La rabbia è tanta in questo momento, ma mai come ora è necessario ragionare con freddezza, e senza nemmeno stare tanto a ricamare sopra le ragioni di una sconfitta epocale.
Il
 mondo del lavoro è tuttora globalmente diviso da quello padronale, 
perdere di vista questa elementare nozione di coscienza di classe, vuol 
dire votarsi al suicidio (e senza una qualche forma di condivisione 
della proprietà dei mezzi di produzione, tale divisione non solo 
permarrà ma si accentuerà, come già oggi sta accadendo ovunque nel mondo
 della globalizzazione a senso unico neoliberista) .
Gli
 interessi delle classi dirigenti del mondo padronale sono oggi vincenti
 per un semplice motivo che consiste nel fatto che, mentre esse sono 
organizzate e coordinate in maniera globale, il mondo del lavoro permane
 tuttora diviso e polverizzato in miriadi di movimenti che, su scala 
globale, risultano ancora del tutto inefficaci, non hanno cioè una 
organizzazione validamente combattiva e strutturata in ambito 
transnazionale. Non hanno ancora una V Internazionale.
Questo
 ovviamente facilita il compito a chi vuole applicare l'antica norma del
 “divide et impera” e tale scopo è reso ancor più semplice dalla 
metamorfosi di quel mondo sindacale che dovrebbe invece tutelare i 
diritti dei lavoratori ormai, non solo su scala nazionale, ma ancor di 
più a livello globale, e che oggi, a poco a poco, si sta integrando 
nella scala gerarchica di un nuovo medioevo feudale. Quello con il quale
 delle rigide gerarchie di comando e di controllo che non hanno nulla da
 invidiare al mondo in cui il potere era stratificato da norme ritenute 
eterne e fondate su un ordinamento creduto divino, attualmente, mutatis 
mutandis, gestiscono esseri umani, risorse economiche, patrimoni 
finanziari e i beni naturali, persino quelli indispensabili alla vita 
come l'acqua, per puri fini di profitto.
E' anche 
quello odierno un rigido e gerarchico ordinamento ritenuto divino, 
basato cioè sul credo nell'accumulazione di capitale: l'ultimo 
dio-mammona sopravvissuto su questo pianeta, dopo l'esodo e l' eclissi 
dei precedenti.
I sindacati italiani fanno ormai 
parte di questa ferrea gerarchia neofeudale, integrati come sono nelle 
strutture di mantenimento ed incremento dei poteri vigenti.
La loro assimilazione è stata progressiva ma inesorabile ed è avanzata con velocità esponenziale negli ultimi 15-20 anni.
Fino
 a qualche tempo fa a resistere in Italia era la CGIL, ma negli ultimi 
tempi anche dentro il più grande sindacato italiano si sono fatti sempre
 più evidenti segnali di cedimento e di corruzione interna: piccoli 
poteri, cordate, lotte intestine, artifici che non poco hanno indebolito
 la tenuta e la credibilità di un sindacato che a lungo a saputo 
resistere allo sbiadimento cromatico verso il giallo.
Possiamo dire che il suo “rosso” brilli ancora?
Non tanto..sicuramente non più di una volta e palesemente con improvvise intermittenze.
La
 battaglia sull'art. 18 la CGIL l'ha persa, e questa sconfitta però ha 
una forte valenza simbolica più che pratica, dato che il numero di 
lavoratori che utilizza tale norma si è affievolito progressivamente 
negli ultimi tempi. Un principio che però  in futuro corre il rischio, 
con l'innalzamento dell'età  pensionistica, di diventare nuovamente 
attualissimo, dato il pericolo sempre maggiore di rottamazione-oggettiva
 per lavoratori ultracinquantenni.
La foto della 
Camusso con la Marcegaglia e i due scherani del sindacalismo che ormai 
canta “bandiera gialla” in tutte le occasioni in cui si tratta di 
“cinesizzare” i lavoratori italiani, era già un triste preludio al 
contingente, ma la resa e l'isolamento di una FIOM già di per sé 
infiacchita da un gruppo dirigente alquanto strabico e indaffarato a 
fare da bordone ad una SEL infervorata nel volersi accreditare a tutti 
costi come alleato privilegiato del PD, e per altro scalciando in malo 
modo verso quella sinistra di ex compagni sprezzantemente definiti 
“troppo radicali”, ebbene questi infiacchimenti hanno resto estremamente
 fragile se non del tutto inconsistente l'argine che si poteva innalzare
 verso la spocchia professorale con cui si è ritenuto di volere esigere 
una chiusura immediata di tale vertenza.
Il mancato 
sciopero generale in occasione di quello della FIOM e una mancata 
manifestazione oceanica di resistenza preventiva, hanno immediatamente 
fatto scattare le misure che sono state prese, propiziando l'isolamento 
della CGIL nel suo complesso e la fretta con cui il gotha governativo ha
 sancito il suo diktat: “il caso è chiuso”.
Non pochi
 sono i sospetti che dentro la CGIL ci sia ormai un tarlo 
“collateralista”, o forse sarebbe meglio definirla “termite”, il cui 
scopo è lo spianamento di questo sindacato e l'ingiallimento della sua 
bandiera. Anche in passato è accaduto, in nome di governi definiti 
“amici” e forsetempo fa ci sono effettivamente stati governi “amici” 
della CGIL.
Ma oggi no, la CGIL non ha più governi 
“amici”, che se ne renda conto oppure no, non ha più sponde politiche di
 alcun genere ed il mondo politico dominante, anche senza legittimazione
 elettorale e democratica, ha il preciso scopo di smantellarla 
vanificandone del tutto il ruolo e dimostrando ai lavoratori che è 
meglio contare sulla compassione (più efficacemente sul prostituirsi) 
sempre più scarsa del “padrone” piuttosto che sulla lotta per mantenere,
 incrementare e condividere i diritti fondamentali, primi tra tutti 
quello al lavoro e alla formazione.
Quando un 
sindacato non è più il principale antagonista di uno Stato corrotto, 
inefficace, ingiusto e antidemocratico, quando tende ad identificarsi 
con esso per il mantenimento delle posizioni di privilegio e di potere, 
allora torna alla mente quella frase significativa del CHE che va 
tuttora letta in un'ottica concretamente rivoluzionaria: “Di 
una cosa sono sicuro, ed è che il sindacato è un freno che va distrutto,
 ma non con il sistema di esaurirlo:bisogna distruggerlo come si 
dovrebbe distruggere lo Stato in un momento.”
Credo che
 questa “fatica”, perdurando tale stato di cose, ci sarà risparmiata, 
tanta è la capacità che oggi il sindacato mostra con tutta evidenza di 
saper distruggere se stesso.
Difficile però capire 
cosa possa subentrare al suo posto, dato che l'arcipelago di movimenti 
che oggi, pur rappresentando validamente la società civile come se non 
meglio del sindacato e pur ottenendo significativi risultati a cui esso 
stesso non poche volte rinuncia in partenza, come le battaglie 
referendarie, la lotta per la difesa del territorio, o il dialogo e non 
il ricatto sulle grandi opere, il contrasto sul terreno all'invadenza 
del crimine organizzato, la tutela dei consumatori, un consumo più equo e
 solidale, la vicinanza ai ceti più deboli e marginalizzati anche con 
forme varie di volontariato ecc., ebbene, tale universo in movimento, 
stenta molto a trovare una efficace capacità di coordinarsi a livello 
nazionale e transnazionale, pur mantenendo una straordinaria vitalità.
Esso
 è però ormai palesemente più del sindacato una forma organizzativa e di
 lotta assai efficace per mobilitare e contrastare certe politiche 
rovinosamente liberticide e tese allo sfruttamento brutale.
Per
 un vero salto di qualità occorre però che vi sia un orizzonte politico 
che ne sia lo specchio trasparente. Una forza plurale ma fortemente 
unitaria negli intenti e nel raccordo con la società civile, alla 
sinistra di un PD ormai allo sbando e di fatto completamente spaccato.
Un
 PD che ha rinunciato a vincere delle elezioni che aveva praticamente in
 tasca, proprio per scongiurare il rischio di una scissione e che, 
invece, oggi è già profondamente diviso per il sostegno dato ad un 
governo tecnocratico che mai, come era accaduto prima nella storia della
 nostra Repubblica, ha ridotto drasticamente i diritti ed innalzato 
vertiginosamente gli oneri solo per le solite categorie di cittadini, 
con il piglio e l'arroganza di un regime, forse anche peggiore di quello
 fascista. Perché il regime fascista un progetto di Stato sociale, anche
 se dittatoriale, sessita e poi razzista, lo aveva, mentre lo scopo del regime attuale è solo 
quello di demolire ogni traccia di Stato sociale, e pur restando 
sostanzialmente indifferente ad ogni forma di opposizione e di dissenso.
Il
 progetto di questo regime è quello di far sprofondare un intero Paese 
in una palude recessiva, per svendere il suo patrimonio vitale di beni e
 di ingegni al migliore offerente.
Lo scopo di questo regime è la morte della Patria.
Lo
 sciopero che oggi viene proclamato dalla CGIL è dunque il suo “canto 
del cigno", o almeno lo è quello di un segretario come la Camusso, una 
sorta di “Al lupo! Al lupo!” quando tutte le pecore sono state già 
massacrate.
Difficile assai che riesca, molto più 
facile che apra invece una ulteriore crepa nella credibilità della CGIL 
fino a farla diventare una voragine. La voragine della maggior 
retrocessione nei diritti pensionistici e del mondo del lavoro in tutta 
la nostra storia repubblicana.
A noi non resta che 
lottare e resistere, ripartendo dalle iniziative che ci fanno stare in 
mezzo alla gente più che nei convegni associativi o in quelli di 
partito, nei mercati, nelle piazze, nelle scuole, nelle fabbriche, nei 
luoghi più sperduti della sofferenza umana, e della lotta senza 
quartiere e senza resa, non solo nel nostro ma anche in altri paesi già 
falcidiati dalle rovinose politiche neoliberiste, per essere onda 
crescente di un movimento che un giorno contiamo possa diventare vero 
tsunami.
C.F
 

 
 

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