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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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venerdì 4 maggio 2012

Per una storia del Frente Amplio in Uruguay, (prima parte), di R. Achilli





Pubblichiamo la prima parte di quello che può essere definito un piccolo saggio storico sul Frente Amplio. Per la lunghezza, consigliamo i lettori di stamparsi il testo in Pdf, cliccando sul bottone posto in fondo al post. Tra qualche giorno pubblicheremo anche la seconda parte (la Redazione).

di Riccardo Achilli



Prima Parte
GLI ANNI DI FONDAZIONE E OPPOSIZIONE



INTRODUZIONE

Il Frente Amplio è un partito politico di sinistra dell'Uruguay, che raccoglie tutta la tradizione della sinistra storica, ovvero:

        la socialdemocrazia (rappresentata dal Partito Socialista, affiliato all'Internazionale Socialista);

        il socialismo democratico (rappresentato da Asamblea Uruguay);

        il comunismo (gli ex guerriglieri Tupamaros oggi confluiti nell'MPP – Movimiento de Participación Popular, partito peraltro maggioritario all'interno del Frente Ampio, di  impronta leninista, ma anche il Partito Comunista dell'Uruguay. Entrambi i partiti sono iscritti al Forum di San Paolo, una sorta di internazionale della sinistra latino americana, che include anche partiti come il Frente Trasversal argentino, organico all'alleanza con il peronismo di sinistra kirchnerista, il Partido Dos Trabalhadores al potere in Brasile, ecc.);

        il marxismo libertario (rappresentato dal Partido por la Victoria del Pueblo);

        il trotzkismo di tendenza posadista, rappresentato dal Partido Obrero Revolucionario.

Tale aggregazione, che racchiude pressoché l'intero spettro della sinistra storica, convive con partiti di impronta riformista moderata ed anche cristiano-sociale, e con base elettorale piccolo-borghese o radicati nel proletariato terziarizzato (quello che la sociologia dei borghesi chiama “ceto medio”) come il Frente Liber Seregni (così chiamato da uno dei fondatori del Frente Amplio, l'ex generale dell'Esercito Liber Seregni, che si ribellò alla dittatura militare e fu per questo degradato e costretto all'esilio).

E' a questo punto necessario chiarire meglio il significato, oscuro per noi italiani, di un partito (che ha i suoi propri organismi dirigenti, il suo proprio statuto, le sue proprie regole organizzative e di governo interno e il suo proprio simbolo alle elezioni) che è composto dalla sommatoria di tanti partiti, altrettanto autonomi ed organizzati al loro interno, e che quindi non può considerarsi una mera coalizione elettorale con un simbolo comune e un minimo di coordinamento interno, come quelle cui siamo abituati. La specificità risiede nella legge elettorale per le elezioni parlamentari dell'Uruguay, una legge piuttosto complessa, che però, anche dopo la riforma del 1997, consente ancora, entro certi limiti, il cosiddetto “voto plurimo simultaneo” (ley de lemas). Si tratta di un sistema proporzionale puro, senza sbarramento e senza preferenze, in cui ogni partito principale (lema) può presentare liste distinte (sublemas), facenti capo ad una corrente interna del partito stesso, o ad organizzazioni in tutto e per tutto partitiche, che però dichiarano la loro affiliazione al partito principale. Pertanto, si suddividono, in prima battuta, i seggi parlamentari fra i partiti principali (lemas) proporzionalmente al voto ottenuto dall'insieme delle liste che li compongono, dopodiché, i seggi ottenuti da ogni lema vengono ripartiti fra i sublemas, ancora una volta proporzionalmente ai voti di ogni lista.

Tale sistema di fatto nasconde una estrema differenziazione politica dietro ad una facciata di radicale semplificazione (perché i partiti principali presenti in Parlamento attualmente sono solo quattro) e garantisce il massimo della rappresentatività, tramite la possibilità di presentazione di liste di sublema, con la stabilità necessaria ad assicurare la governabilità (perché, anche in presenza di un dibattito interno molto vivace, una combinazione fra prassi parlamentare e disposizioni legali impedisce ad un sublema di uscire in corso di legislatura dal patto politico stipulato in sede elettorale con il lema principale di appartenenza). Questo è a beneficio degli apprendisti stregoni nostrani, che discettano di legge elettorale, invocando, in nome della governabilità, soglie di sbarramento antidemocratiche o sistemi di tipo maggioritario (che incentivano soltanto la personalizzazione leaderistica della politica, con gravi rischi di derive plebiscitarie) quando una legge elettorale proporzionale e senza sbarramenti, unitamente ad alcune disposizioni legislative ed a una sana prassi politica, può combinare rappresentatività e stabilità di governo.

In questo testo, si tratteranno i primi ani di fondazione e crescita del FA. In un prossimo testo, saranno invece analizzati gli anni in cui tale forza politica è stata al potere.





LA FASE FONDATIVA: GLI ANTEFATTI

In questo scenario, alla fine degli anni Sessanta, in Uruguay, un declino economico avviatosi già vent'anni prima, unitamente a forme di disgregazione del tessuto sociale, creano uno scenario nel quale si sbriciola il vecchio contratto sociale promosso dal presidente Batlle y Ordoñez a principio del XX secolo, che aveva garantito prosperità e pace sociale al Paese chiamato la Svizzera dell'America del Sud, ma che al contempo aveva limitato al minimo la partecipazione politica e sindacale della sinistra radicale (in sostanza, anche se in modo forse troppo semplicistico, il contratto sociale “batllista” stipulato fra borghesia nazionale e proletariato, su cui si era retto il Paese per una cinquantina d'anni, era il seguente: “più benessere e stato sociale inclusivo, minor livello di conflittualità politico/sindacale, nell’ambito di un Governo democratico, ma in mano ad una oligarchia borghese, oligarchia che si distribuisce fra blancos (Partido Nacional), più conservatori, e colorados, più progressisti”; il detto tradizionale era infatti “Uruguay es poncho (il poncho di Aparicio Saravia, simbolo del Partido Nacional) y sobretodo” (il cappotto di Batlle y Ordoñez, simbolo dei colorados).

Con la disgregazione del contratto sociale tradizionale, da un lato, la sinistra si riorganizza politicamente (attraverso la nascita, nel 1962, del FIDEL, fronte unico fra le opposizioni comuniste, e dell'Union Popular, fronte unico di stampo socialdemocratico promosso dal partito socialista) e sindacalmente (attraverso la nascita, nel 1964, del CNT, il primo sindacato “confederale” di un Paese in cui esisteva soltanto il sindacalismo autonomo di categoria o di impresa). D'altro lato, la borghesia nazionale, particolarmente mediocre culturalmente e politicamente, abituata a pratiche di consociativismo e familismo nella soluzione dei conflitti sociali, oramai inadeguate alla grave crisi economica e sociale che il Paese attraversa, reagisce in modo regressivo e reazionario, imprimendo una svolta autoritaria sempre più evidente, con un intervento sempre più manifesto delle Forze Armate nella vita politica. Il degrado economico di ampie fasce della popolazione, l'aumento delle disparità sociali, l'incapacità del sistema politico di dare rappresentanza e sbocco alle istanze di sinistra di quote crescenti di un proletariato impoverito e con debole, ma crescente, coscienza di classe, la mancanza di qualsiasi unità d'azione significativa fra comunisti e socialisti, sono i fattori che danno luogo all'avvio della lotta armata del MLN-T (i tupamaros). Lotta armata che ben presto si dispiega con una intensità eccezionale, ma senza riuscire a creare un collegamento con le masse, per assenza delle condizioni soggettive di una rivoluzione (generate essenzialmente dalla mancanza, nel MLN, dei requisiti politici di un partito rivoluzionario di avanguardia, anche per via di oggettive carenze di capacità di elaborazione teorica) e che finirà, anche sotto i colpi di una repressione sempre più dura, per sfociare in una guerriglia urbana relativamente isolata dal proletariato, a volte protagonista anche di discutibili episodi di violenza nei confronti di proletari inermi. Conseguentemente, già alla fine degli anni sessanta, la guerriglia tupamara diviene l'eccellente alibi per giustificare, da parte della borghesia, una deriva liberticida rapidissima, ed una militarizzazione “de facto” del Paese, dietro l'apparenza di istituzioni democratiche sempre più svuotate di contenuti effettivi.

Nel 1971, quando giunge al potere, con elezioni caratterizzate da forti sospetti di broglio (agitati peraltro non dalla sinistra, ma dalla destra tradizionale del Partido Nacional) il presidente colorado Juan Maria Bordaberry, che sarà l'affossatore degli ultimi resti di una democrazia già fortemente rimaneggiata dal suo predecessore, e compagno di partito, Jorge Pacheco Areco, in questo scenario già fortemente compromesso, nasce il Frente Amplio. La preoccupazione per la crescente repressione politica (attuata dalle Forze Armate, ma anche da gruppi paramilitari di destra finanziati dalla CIA) e per la riduzione degli spazi di espressione democratica dell'opposizione, resuscitano un esperimento unitario già tentato in una precedente fase di minaccia per la democrazia del Paese, quando nel 1936, a seguito degli effetti della Grande Depressione, il dittatore Gabriel Terra cercò di consolidare il suo potere tramite una riforma costituzionale imposta con la forza. La risposta fu una mobilitazione unitaria della sinistra, che di fatto bloccò tale progetto, anche se poi tale unità si dissolse quasi immediatamente.

Julio Maria Bordaberry (in borghese)
con i vertici militari durante la dittatura
La volontà di bloccare il nuovo progetto autoritario, a distanza di 35 anni, fece ricordare ai principali leader della sinistra l'esperimento riuscito del 1936, e diede lo stimolo ad un processo di unificazione. Settori di sinistra del Partido Colorado e portatori dell'eredità socialdemocratica del batllismo, capeggiati da Zelmar Michelini e Hugo Batalla, si staccano dal partito stesso, insieme a settori riformisti del Partido Nacional, sotto la guida di Francisco Rodriguez Camusso, unendosi al Partito Socialista, al FIDEL, al Partito Democristiano, al Partido Obrero Revolucionario ed ai GAU (movimento di estrema sinistra, vicino ai tupamaros anche se distinto da questi ultimi, poi confluito nella molto più moderata e riformista Vertiente Artiguista). I partiti esterni al tradizionale bipartitismo blancos/colorados sono motivati dai risultati molto modesti ottenuti alle precedenti legislative del 1966 (elezioni ancora relativamente democratiche e regolari) in cui complessivamente arrivano ad un magro 10%, con una forchetta di risultati individuali che oscilla fra il 5,7% ottenuto dal FIDEL e lo 0,3% del Partito Socialista. Quindi vi è in tali partiti una esigenza primaria di sopravvivenza in uno scenario politico/elettorale reso sempre più difficile dalla censura sistematica operata sui partiti di sinistra tramite le leggi approvate da Pacheco Areco, e dai crescenti brogli elettorali. I settori di sinistra dei partiti tradizionali, che decidono di unirsi al progetto, sono spinti dalla stessa esigenza di sopravvivenza politica: sempre alle elezioni del 1966, ad esempio, il sublema progressista di Michelini, nell'ambito dei colorados, ottiene appena il 3,9% dei voti, schiacciato dalla corrente di destra guidata da Pacheco Areco e Gestido, che totalizza il 21,3%.

Naturalmente, è riduttivo limitare la nascita del Frente Amplio ad un mero calcolo di sopravvivenza elettorale. Il Frente può considerarsi l'espressione più avanzata di un processo di progressiva unità di tutte le espressioni della sinistra uruguayana: politica, sindacale, ma anche studentesca, sotto la spinta repressiva della borghesia compradora. tale processo di unificazione è reso possibile dall'emergere di obiettivi di lotta comuni a tutta la sinistra: la difesa della democrazia sempre più minacicata da spinte autoritarie, la lotta per l'autonomia nazionale dal neoimperialimo straniero, essenzialmente statunitense, ed i suoi agenti borghesi dentro il Paese, la lotta per l'equità e la giustizia distributiva.

In sostanza, la nascita del Frente Amplio, seppur resa possibile dal ricordo dell'efficace contrasto unitario al tentativo dittatoriale di Terra del 1936, dal processo di riorganizzazione politico/sindacale della sinistra extraparlamentare nel corso degli anni Sessanta, e dall'esigenza di frenare la deriva autoritaria in corso, che restringe progressivamente gli spazi di espressione politica della sinistra, è la fisiologica prosecuzione di un processo di riorganizzazione e riaggregazione della sinistra nazionale avviatosi negli anni Sessanta, oltre che la risposta ad una esigenza immediata di sopravvivenza politica, ritagliandosi uno spazio politico significativo fra i partiti tradizionali, in larga maggioranza schiacciati sulle istanze autoritarie della borghesia. Tale esigenza di sopravvivenza spiega la rapidità con cui settori politici molto diversi (marxisti, socialdemocratici, riformisti moderati, cristiano sociali, ecc.) trovano un accordo politico unitario. La legge elettorale sopra descritta, che come si è visto garantisce ampia autonomia di azione e rappresentatività alle singole liste, favorisce l'accordo, proprio perché garantisce visibilità ed autonomia ad ogni partecipante, che può cercare un accordo unitario con altri, senza temere di perdere visibilità o finire schiacciato. Il 5 Febbraio 1971 si pubblica dunque la dichiarazione fondativa del Frente Amplio, che è basata sui seguenti principi:

        opposizione alla condotta antipopolare ed antinazionale del Governo colorado, definito “governo oligarchico”;

        superamento della crisi strutturale del Paese;

        ripristino delle libertà individuali e sindacali;

        istituzione di una pianificazione nazionale delle politiche per le attività produttive e nazionalizzazioni nei settori strategici;

        maggiore equità distributiva;

        in prospettiva, cambiamento strutturale del paradigma capitalistico (anche se, per mantenere l'accordo con le forze riformiste, tale obiettivo viene espresso in modo sfumato e generico, parlando di liberazione dal “grande capitale”, e  non dal capitalismo nel suo insieme, e di un cambiamento delle strutture giuridico/istituzionali da realizzarsi in un futuro imprecisato; “a su tiempo”, dice il documento).

Anche il candidato scelto dalla nuova forza politica per le elezioni presidenziali di quello stesso anno è espressione di una chiara azione di compromesso. Il primo candidato alla presidenza è infatti il generale Liber Seregni, un militare di alto grado, che a suo tempo comandò la repressione delle proteste sindacali di Montevideo, contro il Governo di Pacheco Areco, e che si ritirò dall'Esercito nel 1969, non solo per contrasti politici con la deriva destrorsa del Governo, ma anche per un episodio di interscambio di proprietà immobiliari fra Esercito e Chiesa cattolica, disposto dal Ministero della Difesa, in cui sostenne la poco gradevole tesi dell'autonomia delle Forze Armate dal controllo politico/amministrativo del Ministero. Si trattava quindi di un moderato, fuoriuscito dal Partido Colorado e vicino a Michelini. Il candidato vicepresidente, il dottor Juan José Crottogini, medico ginecologo, era un indipendente di orientamento moderato, mentre il candidato sindaco di Montevideo (seconda carica politica più importante in un Paese in cui la capitale concentra il 40% della popolazione) era un altro medico, Hugo Villar, altro indipendente. In questo modo fin dalla nascita il FA inaugura la tradizione di pescare i suoi leader nella categoria dei medici, una delle più borghesi che esistano sul pianeta.

Con questi candidati, ed un programma sostanzialmente socialdemocratico e di difesa delle garanzie democratiche, alle presidenziali di novembre 1971, in una tornata elettorale caratterizzata da brogli e gravi irregolarità, il FA ottiene il 18,3% dei voti, un risultato che, anche se fosse vero, sarebbe soddisfacente, perché leggermente superiore alla sommatoria dei voti delle singole componenti alle precedenti elezioni del 1966, ottenuto in un contesto di censura e repressione quotidiana, in cui anche solo pubblicare un giornale di partito o affiggere un manifesto elettorale, o fare un comizio, diventa difficile.


LA DITTATURA MILITARE

Evidentemente, l'elettorato apprezza lo sforzo unitario a sinistra, e sul risultato elettorale ottenuto alle presidenziali di novembre 1971 si potrebbe costruire un progressivo consolidamento. Si potrebbe in teoria, ma in pratica non si può, perché al culmine di una lotta di potere fra la destra politica, rappresentata dal neo presidente Bordaberry, e le Forze Armate, per controllare il Paese e dare avvio alla sua ristrutturazione in senso neofascista, il 27 Giugno 1973, un anno e mezzo dopo le elezioni presidenziali, Bordaberry scioglie per decreto il Parlamento, sostituendolo con un Consiglio di Stato, con membri designati di fatto dai vertici militari, anche se formalmente nominati dal Presidente, che accentra in sé potere legislativo, esecutivo, di controllo amministrativo ed il progetto di ridisegnare la Costituzione, restringe la libertà di opinione e di stampa ed assegna alle Forze Armate il compito di assicurare il funzionamento ininterrotto dei servizi pubblici.  Gli organi di stampa vicini ai partiti tradizionali (El Pais per i blancos, El Dia per i colorados) diventano gli organi di stampa ufficiali del regime, e pubblicano quotidianamente i comunicati dello Stato Maggiore, oltre che le fotografie di chi si oppone alla dittatura, qualificato come “criminale”. Il direttore del Pais, il blanco Daniel Rodriguez Larreta, diviene membro del Consiglio di Stato.

Lo stesso giorno, il sindacato CNT inizia uno sciopero generale che sarà il più lungo della storia del Paese, durato 15 giorni, imitato immediatamente dalla federazione degli studenti universitari, che dispone blocchi ed occupazioni di università e centri studi. Il Frente Amplio e la componente del PN (blancos) che si oppone alla dittatura, capeggiata da Wilson Ferreira Aldunate (famoso per aver urlato in Parlamento, mentre veniva data lettura del decreto presidenziale di scioglimento dell'organo legislativo, “viva la democracia, carajo”) si mettono subito alla testa di questi movimenti di protesta.

27 Giugno 1973 - militari e membri dei servizi segreti
irrompono nel Palazzo Legislativo - al centro, 
con i pantaloni chiari e senza stivali, Gregorio Alvarez

Il 4 luglio inizia la repressione militare. Un comunicato delle Forze Armate dispone la cattura di 52 dirigenti e quadri del CNT, che si danno alla clandestinità. Vengono messi in detenzione sindacalisti di base, mentre le fabbriche occupate vengono riaperte a fil di baionetta. La grande manifestazione contro la dittatura che si tiene il 9 luglio a Montevideo termina con tre morti e centinaia di persone arrestate dalla polizia, a seguito di gravi scontri di piazza. Incomprensibilmente, commettendo un errore politico che può giustificarsi soltanto con la sfiducia di riuscire a sovvertire la situazione, l'11 luglio, il direttivo del CNT indebolito dagli arresti e dalla latitanza dei suoi principali dirigenti, a larga maggioranza, decide di porre fine allo sciopero generale. L'analisi fatta dal sindacato è evidentemente quella di una inutilità di approfondire il confronto fino ad un possibile sbocco rivoluzionario, poiché la forza organizzativa dei tupamaros era già stata gravemente compromessa (e già nel 1972, con l'arresto di tutto il vertice dirigente dell'organizzazione, di fatto i tupamaros erano già stati resi pressoché inoffensivi) e poiché il Partito Comunista, pur disponendo di un arsenale di armi, era del tutto contrario ad usarle, temendo un massacro.

Il consolidamento della dittatura comporta la messa in illegalità del Frente Amplio, e l'arresto o l'esilio dei suoi principali dirigenti. Liber Seregni viene arrestato il giorno successivo alla manifestazione del 9 luglio, insieme ad un altro ex militare appartenente al Frente Amplio, il generale Victor Licandro (che rimarrà in galera fino al 1983), ed al colonnello Carlos Zufriategui. Michelini fugge a Buenos Aires, da dove continuerà la sua lotta contro il regime, che gli sequestra e tortura la figlia rimasta in Uruguay. Verrà poi assassinato nel 1976 da una operazione congiunta fra servizi segreti militari uruguayani (il famigerato SID) ed argentini, probabilmente capeggiata dal maggiore Nino Gavazzo, che allora comandava una squadra dedicata a “lavori bagnati” nei confronti di esuli politici uruguayani in Argentina. Rodriguez Fabregat si esilia anch'egli a Buenos Aires, dove muore nello stesso anno di Michelini. Enrique Erro viene sorpreso dal colpo di Stato mentre si trova a Buenos Aires, e non farà mai più ritorno in Uruguay (rimarrà infatti a Buenos Aires, dove verrà arrestato, su richiesta dei militari uruguayani, nel 1975, liberato, andrà a vivere a Parigi, dove morirà prima del ritorno della democrazia nel suo Paese).

L'attività politica del FA prosegue, con molti problemi, nella clandestinità. Seregni viene scarcerato in forma provvisoria, sotto le pressioni della comunità internazionale, a novembre del 1974, ma viene nuovamente arrestato a gennaio 1976, con l'accusa di aver ripreso l'attività politica contro il regime. Nel 1978 viene condannato a 14 anni di detenzione per sedizione e tradimento della Patria, a seguito di un progressivo indurimento della repressione politica, causato dall’indebolimento del regime, alle prese con la crisi economica e con il duro e continuo confronto fra Bordaberry ed i militari per l’effettivo controllo del Paese. Il progetto di riforma costituzionale di Bordaberry, che avrebbe definitivamente estinto la vecchia Costituzione democratica, sostituendola con un regime privo di qualsiasi espressione elettorale o democratica, viene infatti respinto nel 1976 dai vertici delle Forze Armate, alle prese con una forte opposizione interna di militari fedeli alla vecchia democrazia. Il susseguente rifiuto di Bordaberry, per ritorsione, di firmare atti di proscrizione contro alcuni oppositori politici causa la rottura definitiva: lo Stato Maggiore nomina infatti un nuovo Presidente, Alberto Demicheli (ex ministro e parlamentare colorado, oltre che dirigente di società calcistiche) ma Bordaberry rifiuta di dimettersi. A sua volta, Demicheli, dopo aver abrogato per decreto le elezioni che avrebbero dovuto tenersi nel 1977, rifiuta di firmare le liste di proscrizione presentate dai militari, cadendo quindi in disgrazia agli occhi dello Stato Maggiore, ed è a sua volta sostituito da Aparicio Méndez, un vero e proprio falco (giurista e professore universitario, ex parlamentare blanco, ammiratore di Benito Mussolini) in un caos istituzionale in cui, non essendosi dimesso nessuno, convivono tre Presidenti de facto in carica.

Ad ogni modo, con il falco Méndez, lo Stato Maggiore imprime un giro di vite durissimo sulla repressione, rimettendo in carcere Seregni, negando la scarcerazione a Licandro, e facendo incarcerare, anche se per un solo giorno, il leader socialista José Pedro Cardoso. Iniziano a circolare le notizie di desaparecidos e di torture nelle carceri militari, mentre la situazione economica del Paese, alle prese con una iper inflazione indotta dall'irrazionale ricetta del FMI di lasciare libera la fluttuazione del peso, e politiche neo liberiste che riducono il tenore di vita di ampi strati della popolazione, peggiora a vista d'occhio. L'emigrazione diviene endemica, e chi ha vissuto quegli anni ricorda la scritta amara sul muro dell'aeroporto di Montevideo-Carrasco, vera porta di uscita degli emigrati: “el ultimo que se va apague la luz”. La situazione disastrosa del Paese viene raccontata, ai suoi cittadini, da Mate Amargo, periodico clandestino vicino ai tupamaros, ed all'estero dal settimanale Marcha, vicino al Frente Amplio, pubblicato in Messico dopo la chiusura delle redazione uruguayana imposta dai militari nel 1974 e l'esilio forzoso del suo direttore e fondatore, Carlos Quijano, e del condirettore, il grande poeta Juan Carlos Onetti (che nel 1974 fu messo in carcere con l'accusa ridicola di aver partecipato ad una giuria per un premio letterario non autorizzato, ed internato in un ospedale psichiatrico).

Il generale Victor Licandro,
fra i fondatori del FA
Il progressivo indebolimento della dittatura militare, incapace di governare il caos economico e di imbavagliare un Paese disperato ma reattivo, si traduce in una bruciante sconfitta nel 1980, quando il regime è costretto, dalle pressioni interne ed internazionali (oltre che dal declino del piano Condor, dopo l'allontanamento di Kissinger e Colby dall'amministrazione USA), ad indire un referendum popolare per l'approvazione del progetto di riforma costituzionale. Tale progetto, redatto dalla Commissione per le Questioni Politiche delle Forze Armate (Comaspo) e solo formalmente adottato dal Presidente della Repubblica Méndez, cerca di restituire forme apparenti di democrazia, per poter avere il voto favorevole degli elettori: ripristina forme limitate di autonomia della magistratura, indice elezioni presidenziali per il 1981 (erano oramai nove anni che nel Paese non si votava più) riammettendo a tali elezioni alcuni partiti, essenzialmente quelli tradizionali, ovvero blancos e colorados (ma non il Frente Amplio, considerato fuorilegge) ripristina il diritto di associazione sindacale solo per alcune categorie di lavoratori (ribadendo il divieto per altre, fra cui i funzionari pubblici) e cancella la censura preventiva.

Il progetto mantiene però il divieto di organizzazione di partiti politici “che istigano alla violenza o che siano stati dichiarati illeciti” (al fine di tenere fuori dai giochi il Frente Amplio), rimanda la regolamentazione del diritto di sciopero ad un atto di iniziativa del Governo (in modo da tenere temporaneamente fuori dai giochi il CNT) mantiene in vigore gli atti di prescrizione dei diritti politici e civili per una durata di 15 anni, emanati a carico di migliaia di cittadini considerati oppositori (impedendo quindi a migliaia di persone di votare per il referendum), e intende istituzionalizzare il Consiglio di Stato creato da Bordaberry nel 1973, formalmente con compiti limitati alla sola sorveglianza sulla sicurezza nazionale, ma in realtà con il ruolo di mantenere una supervisione, da parte dei militari, sull'intero sistema politico.

I militari sono sicuri di ottenere una facile vittoria al referendum, anche perché il dibattito su televisione e giornali viene di fatto soffocato (si farà un solo dibattito televisivo fra fautori del si e del no) e perché contano sulla collaborazione, nel convincere i propri militanti, delle strutture di vertice del Partido Nacional e del Partido Colorado, allettate dalla possibilità di poter ripresentare le proprie liste alle elezioni promesse per l'anno successivo. Ed a prima vista, i sondaggi sono dalla loro parte, assegnando un 60% di voti al si. I militari commettono però un gravissimo errore di valutazione. Da un lato, sottostimano la capacità di mobilitazione, sia pur in condizioni di clandestinità, da parte del Frente Amplio e del CNT. Dal loro carcere, Seregni e Licandro organizzano, tramite le visite dei familiari, le attività di animazione del fronte del no nei quartieri e nelle campagne. I politici del Frente Amplio ancora in libertà, come Alba Roballo, lavorano nella stessa direzione, sia pur clandestinamente, e rischiando l'arresto per attività politica illecita.

D'altro lato, l'eliminazione del doppio voto simultaneo, prevista dal progetto di riforma costituzionale, e fatta per eliminare le correnti interne (i famosi sublemas) dentro i partiti tradizionali, in modo da poter controllare meglio, da parte dei militari, le strutture dirigenti di tali partiti, si ritorce contro i militari stessi. Infatti, quel poco di propaganda a favore del no autorizzata dal regime viene condotta proprio da quelle componenti del Partido Colorado e dei blancos che temono di finire schiacciate, con la riforma elettorale, dalle rispettive maggioranze interne, in mano al pachequismo, per quanto riguarda i colorados, ed al chicotacismo e a parte dell'herrerismo, fra i blancos. Di fatto, quindi, la componente batllista, fra i colorados, e le componenti wilsonista e parte dell'herrerismo, fra i blancos, divengono i principali avversari pubblici del progetto di riforma costituzionale.

Ciò provocherà, oltre alla clamorosa ed inattesa sconfitta dei militari al referendum (con il no che arriva al 57% dei voti validi, e che comunque conferma come il regime abbia ancora una base di consenso sociale non trascurabile, anche se minoritaria, nella piccola borghesia, fra i piccoli imprenditori agricoli, in una parte degli impiegati) anche un effetto paradossale: grazie alla battaglia antireferendaria di alcune componenti (minoritarie) dei blancos e dei colorados, tali partiti, che rappresentano da sempre la borghesia nazionale responsabile del declino economico e sociale, e della deriva autoritaria, che hanno portato alla dittatura militare, furono in qualche modo “ripuliti” delle loro responsabilità agli occhi dell'opinione pubblica, e poterono quindi ricavarne un indiscutibile vantaggio elettorale quando la democrazia venne ripristinata, presentandosi come  quelli che avevano sconfitto i militari. Giova tuttavia ricordare che soggetti che ebbero un ruolo fondamentale per la preparazione e la successiva conduzione della dittatura, come Pacheco Areco, Bordaberry, Demicheli, Walter Ravenna, Alejandro Végh Villegas, Pedro Cersosimo o Walter Belvisi erano colorados, mentre Méndez, Martin Echegoyén, “el nene” Domingo Burgueño Miguel, Antonio Gabito Barrios, Carlos Gelpi o Rodolfo Ciganda venivano dal Partido Nacional, questo per dire che blancos e colorados contribuirono generosamente nel fornire alla dittatura la sua classe dirigente. Viceversa, il Frente Amplio, che non poté condurre pubblicamente la campagna referendaria per il no, perché era un partito fuorilegge, non ha potuto beneficiare, dal punto di vista elettorale, della sconfitta dei militari al referendum. E vedremo fra breve quali saranno, in effetti, i primi risultati elettorali dopo il ripristino della democrazia.

Ad ogni modo, la sconfitta referendaria apre una crisi profonda all'interno dei vertici delle Forze Armate, ridando fiato alla componente “democratica”, guidata dal generale Hugo Medina (egli stesso, comunque, mandante di sparizioni e torture, per sua esplicita ammissione). La reazione non tarda a farsi sentire: a Settembre 1981 un Méndez indebolito dalla sconfitta referendaria viene sostituito alla presidenza da un militare, il generale Gregorio Alvarez, il capo della fazione più intransigente ed antidemocratica dello Stato Maggiore, che si è costruito la carriera comandando, con metodi sanguinari, l'Esmaco (Estado Mayor Conjunto) un organismo interforze con il compito specifico di combattere la guerra sporca contro i tupamaros e poi dirigendo il Comaspo, fino alla nomina a Capo di Stato Maggiore dell'Esercito. L'avvento di Alvarez segna un salto di qualità: fino ad ora, i militari non avevano assunto cariche politiche rilevanti, preferendo, per dare una ipocrita illusione di normalità istituzionale, farli occupare da civili da loro manovrati. Con Alvarez, il regime militare in crisi si assume la responsabilità diretta di guidare il Paese. Si tratta altresì della fase più cruenta, con il maggior numero di desaparecidos (ad Alvarez saranno contestati 37 omicidi). Ma nonostante tutto ciò, il regime è in crisi. Nel tentativo di sopravvivere, cerca in tutti i modi di tenere aperto un canale di dialogo con i vertici centristi e destrorsi dei partiti tradizionali. Il tentativo del 1980 è stato bocciato da un referendum, e così, per il 1982, il regime consente a blancos e colorados di tenere le elezioni primarie (in Uruguay, le primarie di partito per la designazione dei candidati alle elezioni presidenziali sono rese obbligatorie dalla Costituzione) in vista di non si sa bene quale scadenza elettorale, dato che non si fissa alcuna data. Inoltre, il regime si riserva di proibire la partecipazione ai candidati delle componenti dei partiti tradizionali che si sono opposte al referendum del 1980, e  rimane la proibizione allo svolgimento di qualsiasi attività politica per il Frente Amplio.

Si tratta quindi di un maldestro tentativo di accreditare una apparenza di democrazia, tramite elezioni primarie che, mancando le secondarie, sono di per sé inutili. Tuttavia, tale tentativo maldestro si ritorce, ancora una volta, contro i militari. Infatti, dal suo carcere, Liber Seregni dà ordine agli elettori di tendenza frenteamplista di presentarsi alle primarie e votare in bianco, per protesta contro questa votazione-farsa. Più di 85.000 elettori obbediranno a tale consegna, evidenziando come, nonostante anni di clandestinità e di proscrizione, il Frente Ampio sia ancora vitale e radicato nella popolazione. Per il resto, i voti vengono fatti confluire soprattutto sulle liste interne più ostili al regime, come la lista wilsonista del PN guidata da Juan Pivel Devoto (poiché il capocorrente Wilson Ferreira Aldunate era esiliato) e la lista “Batllismo Unido”, guidata dal futuro presidente democratico Julio Maria Sanguinetti, per i colorados. Il voto sarà quindi interpretato come  chiaramente ostile ai militari, dando un ulteriore colpo al regime.



IL RITORNO ALLA DEMOCRAZIA E LE PRIME ELEZIONI

Già dal 1983, il pericolante regime militare, privato peraltro del suo omologo argentino, avvia consultazioni tese al ritorno alla democrazia, in un clima in cui iper inflazione, causata da politiche valutarie troppo liberiste e politiche monetarie irrazionalmente restrittive, politiche di congelamento dei salari, privatizzazioni selvagge, caduta verticale della spesa pubblica per fini sociali e tracollo delle esportazioni hanno portato in pieno Terzo Mondo quello che ancora negli anni Sessanta era il Paese sudamericano più ricco: i salari reali diminuiscono, fra 1972 e 1983, del 54,2%, e la loro quota sul prodotto interno lordo passa dal 36% al 23%, mentre i profitti aumentano rapidamente (anche in virtù di tassi di crescita medi che, durante il periodo della dittatura, si attestano attorno al 4%) evidenziando la chiara natura di classe del governo militare e delle sue politiche neoliberiste. I militari, consci dell'impossibilità di continuare a governare il Paese in condizioni in cui le proteste di piazza e le caceroladas sono quotidiane, la disoccupazione supera il 10% e la povertà lambisce il 20% della popolazione, inizia a scarcerare i prigionieri politici, al fine di avviare negoziazioni con i partiti. Il 19 marzo 1984, Liber Seregni viene liberato, e, davanti ad una folla oceanica che lo segue lungo il percorso dal carcere a casa sua, tiene un discorso storico, in cui fissa due principi:

        occorre raddoppiare gli sforzi per far vincere il FA, ma senza odio né violenza dettata da risentimento;

        occorre partecipare ad un negoziato con i militari, al fine di ripristinare la democrazia.


Il generale Liber Seregni,
figura storica del FA e suo leader spirituale
Tali negoziazioni culminano nel Patto del Club Naval di agosto 1984, nel quale i militari accettano il ripristino della democrazia, fanno cadere il veto alla partecipazione del Frente Amplio alle elezioni (grazie anche all'insistenza in tal senso operata da Ferreira Aldunate, che spera in questo modo di sottrarre voti all'avversario colorado, facendoli confluire sul FA). Tuttavia, i militari ottengono, grazie alla sponda offerta dai colorados e dai blancos di destra, che Ferreira Aldunate e Seregni, ovvero i due leader più prestigiosi, non siano candidati alle prossime elezioni presidenziali.

Le elezioni presidenziali di novembre 1984, in cui il Frente Amplio, dopo anni di clandestinità, non ha avuto il tempo di riorganizzarsi adeguatamente, ed in cui viene privato, in base agli accordi del Club Naval, della possibilità di candidare il suo leader più prestigioso e amato, ottiene, con il tandem (scarsamente carismatico) composto da Crottogini (l'ex candidato vicepresidente del 1971) e da José D'Elia, il 20,8% dei voti. Si tratta, nonostante le condizioni molto difficili in cui il Frente amplio è costretto a partecipare, di un risultato incoraggiante, in crescita rispetto al 18,2% delle elezioni del 1971. In Parlamento, il partito ottiene 6 senatori (ovvero il 20%) e 21 deputati (21,2%). Particolarmente bene va la lista 99, una lista riformista moderata capeggiata da Hugo Batalla, composta da transfughi del partido colorado e che si riconnette alla figura del suo fondatore, Zelmar Michelini. Certamente, come già detto, sul voto pesa la “ritrovata verginità” dei partiti tradizionali, dopo la vittoriosa campagna referendaria per il no del 1980, cui il Frente Amplio non ha potuto partecipare, perché in clandestinità.

Il vincitore, il colorado Julio Maria Sanguinetti, avvia una politica di conciliazione nazionale, piuttosto controversa e per certi versi anche ipocrita. Nel 1985, dispone l'immediata scarcerazione di tutti i detenuti politici ancora nelle carceri militari, liberando quindi l'intero vertice dei tupamaros (Sendic, Zabalza, Marenales, Rosencof, Fernandez Huidobro, la Topolanski, Mujica, Manera, Engler, Wasem, Agazzi, ecc.) detenuto in condizioni di carcerazione disumane. D'altro lato, però, avanzando questioni tecnico-giuridiche piuttosto bizzarre, emette una legge che convalida gli atti normativi prodotti durante la dittatura ma, soprattutto, sotto la pressione delle Forze Armate, ed in particolare sotto le velate minacce di golpe da parte del nuovo capo di Stato Maggiore, gen. Medina (lo stesso che si opponeva ad Alvarez) promulga la famigerata “ley de caducidad”, che fa decadere ogni possibilità di perseguire i responsabili della dittatura, per reati connessi alla violazione di diritti umani o per reati di terrorismo di Stato. Naturalmente Sanguinetti, come anche il presidente argentino Alfonsin, che si trovò in una situazione analoga, non si chiede se le minacce di golpe dei militari avessero un qualche fondamento, poiché per fare un golpe riuscito non basta mandare i carri armati all'assalto del palazzo presidenziale, ma occorre avere un minimo di sostegno nella società, appoggi internazionali, ecc. Si limita a cedere immediatamente ai ricatti dello Stato Maggiore, in fondo perché felice di poterlo fare.  

Il Frente Amplio è l'unica forza politica presente in Parlamento ad opporsi in modo compatto a questa legge, soprattutto per l'implicazione morale, assolutamente vergognosa, che ne dà Sanguinetti, secondo cui tale legge è una compensazione offerta ai militari per l'indulto concesso ai tupamaros reclusi, in questo modo parificando, da buona “anima morta riformista” (come direbbe il compagno Mortara) una lotta di liberazione popolare, contro la schiavitù del capitalismo, con i fascisti in divisa che ancora minacciano di golpismo la neonata democrazia, ricattandola. Gli altri partiti, ed in particolare i blancos, si spaccano. Ferreira Aldunate, dopo una iniziale opposizione, accetta di votare la legge, ma ben 13 deputati e 3 senatori della sua corrente votano contro, uscendo dal gruppo wilsonista e decretando la fine politica del suo leader. Anche fra i colorados, si registra il voto contrario del deputato Vaillant, che passerà poi con il Frente Amplio.  

Il Frente Amplio sarà anche un'opposizione dura e compatta rispetto ai provvedimenti di politica economica presi da Sanguinetti, di impostazione liberista e totalmente in linea con la politica economica fatta durante il regime militare, che non risolvono in nessun modo le gravi condizioni di impoverimento in cui versa il Paese, e che spingono, scriteriatamente, verso lo sviluppo del settore bancario e finanziario, cercando di fare dell'Uruguay la piattaforma bancaria del continente, grazie a normative sul segreto bancario molto rigide e notevoli incentivi per le banche straniere che ubichino filiali nel Paese e per i depositanti stranieri. Una politica che non comporta alcun vantaggio per l'economia nazionale, poiché i flussi di risparmio bancario non producono investimenti in loco, ma che, aumentando il grado di interrelazione fra il sistema bancario nazionale e quello straniero, in particolare quello argentino, getterà le basi per la contaminazione all'Uruguay del crack finanziario subito dall'Argentina alla fine degli anni novanta.

Il primo Presidente democratico,
il colorado Sanguinetti
Inizia a delinearsi nel Frente Amplio un pensiero economico di tipo marcatamente socialdemocratico, basato sulla difesa della proprietà pubblica delle imprese strategiche, sull'attivazione di meccanismi redistributivi, soprattutto a favore delle classi più povere, al fine di sostenere in modo ottimale la crescita della domanda aggregata e quindi del reddito (poiché, come è noto, le classi di reddito più basse hanno una propensione marginale al consumo più elevata) sul rilancio dell'istruzione pubblica, abbandonata a sé stessa dallo stesso Sanguinetti, come principale strumento di competitività ed una visione dei rapporti commerciali chiaramente antimperialista, in cui si privilegiano le relazioni di interscambio con gli altri Paesi dell'America Latina, come mezzo per superare il soggiogamento commerciale, che diviene inevitabilmente politico, nei confronti degli USA, invertendo la tendenza, imposta dal regime militare, basata su relazioni commerciali privilegiate con gli Stati Uniti (ancora ad inizio degli anni novanta, infatti l'export con gli USA rappresenta circa il 10% del totale).





IL CAMBIAMENTO DI PELLE DEI TUPAMAROS
ED IL LORO INGRESSO NEL FRENTE AMPLIO

Nel frattempo, matura, proprio in quegli anni, una novità di estremo impatto, che cambierà il volto politico ed ideologico del Frente Amplio, e l'intero panorama politico del Paese, ovvero l'ingresso degli ex tupamaros nella coalizione. Conviene quindi parlarne in un paragrafo autonomo. Con la scarcerazione nel 1985 dell'intero vertice del MLN-T, erano in molti a chiedersi quale orientamento avrebbe preso il movimento tupamaro, ed alcuni speculavano addirittura circa un possibile ritorno alla lotta armata.

Tuttavia, il leader carismatico ed anche il teorico di riferimento delle MLN-T, ovvero Raúl Sendic, era, insieme a tutti i suoi compagni, un uomo molto diverso da quello che negli anni Sessanta avviò la guerriglia, per certi versi stanco e provato da lunghi anni di detenzione, in condizioni assolutamente inumane. L'arsenale del movimento era stato notevolmente ridotto dall'attività delle forze dell'ordine, e l'intera organizzazione militare avrebbe avuto bisogno di una vera e propria ristrutturazione (per meglio comprendere la traiettoria del leader del MLN-T, si veda quest'altro articolo dell'autore, La figura di Raúl Sendic, ndr).

Il leader tupamaro Raùl Sendic dopo la scarcerazione
Lo stesso Paese è cambiato moltissimo, dall'arresto di Sendic del 1972 alla sua scarcerazione nel 1985. Adesso il problema della lotta di classe non si pone più in termini di contrasto ad un fascismo militare montante, di difesa armata del popolo dall'azione violenta di gruppi paramilitari di destra addestrati e finanziati dalla CIA e dal SID. Adesso, con la conquista definitiva della democrazia, la lotta di classe si sposta da esigenze di difesa armata ad esigenze di contrasto, all'interno dell'agone politico borghese, di una risorgenza degli interessi della borghesia tramite i partiti tradizionali. La politica tradizionale, attraverso il governo-Sanguinetti, non più con le armi dell'Esercito ma con l'esercizio del voto, dà rappresentanza agli specifici interessi della borghesia compradora, asservendo il Paese alle volontà specifiche del capitalismo finanziario statunitense ed europeo, ansiosi di costruirsi un “hub” bancario nel cuore del continente latinoamericano, in cui poter depositare i frutti dei propri investimenti finanziari in un contesto di assoluto segreto bancario e di notevoli benefici fiscali  (hub che peraltro torna anche comodo per le attività di riciclaggio di denaro sporco per le varie mafie, sud americane ma non solo) e, a tal fine, dollarizzando l'economia nazionale, con effetti che, da lì a pochi anni, saranno catastrofici.

I lunghi anni di dittatura militare hanno anche modificato l'assetto di classe del Paese. Il proletariato industriale, che costituisce l'avanguardia di qualsiasi processo rivoluzionario, e che già tradizionalmente è particolarmente esiguo in un Paese ancora essenzialmente agricolo e di servizi, si è ulteriormente ridotto negli anni della dittatura, sotto l'effetto delle privatizzazioni selvagge, soprattutto nel comparto dell'agroindustria, che hanno comportato spesso la chiusura o la drastica ristrutturazione delle imprese privatizzate (frigorificos, zuccherifici, ecc.). Una tendenza oramai inarrestabile alla deindustrializzazione, perché quando si depaupera una base industriale, è pressoché impossibile ricostruirla: fatto pari a 100 il numero di addetti nell'industria manifatturiera nel 1988, questo numero scenderà a 75 nel 1993 ed a 36 nel 2003 (fonte: Instituto Nacional de Estadistica).

Inoltre, durante gli anni di dittatura, il proletariato industriale non è stato soltanto ridotto numericamente, ma anche disarticolato organizzativamente. Le prove di unità sindacale precedenti alla dittatura, con la nascita del CNT, sono state schiacciate, con la repressione feroce subita dal CNT, e con i progetti di aziendalizzazione e frammentazione dell'unità sindacale, nonché di estinzione dell'autonomia sindacale, promossi durante la dittatura, come ad esempio attraverso i decreti di luglio/agosto 1973 e l'atto di creazione delle commissioni paritarie aziendali, dal sapore nettamente corporativistico e fascista, del 1977. Benché il processo di ricostruzione dell'unità sindacale riparta immediatamente, non appena la dittatura si indebolisce, con la nascita della “Plenaria Intersindacal de los Trabajadores” (PIT) nel 1983, che poi darà vita, con il CNT, al sindacato unitario CNT-PIT, gli effetti delle politiche antisindacali si fanno sentire nel tempo: il tasso di adesione al sindacato diminuisce costantemente, fino al 2003, quando tocca il punto di minimo, con soltanto 102 iscritti al PIT-CNT. Oltre alla riduzione degli affiliati, la forte deindustrializzazione del Paese, avviata negli anni della dittatura, porta ad una modifica dei rapporti di forza interni, con la crescita del peso dei funzionari pubblici e dei lavoratori dei servizi, tradizionalmente più propensi al negoziato e meno rivoluzionari rispetto ai lavoratori dell'industria.

Sendic capisce allora che il futuro dell'MLN è nell'agone democratico, non più nella lotta armata. Elabora quindi un programma radicale, imperniato sul rifiuto del pagamento del debito estero, fortemente aumentato durante gli anni della dittatura (e quindi ponendosi come antesignano della dichiarazione di Quito, che chiederà il ripudio del debito estero contratto illegittimamente da governi non democratici) sul rialzo generalizzato dei salari, su un riforma agraria che redistribuisca i terreni del latifondo ai contadini più poveri, sulla nazionalizzazione delle banche e sulla collettivizzazione delle imprese indebitate con lo Stato ed in crisi. Ma chiede anche che tale programma sia portato avanti nell'ambito del Frente Amplio, con un ingresso organico del MLN.

Il processo che porterà a tale risultato sarà però ovviamente molto difficile e contrastato, sia sul versante tupamaro che su quello del Frente Amplio. Specialmente i settori riformisti moderati del FA si oppongono con decisione ad adottare le posizioni programmatiche radicali, in materia di ripudio del debito estero e nazionalizzazioni, del MLN. Ma d'altro canto anche fra i tupamaros la proposta di Sendic è di difficile comprensione. Il punto di attacco di Sendic risiede, in primis, nella storia stessa. Già nel 1970 un comunicato dei tupamaros, pur rimproverando al nascente FA una ottica meramente elettoralistica e non rivoluzionaria, saluta la nascita di tale movimento politico, dichiarando che “il fatto che tale Fronte si ponga come obiettivo immediato le elezioni, non ci fa dimenticare che costituisce un importante tentativo di unire le forze che lottano contro l'oligarchia ed il capitale straniero. Il Fronte può costituire una corrente popolare capace di mobilitare un importante settore di lavoratori nei prossimi mesi e dopo le elezioni. E', o può essere, un poderoso strumento di mobilitazione, di lotta per un programma nazionale o popolare, per la libertà dei prigionieri politici o sindacali, per l'eliminazione delle misure di sicurezza immediata....appoggiando il Fronte, quindi, intendiamo che il suo compito principale sia quello di mobilitare le masse lavoratrici, e che questo suo lavoro all'interno delle masse non inizi e non finisca con le elezioni”.

Il punto di attacco teorico con il quale Sendic giustifica l'adesione al Frente Amplio, richiamandosi all'appoggio esterno già esplicitato nel 1970, è quindi imperniato su due fattori:

        la capacità di saldare unitariamente il fronte dei lavoratori in uno strumento politico unico, caratterizzato da tendenze politiche diversificate, contro una borghesia nazionale sostanzialmente compradora e affetta da tendenze oligarchiche, nepotistiche ed antipopolari. In questo senso, inizialmente Sendic teorizza l'idea di un Fronte Grande, che superi ed inglobi il FA, ricevendo l'apporto anche dei settori progressisti presenti nel Partido Nacional, ovvero, in pratica dei residui del wilsonismo, ovvero di uno strumento che unifichi l'intero spettro de proletariato e della piccola borghesia, in una chiave progressista che vada al di là del solo Frente Amplio;

        la logica antimperialista, che lotta contro il controllo esercitato dall'estero sull'indipendenza e l'autonomia nazionale, logica che, come dimostra ad esempio il panarabismo, non è necessariamente e sempre socialista, e che si riconnette ad una visione terzomondista di liberazione dall'imperialismo come precondizione per qualsiasi altro progresso a favore della classe sfruttata. In ciò, quindi, Sendic, fin dal 1970, mostra di guardare alla rivoluzione sandinista ed alla prima fase della rivoluzione cubana, quella del Movimiento 26 de Julio (ancora una fase marcata dagli ideali democratici ed antimperialisti di José Martí, piuttosto da quelli leninisti).

Tale processo è però visto, da Sendic, come un lavoro da fare sia verso l'alto, ovvero tramite accordi politici con i vertici del FA ed eventualmente del PN, sia, soprattutto, verso il basso, ovvero operando, tramite il MLN, con una logica di ascolto e collaborazione con i movimenti, con le associazioni di quartiere con le espressioni della società civile. Una simile impostazione darà una enorme linfa vitale al FA, che, senza l'apporto dei tupamaros, mostrava già negli anni Ottanta segnali di progressivo imborghesimento e di burocratizzazione nei suoi organi dirigenti, segnali che si rinvengono sia nel successo elettorale delle componenti più moderate, sia in crescenti difficoltà di dialogo fa gli organi dirigenti del partito e la società.

Nel suo discorso del 1987 per il ventennale della morte del Che, Sendic afferma infatti che “Propiziamo la soluzione del Fronte Grande...Il fatto che stiamo cercando di costruirlo sul versante delle cupole politiche non implica che non cerchiamo di costruirlo anche dal basso, nell'unità del popolo, nei sindacati,  gruppi sociali, cooperative, ecc. E' il lavoro da formiche che dobbiamo fare nei quartieri, in campagna, dove convivono affrontando problemi comuni uomini e donne di diverse tendenze politiche... E' possibile che molti si chiedano che urgenza vi sia nel creare questo Fronte Grande. Il motivo è che stiamo consegnando il nostro Paese allo straniero impunemente, compagni. il governo militare ha dato un grande impulso alla vendita del Paese...Ricevettero un Paese con un 2% di terra in mani straniere, e lo riconsegnarono con un 8% di territorio – che avevano giurato di difendere – nelle mani del capitale straniero. E ricevettero un Paese con un 46% del capitale bancario in mani straniere, e lo restituirono con un 83% di questo capitale in tali mani. Lungi dal riscattare questo patrimonio venduto all'estero dai militari, il governo civile votato nel 1985 ha portato ancora più lontano la vendita del Paese...l'urgenza di una unità oppositrice, l'urgenza di un Fronte Grande, oggi, è per contenere tale processo di alienazione verso l'estero”. 

Certamente un simile progetto politico è criticabile, sul versante marxista più ortodosso, per i suoi connotati interclassisti. E l'argomento viene affrontato sia da Liber Seregni, sul versante del FA, sia da Sendic, sul versante tupamaro, in un modo che facilita ulteriormente i punti di contatto fra queste due formazioni politiche. Il primo, in una intervista al settimanale Marcha del 1987, puntualizza infatti che “necessitiamo imperiosamente il concorso non soltanto delle masse lavoratrici, degli intellettuali, degli studenti; necessitiamo anche del concorso degli imprenditori della campagna e della città, degli imprenditori che sono genuinamente nazionali. Non voglio fare facili teorie, però l'Uruguay non ha ancora superato la tappa della rivoluzione democratico-borghese. Dobbiamo svegliare la borghesia nazionale non compradora...e' un gioco che si retroalimenta mano a mano che le proposte del FA siano visibili e contemplino gli interessi di tutte le categorie sociali. Il Frente, come forza politica, è interclassista, perché la lotta ora è finalizzata a spezzare le catene della dipendenza. Per realizzare la società che vogliamo, il primo passo è ristabilire la pienezza della nostra sovranità, il che ci porta ad una prima definizione, ovvero l'antimperialismo”.

Commentando queste stesse dichiarazioni, Sendic riconosce che Seregni, pur nel dichiarare l'interclassismo del suo movimento, dà priorità all'unità fra lavoratori, che i dirigenti dei partiti tradizionali entrati nel FA, dopo poco tempo, iniziano a somigliare molto ai dirigenti della sinistra tradizionale, e che soprattutto il FA è una tappa, necessaria ma intermedia, non definitiva, per un cammino più lungo, che porti ad una società socialista.




LE ELEZIONI DEL 1989 E IL LIBERISMO RADICALE DI LACALLE


In questi termini, dunque, l'unità fra MLN e FA è possibile, e viene rodata, anche se funestata dalla morte di Sendic, alle elezioni del 1989. In tale occasione, l'MLN viene ammesso nel Frente Amplio, e trasforma il suo nome in MPP (Movimiento de Participación Popular) fondendosi con altri piccoli partiti di estrema sinistra (Partido por la Victoria del Pueblo, Movimiento Revolucionario Oriental, Partido Socialista de los Trabajadores). Questa tornata elettorale, in cui Liber Seregni può finalmente presentarsi come candidato alla presidenza, vede una ulteriore crescita del Frente Amplio: alle presidenziali, Seregni, in tandem con un leader in ascesa, Danilo Astori, professore di economia, a capo del partito Asamblea Uruguay, di ispirazione socialdemocratica, ottiene il 21,2%, in crescita rispetto al risultato del 1984, e sfiora la vittoria, che va, per 1,3 punti soltanto di differenza, al blanco Luis Alberto Lacalle. I colorados, logorati da rilevanti conflitti interni, presentano tre candidati diversi, e ottengono così risultati deludenti.

Anche in Parlamento il FA ottiene un progresso evidente, conquistando 7 senatori (dei 3 della precedente legislatura) e 21 deputati (dei 12 precedenti). In sostanza, il FA diventa la seconda forza politica del Paese, superando i colorados, ma soprattutto riesce a conquistare il secondo incarico politico più potente dell'Uruguay, ovvero quello di sindaco di Montevideo, con il socialista Tabaré Vázquez, medico oncologico di fama mondiale, che inizia in questo modo una carriera politica sfolgorante. Si tratta di una vittoria storica: è la prima volta che una amministrazione locale viene conquistata da un esponente di sinistra. Il MPP, alla sua prima comparizione, conquista due seggi  alla Camera dei Deputati.

Il Presidente blanco
Luis Alberto Lacalle
Lacalle, un herrerista della prima ora (persino sua moglie è imparentata con Herrera) implementa un programma economico liberista in tutto e per tutto aderente alle raccomandazioni del Washington Consensus: privatizzazione di tutto (ivi compreso il porto di Montevideo, oltre che le banche ancora sotto il controllo pubblico, l'impresa pubblica di telecomunicazioni, il mercato elettrico, la raffineria di petrolio, le linee aeree nazionali) eliminazione dei monopoli pubblici (nel settore assicurativo, nella produzione di alcol e sigarette, nella produzione e distribuzione di elettricità, ecc.) riduzione delle dimensioni della pubblica amministrazione e drastica semplificazione normativa e procedurale, azzeramento del deficit di bilancio pubblico tramite la contrazione della residua spesa pubblica sociale lasciata in vita dai precedenti governi e tramite un piano fiscale che aumenta l'imposta sul reddito delle persone  fisiche, l'IVA ed i contributi sociali, nonché la limitazione degli aumenti salariali nel settore pubblico al di sotto dell'inflazione, abbattimento delle tariffe doganali per favorire la concorrenza estera sul mercato interno, riforma delle relazioni industriali che, eliminando i cosiddetti “Consejos de Salarios” (i luoghi dove si svolge la contrattazione collettiva di settore) e regolamentando in senso restrittivo il diritto di sciopero, è tesa a lasciare i lavoratori alla mercè dei loro padroni, introduzione del project financing per la realizzazione delle infrastrutture, attrazione di investimenti esteri mediante enormi incentivi finanziari e fiscali e la moderazione salariale, aggancio del tasso di cambio del peso ad una parità fissa con il dollaro, ed una banda di oscillazione ristretta. In breve, per usare le parole dello stesso Lacalle, la riproposizione fedele della “shock economy”, ovvero della ricetta liberista fanatica imposta ai Paesi dell'ex Patto di Varsavia dopo la caduta del muro.

Tale politica viene condotta con una determinazione straordinaria, benché la maggioranza parlamentare di Lacalle sia fragile, ed egli sia costretto a cooptare nel suo Governo anche componenti del Partido Colorado. Il compito del Frente Amplio diventa quindi quello di condurre una opposizione intransigente, saldandosi con i sindacati. Gli anni di presidenza di Lacalle si trasformano quindi in una bolgia di fortissima conflittualità sociale, con scioperi a catena e prolungati, battaglie parlamentari durissime con maggioranze fragili e continuamente cangianti, inchieste della magistratura a carico di singoli esponenti del Governo. Questa dura battaglia ottiene anche alcuni successi parziali:

- viene promosso un referendum contro la legge delle imprese pubbliche, approvata nei primissimi giorni del Governo-Lacalle, che mira a privatizzare qualsiasi cosa e ad abbattere i monopoli pubblici. Il referendum, che arriva ad un successo nel 1992, dopo un iter molto tormentato, ed una opposizione iniziale da parte dei settori moderati del FA, non impedisce che nel frattempo si privatizzino molte delle banche a carico del Governo, come il Banco Comercial, il mercato elettrico, quello assicurativo, le linee aeree, i servizi portuali, ma di fatto è una pietra che pone fine al processo privatizzatore, e che afferma il principio secondo cui il popolo è contrario alla privatizzazione;

- si costringe il Governo a ripubblicizzare il Banco Pan de Azúcar, a seguito di una inchiesta giudiziaria che travolge il Ministero dell'Economia Braga, un consulente della Presidenza e che lambisce lo stesso Lacalle;

- si blocca il progetto di regolamentazione del diritto di sciopero;

- si blocca, mediante l'opposizione parlamentare e un referendum, il progetto di riforma costituzionale.

Alla fine del sua amministrazione, Lacalle lascia un Paese con i conti di finanza pubblica in via di miglioramento, passando da un avanzo di bilancio di 7 milioni di pesos nel 1990 ad uno di 1,7 miliardi di pesos nel 1994, un debito pubblico che, in rapporto al PIL, passa dal 31,6% al 24,5% (tutti valori di incidenza peraltro molto bassi, se pensiamo al debito pubblico di Paesi come l'Italia o il Giappone, ma inferiori, ad esempio, anche al debito/PIL di un Paese come la Germania, pari all'83%, per cui di fatto non vi era alcun bisogno particolare di politiche di austerità di bilancio, ed il motivo per il quale Lacalle le ha lanciate è puramente legato alla lotta di classe, ovvero alla volontà di comprimere il tenore di vita del proletariato, a vantaggio dei profitti, riducendo la spesa pubblica, privatizzando il patrimonio pubblico a vantaggio di capitalisti nazionali ed esteri, aumentando la tassazione sui redditi medio-bassi), e riducendo il debito estero che, grazie agli accordi di ristrutturazione dello stesso presi fra Lacalle ed il suo amico Bush (accordi Brady) passa, rispetto al PIL, dal 24,2% al 15,8%.

Tale miglioramento nei conti pubblici, peraltro, come si è detto, inutile, perché questi erano già in equilibrio, viene però pagato durissimo dal Paese e dalla classe lavoratrice: se il PIL, in termini reali, cresce del 23,1%, i salari reali diminuiscono di un ulteriore 26,3%, dopo i cali consistenti già accumulati negli anni della dittatura e del governo Sanguinetti. Di conseguenza, la quota dei salari sul PIL diminuisce di 22 punti, poiché la crescita è andata esclusivamente a vantaggio del profitto. Il tasso di disoccupazione passa dall'8,5% al 9,2%. Il fallimento  nel mettere sotto controllo l'inflazione, che aumenta di 18,8 punti fra 1985 e 1990, ed esplode, con una crescita di 51 punti, durante gli anni di Lacalle, è totale, e colpisce ancora una volta sia il tenore di vita che la competitività di prezzo delle imprese, mantenendo alto il costo del denaro, e quindi deprimendo gli investimenti.

La competitività del sistema produttivo è, insieme al tenore di vita delle famiglie, la seconda vittima della terapia-shock di Lacalle. Dopo gli avanzi registrati negli anni precedenti, con Lacalle si registra un crescente deficit di bilancia commerciale dovuto al calo delle esportazioni (colpite dalla rivalutazione del peso dovuta alle politiche valutarie messe in campo ed all'esplosione dell'inflazione, che penalizza la competitività di prezzo, nonché all'apertura scriteriata del mercato interno alle importazioni, dovuta all'abbassamento delle tariffe doganali) ed un processo di deindustrializzazione accentuato (il peso dell'industria manifatturiera passa dal 25% al 10% del PIL).




LE ELEZIONI DEL 1994: A VOLTE RITORNANO


Il Paese è allo stremo, e ci si attenderebbe, quindi, per le elezioni presidenziali del 1994, una vittoria della sinistra anche per le presidenziali, atteso che il Frente Amplio ha condotto una battaglia di opposizione alle politiche di Lacalle complessivamente soddisfacente, culminata nella vittoria referendaria del 1992, e che l'amministrazione di Vázquez, a Montevideo, è stata di ottimo livello. Del resto, lo stesso Lacalle è oramai isolato anche dentro il suo partito, ed il tentativo di imporre un suo delfino per le elezioni del 1994 viene frustrato.

Tuttavia, le elezioni del 1994, per un soffio e con una sequela di polemiche e di voti riconteggiati dalla Corte Elettorale, assegna la vittoria al colorado Sanguinetti, che così torna alla presidenza per la seconda volta, con il 32,4% dei suffragi. Il Frente Amplio presenta come candidato Tabaré Vázquez, dopo l'ottima esperienza da sindaco di Montevideo, e incassa una ulteriore crescita elettorale, raggiungendo il 30,6% dei consensi, dal 21,2% di cinque anni prima. Tuttavia, perde l'ennesimo treno per la presidenza, poiché subisce gli effetti logoranti del duro confronto politico sostenuto contro Lacalle. Perde infatti alcune componenti moderate e centriste, che accusano il Frente Amplio di aver condotto una opposizione a Lacalle eccessivamente radicale (e che in realtà escono anche per non aver mai digerito l'ingresso del MPP dentro il FA): il Nuevo Espacio guidato dal figlio di Zelmar Michelini, Rafael, si presenta da solo, e conquista 100.000 voti, che sarebbero stati sufficienti a Vázquez per vincere, stanti le piccolissime differenze con il risultato di Sanguinetti. Inoltre, Hugo Batalla, figura storica vicina a Michelini, abbandona il FA, torna fra i colorados e diviene il candidato vicepresidente di Sanguinetti.

D'altro canto, dopo aver perso componenti al centro, il FA perde anche componenti a sinistra, che formulano l'accusa diametralmente opposta rispetto ai centristi: aver previsto una coppia di candidati composta da un socialdemocratico, Vázquez, e da un moderato a capo di un partito che aggrega anche democristiani, come Rodolfo Nin Novoa, provoca la fuoriuscita del Partido de los Trabajadores. Inoltre, la piccola borghesia, spaventata dagli effetti sociali della crisi, e dall'emergere di una microcriminalità urbana che diverrà endemica negli anni a venire, preferisce affidarsi a Sanguinetti, che appare il candidato dell'equilibrio, né iperliberista, né sinistrorso.

Il FA deve quindi accontentarsi dell'ennesima crescita del numero di parlamentari (otterrà 9 senatori e 31 deputati) registrando il risultato clamoroso, al centro, della componente socialdemocratica moderata di Astori, che da sola ottiene 33 dei 40 seggi parlamentari frenteamplisti, e della nuova vittoria alle elezioni comunali di Montevideo, ottenuta dal leader della Vertiente Artiguista, Mariano Arana. L'MPP registra un lieve aumento, ostacolato dall'abbandono di alcune componenti di estrema sinistra, ed ottiene tre seggi parlamentari, con l'ingresso di José “Pepe”  Mujica, il primo ex guerrigliero tupamaro ad entrare in Parlamento (nel 1989, infatti, i due seggi dell'MPP furono occupati da indipendenti).

I risultati elettorali sono tali che Sanguinetti è costretto, per non far entrare al governo esponenti del FA, a fare un governo di coalizione con i blancos. Il secondo gabinetto-Sanguinetti è piuttosto incolore, anche perché l'ampia coalizione con il PN rende difficile fare grandi cose. Prosegue nella linea liberista dei predecessori, tra l'altro istituendo la previdenza privata, con la creazione delle AFAP (administradoras de fondos de ahorro previsional) e quindi introducendo una nuova ingiustizia sociale fra chi ha i soldi per pagarsi la pensione integrativa e chi deve accontentarsi della pensione pubblica, veramente da fame (i cui fondi vengono ulteriormente ridotti proprio per fare spazio alle AFAP) e riducendo ulteriormente i fondi per l'istruzione pubblica, dopo il colpo di scure già assestato in tale settore da Lacalle, in modo da garantire la perpetuazione delle forme oligarchiche di gestione del potere che caratterizzano da sempre il Paese. Si rende anche protagonista di una riforma costituzionale, avversata dal FA, che introduce il sistema del maggioritario a doppio turno per le elezioni presidenziali (mentre per il Parlamento rimane in vigore il sistema proporzionale puro illustrato all'inizio di questo lavoro) con il chiaro intento di sbarrare la strada alla conquista della presidenza da parte del FA, poiché il doppio turno favorisce gli apparentamenti, per il ballottaggio, fra blancos e colorados, a discapito del FA. Inoltre, al fine di trovare una soluzione ai conflitti interni sempre più laceranti dentro il Partido Colorado, e per impedire la presentazione di una pluralità di candidati, Sanguinetti istituisce l’obbligo costituzionale di elezioni primarie per la designazione dei candidati alle presidenziali. Tale riforma rafforza ulteriormente la caratteristica presidenziale del sistema istituzionale uruguayano, riducendo i poteri di veto del Parlamento, e introduce prime, timide forme di devoluzione di poteri alle autonomie locali, in un Paese da sempre fortemente centralizzato.




L’ESPLOSIONE DELLA CRISI ECONOMICA E L’ASCESA DI BATLLE


Jorge Batlle, nuovo
Presidente per i colorados
Questo piccolo cabotaggio del “business as usual” da timido ed ecumenico liberale viene interrotto dall'esplosione della recessione economica nel 1999, causata dagli effetti della svalutazione del real brasiliano. Tale svalutazione, associata alla rivalutazione del dollaro, cui il peso argentino è legato da un cambio fisso per effetto della sciagurata ley de convertibilidad del Ministro peronista Cavallo, provoca un drammatico calo dell'export e l'esplosione di una recessione sul mercato interno argentino, accentuata dalle politiche liberiste messe in campo, su altrettanto sciagurato consiglio del FMI. La recessione argentina, stanti i fortissimi legami economici e commerciali esistenti con l'Uruguay, si propaga immediatamente a tale Paese, sotto forma di calo dell'export uruguayano (in buona parte destinato proprio all'Argentina) di tracollo della liquidità sul mercato interbancario (le banche argentine in crisi di liquidità bloccano i prestiti alle banche uruguayane) di calo di turisti (anche in questo caso, gran parte del turismo uruguayano dipende da clienti argentini) e di un flusso di ritorno di emigrati uruguayani in Argentina, che fuggono dalla crisi. Il PIL, in un solo anno, crolla del 2,8%, tornando ai livelli del 1997, ed il tasso di disoccupazione prende 1,2 punti, arrivando all'11,3%. Iniziano a venire al pettine i nodi di un modello di sviluppo, promosso dai militari, e proseguito da Sanguinetti e Lacalle, imperniato sulla crescita abnorme di un settore bancario interamente controllato dall'estero, e dipendente dai mercati interbancari stranieri, e sulla scelta (politica, mirata ad indebolire il proletariato industriale) di accelerare lo smantellamento dell'industria nazionale.

Stavolta sembra la volta buona per una vittoria del FA alle presidenziali del 2000, che si celebrano in un clima di pesante recessione (anche nel 2000, per il secondo anno consecutivo, il PIL scenderà dell'1,4%, e il tasso di disoccupazione arriverà al 13,6%, prendendo 2,3 punti rispetto all'anno precedente). Tanto più che vengono al pettine i nodi della feroce guerra sotterranea interna al Partido Colorado, fra pachequisti, il Foro Batllista di Sanguinetti e la Lista 15 di Jorge Batlle Ibañez, con una lotta per la successione a Sanguinetti (che non può più essere ricandidato) fra il suo delfino Luis Hierro López e lo stesso Batlle Ibañez, che alla fine la spunta, vincendo le primarie, ma dividendo profondamente il partito.

Una immagine della crisi del 2002
i risparmiatori disperati davanti ad una banca  fallita
Alle elezioni del 2000, infatti, il candidato frenteamplista Tabaré Vázquez, ancora una volta in tandem con Nin Novoa, vince al primo turno con un ottimo risultato (40,1%) che stacca di 7,3 punti Battle Ibañez. Se vi fosse stata ancora la vecchia Costituzione, Vázquez sarebbe stato senz'altro proclamato Presidente. Ma qui interviene la diabolica riforma elettorale messa in campo da Sanguinetti proprio per contrastare l'ascesa della sinistra. Per contrastare Vázquez, Batlle ed il candidato blanco (il vecchio Lacalle che si ripresenta) fanno un accorso elettorale e programmatico, Lacalle dà indicazione al suo elettorato di votare per il candidato colorado, indicazione rispettata dal 90% degli elettori blancos, e di conseguenza al secondo turno Batlle, con il 54% dei voti, supera il candidato frenteamplista, che si ferma al 46%. Si ottiene quindi il risultato paradossale, tipico dei sistemi elettorali a doppio turno, che un candidato che ha preso meno voti al primo turno finisca per vincere al ballottaggio. Ancora una volta, il FA deve accontentarsi dell'ennesimo progresso elettorale, e porta in Parlamento ben 52 parlamentari (40 deputati e 12 senatori). In pratica, il FA diviene la più importante forza parlamentare del Paese, ma rimane all'opposizione, poiché, in base agli accordi Batlle-Lacalle, si forma una coalizione di destra blancos/colorados. Le alchimie tipiche delle democrazie borghesi hanno quindi ottenuto il chiaro risultato di distorcere la volontà popolare, relegando all'opposizione il partito più votato.

Il governo di coalizione presieduto da Batlle nasce però sotto pessimi auspici, con una gravissima crisi economica da gestire, e una coalizione rissosa di capi e capetti che si odiano fra loro. Alle municipali del 2000 il FA schiaccia, per la terza volta consecutiva, gli avversari per la città di Montevideo, eleggendo Arana per un secondo mandato. Inoltre, il FA registra un forte progresso elettorale in quasi tutti i dipartimenti dell'interno rurale del Paese, tradizionalmente molto conservatori, e dimostrando quindi la sua capacità diffusiva anche fra strati sociali, come quelli contadini, storicamente a lui avversi.

Batlle, un vero e proprio rappresentante della componente più ottusa e compradora della borghesia uruguayana, cercherà di vanificare gli sforzi per sviluppare il Mercosur, e riportare le lancette della storia indietro, ai tempi in cui il Paese era un colonia yankee. Cercherà di stipulare con Bush un trattato commerciale privilegiato, che di fatto avrebbe squassato il Mercosur, e che per fortuna, a causa dell'eterogeneità della sua maggioranza parlamentare, non riuscirà a finalizzare. Riuscirà a dare del ladro, dell'impotente e dell'ignorante al Presidente argentino Duhalde in diretta televisiva, sfiorando la rottura delle relazioni diplomatiche, per poi rendersi protagonista di una scena penosa, degna di una pessima telenovela, in cui, piangendo come un vitello sgozzato, si recherà a Buenos Aires a chiedere scusa allo stesso Duhalde, in nome “di mia madre, che è argentina, e non mi rivolge più la parola”. Riuscirà a farsi definire pubblicamente “giuda, genuflesso, bugiardo e cialtrone” da Fidel Castro, arrivando ad un risultato cui nemmeno i militari fascisti, durante la dittatura, erano giunti: la rottura delle relazioni diplomatiche con Cuba.

Gestirà la grave crisi economica con la stessa abilità e destrezza di un puffo. Nel 2002, dopo che il tasso di disoccupazione ha raggiunto il massimo storico (17%) e la crisi di liquidità delle banche si è tradotta in un credit crunch che ha ridotto, in termini reali, del 51% il flusso di investimenti rispetto all'inizio della crisi, riportandolo al livello del 1990, riesce nella mirabile impresa di farsi costringere, dal Parlamento, a licenziare nel giro di pochi giorni il direttore della Banca centrale ed il Ministro dell'Economia, subendo una netta bocciatura della sua linea di politica economica da parte dei suoi stessi alleati blancos. Quando, a causa della crisi finanziaria argentina, la banca argentina Banco de Galicia, operante in Uruguay, entra in crisi a causa del massiccio ritiro di depositi da parte di correntisti argentini, e la Banca Centrale uruguayana si rifiuta di assisterla con un prestito di denaro, facendola fallire, con la scusa, davvero intelligente, “che non si tratta di una banca uruguayana”, si apre la fase più dura della crisi bancaria in Uruguay Non capendo uno dei fondamentali dell'economia finanziaria, ovvero il forte legame di interrelazione che tiene insieme il sistema bancario, facendo fallire una banca operante in Uruguay, per stolti motivi di campanilismo, le autorità monetarie uruguayane causano una crisi di fiducia generalizzata sul sistema finanziario del Paese. Migliaia di correntisti argentini che hanno depositato denaro in banche uruguayane, come reazione psicologica al fallimento del Banco de Galicia, iniziano a ritirare i loro depositi, creando una crisi di liquidità in tutto il circuito creditizio uruguayano.

In modo del tutto scriteriato, e senza applicare alcun controllo sull'uso dei fondi e sulla gestione delle banche, la Banca centrale reagisce inondando di dollari le banche uruguayane in crisi, i cui vertici, lasciati liberi di usare questi soldi a loro piacimento, anziché utilizzare la liquidità per aumentare il patrimonio di vigilanza, la investono sui mercati finanziari, o addirittura svuotano  la liquidità delle banche e poi fuggono all'estero (come i fratelli Peirano, responsabili del crack del Banco Montevideo/Caja Obrera, a quanto pare beneficiando dell’incapacità di controllo del sistema di vigilanza bancario, se non addirittura di compiacenti complicità), vanificando l'enorme aiuto finanziario erogato dalla Banca Centrale.

Con questa operazione inutile di iniezione di dollari, la Banca centrale esaurisce le sue riserve valutarie, e si ritrova completamente impotente quando inizia un attacco speculativo contro il peso, che ne provoca una immane svalutazione rispetto al dollaro, alimentando una nuova fiammata inflazionistica interna. Nel 2002, il tasso di inflazione balza all'improvviso al 25,9%, dal 3,6% dell'anno precedente, assestando una mazzata ferale a migliaia di famiglie titolari di reddito fisso. L'indice di povertà naviga attorno al 40% della popolazione, cui occorre aggiungere un ulteriore 5% di persone in condizioni di indigenza totale; un bambino su quattro è denutrito. Le bidonville crescono come funghi velenosi attorno ad una Montevideo spettrale, la criminalità si impadronisce di interi quartieri dove persino i commissariati di polizia vengono chiusi, una intera generazione di giovani si brucia il cervello con la pasta-base, in assenza di qualsiasi opportunità lavorativa. Camminare da soli in pieno centro diventa pericoloso anche di giorno. I suicidi si moltiplicano con ritmi da pandemia. L'emigrazione riprende a tassi del 6-7% all'anno. Scene da Repubblica di Weimar.

Il 5 Agosto 2002, per evitare il crollo finale del sistema creditizio, Battle impone un corralito, congelando tutti i conti correnti, e finendo di rovinare migliaia di famiglie. E ricorre al suo amico Bush, quando il FMI gli nega un prestito, facendosi versare, a titolo di prestito oneroso, miliardi di dollari, che riversa immediatamente sulle banche. Il debito estero subisce così un balzo, arrivando a 244 miliardi di pesos nel 2003, in crescita del 264% rispetto al valore di appena due anni prima, arrivando a pesare per il 77% del PIL, e quindi azzerando completamente decenni di politiche di austerità condotte dai militari e poi dai successivi Governi civili, politiche costate enormi sacrifici sociali al Paese.   

Il classico esempio da manuale di cosa NON si debba fare per affrontare una crisi di questo tipo. E nonostante tutto, Battle si salva ed arriva fino alla fine del suo mandato, grazie all'atteggiamento molto responsabile dell'opposizione parlamentare, FA incluso, che, pur criticandolo duramente per la sua stupidità congenita, stante il disastro economico che il Paese sta passando, gli approva rapidamente ed all'unanimità tutti i provvedimenti di urgenza che propone.

Arriva così alle elezioni del 2004 completamente sputtanato agli occhi di un Paese infuriato ed in preda al caos, e proiettando il suo sputtanamento anche sull'intero Partido Colorado. Ed inizia una storia completamente nuova per il Paese, con l’arrivo al potere del Frente Amplio, che corona in questo modo 33 anni di continua crescita.

Il resto della storia...alla prossima puntata.

1 commento:

Stefano ha detto...

compagni, a quando la seconda parte ? ;)

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