarà
ricordato a lungo.
Non
è vero che il Dalla migliore è quello dei tre dischi con Roversi,
come ha lasciato intendere il Pedifesto,
che l’ha ricordato in maniera ingenerosa, praticamente senza
neanche accennare al Dalla successivo. Pur con sprazzi evidenti di
genio e anche alcuni affreschi davvero riusciti, i tre dischi con
Roversi restano fatti di canzoni sperimentali, ibride, a metà strada
tra canzone e poesia. È una fortuna che Dalla abbia interrotto la
collaborazione per intraprendere un percorso suo, autonomo. Se avesse
continuato non sarebbe stato né grande poeta né grande cantante.
Sono infatti i cantanti mediocri che vogliono essere dei poeti e
viceversa. Il complesso di inferiorità dei cantanti verso la poesia
indica l’effettiva importanza secondaria della canzone, che resta,
a dispetto di chi dice il contrario, un’arte minore. Infatti, a
nessun poeta viene mai chiesto se si senta un cantante. Non c’è
invece cantautore che non si domandi se le sue canzoni possano essere
lette anche come poesie. I più disgraziati rispondono pure di sì
dimostrando senz’altro d’essere dei cantanti minori. Un grande
artista non sente il bisogno di essere promosso nella serie A degli
artisti, sta nel girone dove l’ha messo il suo estro e scolpisce
l’arte che gli è propria, fosse pure l’ultima delle arti. Dal
1977 in poi Dalla ha scolpito alla perfezione canzoni che solo il suo
scalpello poteva tirare fuori. Sono Quale
allegria, Anna e
Marco, Futura,
Caruso, Henna e tante
altre ancora le canzoni davvero memorabili, perché perfette, di
Lucio Dalla. Quelle scritte con Norisso-Roversi, potranno essere
ricordate perché piene di genio e di grande profondità, ma, almeno
per chi ci capisce qualcosa d’arte, resteranno a futura memoria
della loro imperfezione, della loro essenza di canzoni incompiute.
Lucio Dalla, ebbe a dire una volta De
André, era il solo che era riuscito a cucire insieme
adeguatamente musica e testi. In effetti, gli altri
cantautori storici erano e sono più parolieri che musicisti. Sia in
De André che in De Gregori o Guccini, sono inoltre forti le
influenze subite da Dylan, Brassens e Cohen. In Conte la traccia del
jazz permea quasi ogni sua canzone. Dalla, da uomo curioso qual era,
ha indubbiamente saputo assorbire un po’ di tutta la musica che gli
girava attorno. E tuttavia è molto difficile trovare un riferimento
per Dalla, perché in effetti un riferimento per Dalla non c’è. Il
timbro di Dalla è unico. Non ce n’è un altro simile. Per questo,
di tutti i cantautori, è stato l’unico veramente artista. E poco
importa che, a differenza di De André che migliorava col tempo, lui
come la maggior parte dei cantautori avesse sempre meno da dire. Il
segno ormai l’aveva lasciato. E qualche colpo assestato ancora qua
e là negli ultimi anni, bastava a giustificare il suo tramonto.
A
qualcuno
sembra che Dalla non valga niente perché non si è occupato di ciò
che gli era più prossimo, cioè l’omosessualità, tenuta nascosta,
non dichiarata, senza mai prendere posizione nemmeno sulla sorte dei
suoi simili e dei loro diritti negati. Naturalmente codesti criticoni
non sanno cosa dicono perché si illudono che uno possa occuparsi
d’altro che di sé stesso. In realtà, tutti noi, dalla mattina alla
sera, non facciamo altro che occuparci di noi stessi. Se Dalla ha
trasformato la sua omosessualità in classiche canzoni d’amore,
vuol dire che il suo più intimo sé corrispondeva al suo
sdoppiamento. Se per viltà, calcolo o perché non ha trovato sul suo
cammino qualcuno o qualcosa in grado di tirargli fuori altro, ha poca
importanza. Cara è
più prossima a Dalla di quanto sarebbe stato Caro.
Non potrebbe essere altrimenti. Quando un omosessuale dichiarato
pretende che uno non dichiarato ci parli del suo più intimo sé,
credendo che ne esista un altro al di sotto di ciò che uno mostra o
non mostra, significa solo che il sé dell’omosessuale dichiarato
non è contento se non riesce a infilarsi anche nel sé
dell’omosessuale non dichiarato a dettare a un altro le sue norme
di comportamento civile.
Dalla
non si è occupato dei gay, ma è meno ridicolo di chi si è battuto
e si batte a sinistra per i loro diritti appoggiando in pieno il
cattolico Monti e la sua finta Ici alla Chiesa che ne costituiscono
il consueto rovescio a destra. Il popolo sarà anche bue innalzando alle stelle Lucio Dalla, ma sarà sempre meno asino di tutte le pecore nere che innalzano tutti i pastori del Capitale. Una canzone di Lucio Dalla è innocua, da questo punto di vista, la musica di Monti no!
Come
tutti gli intellettuali e gli artisti che hanno ruotato attorno al vecchio PCI, e quindi allo stalinismo, con la caduta del Muro, Dalla si
spostò a destra fino a votare come sindaco di Bologna Guazzaloca del
PDL. L’amicizia con Craxi - tutto sommato fatti suoi - c’entra poco
e niente con questa scelta. Pesa molto di più l’incapacità
congenita dell’intellighenzia di sinistra di andare più in là del temibile meno peggio. In mancanza del marxismo, lo stalinismo a sinistra è
per sempre anche se ci si sposta al centro o addirittura a destra. Almeno come forma-mentis.
Girare sempre a vuoto è il destino politico di tutta questa sinistra
che ha sempre cantato, scritto e pensato al di sotto del marxismo,
per sordità congenita all’analisi di classe. Tuttavia,
votando Guazzaloca, Dalla, con l’intuito dell’artista, dimostrò
agli innamorati a sinistra delle etichette anziché dei contenuti,
che era ormai completamente incosciente chi si faceva un problema di
coscienza per la scelta tra le due fazioni di un unico partito
borghese.
Dalla
non ha voluto essere un trasgressivo anticonformista, e nemmeno eroe
o maître à penser.
Non s’è cacciato in mille polemiche e battaglie che, evidentemente, non sentiva sue. Sono i suoi critici a volerlo
immaginare così perché non sanno prenderlo semplicemente per quello
che è stato: un goliardico artista della canzone. Dei diritti dei gay se ne occupi
chi ne è capace. Dalla ha voluto solo essere un grande cantante e
c’è riuscito sfornando canzoni irripetibili. Chi è capace se le
goda, chi non lo è si trastulli pure col loro retro. In fondo va
bene lo stesso, non bisogna pretendere altro da chi non è in grado
di farlo. Dei diritti dei gay del resto, come di tutti gli altri
diritti, dobbiamo occuparcene noi operai, perché tutti gli altri,
gay dichiarati scrittori o scrittori dichiarati gay possono solo
parlarne o scriverne, perché conquistarli è un’altra faccenda che
tocca come sempre a noi. Domani però. Per oggi ammainiamo un momento la
bandiera, perché oggi, anche il nostro cuore rosso, ha la
barba tutta nera...
Lorenzo Mortara
Delegato Fiom
Stazione dei Celti
4-3-2012
1 commento:
Da una intervista di 15 anni fa. E cosa dice Lucio Dalla, che ha sempre votato a sinistra, dei miti sempreverdi della sinistra? Che Guevara, per esempio, restera'? «Conosco bene il Sudamerica e posso garantire che non ci sono tracce della funzione rivoluzionaria del Che Guevara. E' solo una questione iconografica.»
Beh, almeno su questo, caro Lucio, ti sei sbagliato di grosso..il CHE in Sudamerica e anche altrove è ancora vivo e vegeto e molto di più che come icona del passato.
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