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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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martedì 26 febbraio 2013

Il voto e la sinistra, di Riccardo Achilli



I risultati del voto odierno aprono più di un interrogativo inquietante, in ordine alla governabilità in una fase di profonda crisi economica e sociale, ai rapporti con la Ue, alla stessa tenuta del quadro politico/istituzionale italiano. Ma non è questo il momento di approfondire queste tematiche, che nelle prossime settimane e mesi verranno al pettine, e per le quali al momento non ci sono sufficienti elementi di giudizio.
Quello che importa, oggi, è di trarre alcune lezioni del voto per la sinistra italiana, o per meglio dire, per ciò che ne rimane, dopo l’ennesimo tsunami elettorale. Mi concentrerò su due possibili lezioni, che a mio avviso si possono ricavare dal voto politico:
aa)      Come fare sinistra in una epoca di coscienza di classe in eclissi;
bb)      E’ possibile, nelle condizioni di oggi, progettare una sinistra unitaria antiliberista?


Con riferimento al primo aspetto, è opinione di tutti che, in una fase di recessione in cui le tendenze spontanee di proletarizzazione di ampie fasce della piccola borghesia si acuiscono, la via d’uscita non può che essere quella di costruire un fronte popolare comune fra proletariato, nei suoi vari strati, e piccola borghesia stessa, basato quantomeno su obiettivi tattici di resistenza all’avanzata liberista e di risposta alla stessa. Non lo dico io. Lo dice Trotsky: nel suo programma transitorio, egli dice che “Le sezioni della IV Internazionale devono elaborare nella forma più concreta possibile programmi di rivendicazioni transitorie per i contadini e per la piccola borghesia cittadina, a seconda delle condizioni di ciascun paese. Gli operai avanzati devono imparare a dare risposte chiare e concrete agli interrogativi dei loro futuri alleati”.
Tuttavia, a realizzare tale fronte popolare è stato il Movimento 5 Stelle, cioè un movimento politico dichiaratamente non di classe, non scevro da elementi preoccupanti, quanto a tendenze autoritarie della sua leadership, a strane alleanze con il capitale che emergono dalle relazioni del suo reale padrone (Casaleggio), ad una certa retorica razzista, a comportamenti assolutamente filo-borghesi nelle amministrazioni in cui è già presente da tempo (Parma, Sicilia). Eppure, a votare il M5S sono stati disoccupati, operai, impiegati, artigiani, piccoli commercianti, liberi professionisti, imprenditori agricoli, studenti.
Qual è il motivo? Credo che ve ne siano molteplici, non ultimo dei quali il discredito in cui una buona parte della classe dirigente della sinistra italiana, sia politica che sindacale, è caduta, e più in generale il discredito in cui sono cadute la forma-partito e la forma-sindacato, le due forme attraverso cui tradizionalmente la sinistra italiana si esprime. Ma penso anche che il motivo fondamentale sia da legare all’abitudine quasi “meccanica” della sinistra italiana a ragionare in termini marxianamente strutturali, cioè a privilegiare una proposta programmatica basata sugli aspetti economici e lavorativo/sindacali. Lo si vede, ad esempio, dall’enfasi che il programma di Ingroia pone sulla reintroduzione dell’articolo 18, sulle politiche economiche di rilancio della crescita e di rientro dal debito, sulla rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, sulle PMI, ecc. Ovviamente, poi, i partiti marxisti rivoluzionari che si sono presentati hanno un programma di tipo squisitamente marxista, e quindi concentrato sulla struttura dei rapporti sociali di produzione.
Per motivi che non è possibile in questa sede approfondire, e che tratterò diffusamente in un mio prossimo articolo (probabilmente la settimana prossima) le condizioni di avanzamento dei modelli di organizzazione della produzione capitalistici, i connessi effetti di sbriciolamento dell’unitarietà del proletariato industriale, di precarizzazione del rapporto lavorativo, di fidelizzazione del rapporto fra lavoratore e datore di lavoro, di terziarizzazione dell’economia e del proletariato, e di deriva conservatrice e difensivistica degli apparati sindacali, il lavoratore italiano percepisce, oggi, l’impossibilità di ribaltare in modo radicale rapporti e modi di produzione che sembrano apparentemente invincibili, e che appaiono (a giusto titolo) imposti da centri di potere irraggiungibili ed invisibili, collocati fuori dai confini nazionali, in un capitalismo finanziarizzato ed apolide che sembra quasi una astrazione, rispetto alla concretezza del vecchio padrone delle ferriere del capitalismo industrialistico, con il quale il rapporto di antagonismo era immediato, palpabile, fisico.
La sinistra odierna, se vuole fare “presa”, in questa fase di eclissi della coscienza di classe, deve quindi, molto probabilmente, imitare Grillo, e cioè concentrare le sue parole d’ordine nella sfera sovrastrutturale. Ad iniziare da quella distributiva. Sappiamo, da marxisti, fin dai tempi della Critica al Programma di Gotha, che la sfera distributiva viene dopo la conformazione degli assetti dei rapporti social di produzione e del modo di produzione stesso. Le forme di distribuzione della ricchezza non sono una variabile indipendente, ed anzi dipendono strettamente dal modo di produzione. Eppure Grillo si comporta esattamente come se la distribuzione fosse indipendente dai modi di produzione. Si veda la questione legata al reddito minimo garantito, contenuto nel programma di Grillo. A noi marxisti fa sorridere: sappiamo che, senza una radicale modifica dei rapporti sociali di produzione, un reddito minimo garantito non è altro che una contropartita per un innalzamento dello sfruttamento del lavoro, in termini di maggiore precarietà e produttività. Sappiamo anche che la stessa possibilità di istituire il RMG dipende dalla fase che il capitalismo nazionale attraversa: oggi, la debolissima competitività del capitalismo italiano nel contesto dei mercati finanziari e dei beni, che si esprime attraverso una modesta crescita e un debito pubblico stratosferico,  rende semplicemente impossibile reperire le risorse per il RMG, senza eliminare tutti gli altri ammortizzatori sociali esistenti (e Grillo si guarda bene dal dire che si finanzierà il RMG con la soppressione di cassa integrazione, mobilità, mentre imbroglia i suoi dicendo che le risorse potrebbero venire da un miliarduccio qua e là sottratto alla voracità della demoplutocratica Casta politico/giornalistica).
Tuttavia, la promessa di un RMG, quindi di una politica redistributiva sganciata dal modo di produzione sottostante, fa breccia, attrae consensi, ed alla fine è questo che conta. Così come attrae consenso una retorica politica grillesca tutta quanta concentrata su un arido moralismo nei confronti della Casta ladrona, su un ingenuo richiamo all’onestà dei comportamenti, che è tutto quanto sovrastrutturale, e che non tiene quindi conto del fatto che in un sistema capitalistico finanziarizzato, la corruzione di classi dirigenti emergenti da una borghesia nazionale ridotta allo stato di compradora dai mercati finanziari apolidi, diviene il suo stesso, normale, meccanismo di riproduzione. Se non si cambia la struttura nel profondo, non si elimina la Casta onnivora che ci opprime. Però Ingroia parlava di regolamentazione dei mercati finanziari globali, ed ha preso il 2%. Grillo strilla di fuoriuscite dall’euro, come se semplicemente il cambio di una moneta potesse modificare le cose di per sé, e di “necessaria onestà delle classi dirigenti”, senza evidenziare i motivi strutturali della disonestà delle stesse, e fa i bagni di folla.
Io non dico di fare quello che fra Grillo, però evidentemente il messaggio politico di una sinistra che vuole fare breccia, in questa fase, deve essere di tipo sovrastrutturale, deve andare a lanciare temi di carattere redistributivo e eminentemente politico/istituzionale, ripromettendosi però, a differenza di Grillo, di andare ad incidere sugli aspetti strutturali sottostanti, una volta andata al potere. In una prima fase, il messaggio deve essere “pane, libertà e giustizia” e solo dopo deve essere “rivediamo gli assetti del modello di sviluppo”. Non serve a niente parlare della necessità di un cambiamento qualitativo ed ecosostenibile del modello di sviluppo. Per prendere voti serve parlare dell’inceneritore in località Tre Case Di Sotto. L’inceneritore dipende da un modello di sviluppo errato. Ma non se ne deve parlare, almeno fino a quando la coscienza di classe non risorgerà. 
E poiché la forma-partito e la forma-sindacato sono in crisi, quanto più leggera e partecipata dal basso è la organizzazione di un partito di sinistra, meglio è.
Passiamo al secondo aspetto. La domanda è la seguente: “nelle condizioni attuali della politica italiana, è possibile pensare ad un polo di sinistra unitario ed antiliberista, sul modello Syriza?” la mia risposta è che attualmente non è possibile. Non lo è per tre motivi:
a) in un contesto in cui anche l'elettorato di sinistra è educato ad un concetto di bipolarismo (si veda anche l'incapacità di qualsiasi formula centrista di aprirsi uno spazio significativo) la presenza del PD esercita un potenziale di attrazione sull'elettorato di sinistra. Lo riesce a fare grazie al permanere di una vaga suggestione di socialdemocrazia moderata, alimentata anche dai falsi dirigenti sinistri del PD (Fassina, Orfini,...) in realtà allineati alla segreteria, ma messi lì con il compito di fare da specchietto per le allodole per la fascia sinistra dell'elettorato di quel partito, nonché da alcuni intellettuali organici (Saviano, Moretti,...) che lavorano per rafforzare questa idea di partito di sinistra (la lezione gramsciana sull'egemonia culturale è stata appresa). In questo senso, la forza attrattiva della metafora del "voto utile" è micidiale per qualsiasi aggregazione politica alla sinistra di quel partito/idrovora;

b) non si può ricostruire una sinistra unitaria con le classi dirigenti rifondarole, verdi e del Pdci che hanno attraversato le devastanti esperienze della partecipazione ai governi dell'Ulivo e dell'Unione, e non hanno mai maturato una riflessione autocritica circa questa esperienza, che ha provocato effetti durevoli di sfiducia sull'elettorato più radicale. Mi spiace, ma gente come Ferrero, Diliberto, Bonelli, Rizzo, ecc. se ne deve andare via, anche se ha cambiato posizione, anche se ha adottato atteggiamenti più consoni. Questa classe dirigente se ne deve andare perché la sua semplice presenza ricorda una fase infausta, cui la propria immagine è rimasta indelebilmente legata nella mente di molti elettori;

c) non si può ricostruire una sinistra unitaria facendo un patchwork mal assortito di identità politiche molto diverse fra loro e non compatibili. Intanto non si può pensare di affascinare l'elettorato di sinistra radicale mettendo insieme un partito oramai socialdemocratico come Rc (che ha però ancora al suo interno componenti marxiste rivoluzionarie forti ed autonome, come F&M) un partito ambientalista moderato ed addirittura un partito giustizialista e borghese come quello di Di Pietro, affidando il tutto ad un magistrato la cui stella polare è il rispetto e la piena attuazione dei principi della Costituzione repubblicana, e che quindi assume una posizione da socialista democratico. Ma voglio dire di più: anche se non ci fossero Di Pietro e Ingroia, una esperienza fallimentare come la SA dimostra che l'elettorato radicale italiano non si è spogliato degli antichi richiami identitari, e non è pronto a rimetterli in gioco, come avvenuto ad esempio nel FG francese (in cui il Pcf ha addirittura rinunciato alla falce e martello sul suo simbolo elettorale). Il nostro elettorato radicale non è pronto a fare questo salto. Il richiamo identitario novecentesco è una coperta di Linus, anche quando vale lo 0,3%.

Ovviamente, le condizioni b) e c) possono essere rimosse dalla sinistra radicale attuale. La condizione a) dipende da una implosione del PD, possibile ma, perlomeno nel breve periodo, non probabile. Non resta che lavorare.

3 commenti:

Felice Besostri ha detto...

se a sinistra mon si è pronti a rimettersi in discussione la proposta non è "!viable". Mi p capitato di leggere che la colpa di tutto è della socialdemocrazia di sinistra! Il recinto italiano è troppo ristretto la politica economica si fa altrove,almeno a livello europeo. Quali sonoi i riferimenti FG in Francia, Syriza in Grecia e LINKE in Germania, AKEL ha perso a Cipro. Se è così abbiamo già perso. Se il popolo sfruttato sta in 5 Stelle allora è più sempluice logico preticare l'entrimo. In generale: Il balletto deve finire presto. In questa situazione se sei un gruppo finanziario internazionale in contatto con Casaleggio puoi giocare al ribasso in borsa e guadagnare molti più euro di quelli del rimborso elettorale se poi saprai in anticipo che 5 Stelle favorisce una soluzione guadagnerai sul rialzo. Vedremo in questi giorni cosa succede in borsa. Sul piano della corretteza istituzionale incarico esplorativo al capo politico della coalizione, che ha la maggioranza in un ramo del parlamento,poi alla seconda coalizione ed infine al capo politico del terzo gruppo parlamentare 5 stelle. Se Grillo non forma il governo e non ottiene la fiducia si sciolga il solo Senato, a questo punto la parola è veramente al popolo italiano. se nel frattempo il porcellum è andato in CorteCostituzionale si ripetano le elezioni.

Riccardo Achilli ha detto...

Sono d'accordo con Lei sul fatto che occorra una rimessa in discussione completa dei riferimenti novecenteschi della sinistra italiana (d'altra parte l'ho scritto nell'articolo), ed anche sul fatto che la battaglia politica si faccia in Europa, non altrove.
quanto agli scenari futuri, mi sembra ormai chiaro che:
a) non si può andare a nuove elezioni. Napolitano è in semestre bianco, e occorrerebbe trovare una maggioranza parlamentare disposta ad eleggere un nuovo Presidente che, non appena insediato, sciolga le Camere. Nel frattempo, un governo dimissionario non potrebbe scrivere il PNR 2013, da presentarsi entro fine aprile. E poi nuove elezioni non farebbero che balcanizzare ulteriormente il quadro politico, senza creare maggioranze;
b) Grillo ha detto che non sosterrà un governo di minoranza, e Napolitano non è favorevole a questa ipotesi. Grillo ha tutte le convenienze (egoisticamente) a fare così (d'altra parte, la distribuzione dei suoi sostenitori fra chi vuole un accordo con il PD e chi non lo vole è più o meno fifty-fifty. L'unica soluzione è un governo di larghe intese PD/PDL. che apre scenari di disgregazione finale di questi due partiti assolutamente imprevedibili.

Marco Spedicato ha detto...

Sul fatto che ci sarà un governo di salvezza (inter)nazionale PD-PdL(+Monti?) non ci sono dubbi; sul fatto che il PdL è in via di disfacimento neanche; più di qualche dubbio ce l'ho invece sull'ipotesi che il PD si disgreghi a breve (se non altro ha uno zoccolo duro di elettori veramente ottusi per i quali vale ancora il motto stalinoide "il partito ha sempre ragione").

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