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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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martedì 5 giugno 2012

GOOD BYE, STATO SOCIALE! di Norberto Fragiacomo



GOOD BYE, STATO SOCIALE!
di Norberto Fragiacomo



La sai l’ultima sulla Fornero?
No, per carità… la ascolti, la leggi, e invece di ridere ti senti sopraffare da una rabbia impotente – perché questa donna minuscola, arcigna, intollerabilmente spocchiosa (e sempre circondata, nei suoi spostamenti, da un nugolo di pretoriani) è ormai assurta a immagine vivente del comitato d’affari presieduto da Mario Monti.
Nella recente trasferta trentina, Nostra Signora dei Licenziamenti ha annunciato, semmai residuassero dubbi (e/o speranze), che “il rigore non è terminato”, soggiungendo, severa, che uno stato sociale generoso non avremmo mai potuto permettercelo, perché fondato sul debito. Più che la solita propaganda sulla “equità tra le generazioni” (tradotta in italiano: miseria nera per tutti), ha impressionato il riferimento alla patrimoniale, che non è stata introdotta poiché “non serve solo imporre l’imposta senza trovare i risultati: sarebbe stato populista”.
Alla lezione della ministra hanno fatto eco, fuori dall’auditorium, le cariche degli opliti di Stato contro chi appariva intenzionato ad obiettare qualcosa: nel regno dei tecnici, le uniche critiche ammesse sono quelle avanzate da educati e signorili economisti durante i talk show.
“Populista”, dunque. Noi, che il populismo l’abbiamo in uggia, siamo stati certi sin dall’inizio che la patrimoniale non si sarebbe fatta, “né domani né mai [1].

Sia chiaro che le “difficoltà tecniche” – il motivo ufficialmente accampato da Monti e dai suoi – non c’entrano affatto: anche cambiare/stravolgere la Costituzione a tempi di record e con una maggioranza bulgara pareva un’impresa al di là delle capacità umane (anzi, italiane). Tuttavia è stato fatto, perché il “pareggio di bilancio” (seconda traduzione a beneficio del lettore: la sterilizzazione dello Stato, impossibilitato, d’ora in avanti, a spendere per i cittadini) era nei piani di lorsignori, la tassazione dei grandi patrimoni no. Chi non intende fare una cosa ha quasi sempre la scusa pronta – ma si tratta, per l’appunto, di una scusa, non di una giustificazione obiettiva.
Quello che Monti e i suoi mandanti vogliono è comunque piuttosto evidente: portarci in Grecia – il che non significa regalarci una vacanza di gruppo tra le rovine di Olimpia, bensì privatizzare scuola e sanità, cancellare la previdenza pubblica per sostituirla con quella privata (riservata a quanti possono permettersela), costringere i lavoratori, spogliati di ogni diritto, a vendersi per due soldi al mercato. “Vogliono”, ho scritto, ma avrei dovuto usare l’imperfetto, perché tra il dire e il fare, stavolta, non c’è di mezzo l’oceano degli interessi personali e degli scheletri berlusconiani, ma un meschino rigagnolo (il voto ossequioso di partiti corrotti e senza spina dorsale, PD in testa), facilissimo da attraversare.
Le pensioni sono state sconciate, l’articolo 18 tolto silenziosamente di mezzo, la flessibilità/precariato è diventata regola senza eccezioni – e tutto questo in poco più di un semestre.
Ora ci aspetta il piatto forte: la morte per asfissia degli ospedali e la disintegrazione dell’apparato pubblico (a questo serve la crociata per i licenziamenti nella P.A.: a distruggere, mica a risanare). Non sarà presentata come una scelta volontaria, ma come il frutto di necessità: quegli stessi “mercati” che, con l’aiuto fattivo di Napolitano, ci hanno propinato Mario Monti sanno bene che, oggidì, lo spread fa più paura dell’atomica. E quando saremo rimasti in mutande, a chi daremo la colpa, noi europei? Ma è chiaro, alla Germania – il palo che, illudendosi di aver parte del bottino, rampogna arrogantemente i passanti mentre nelle banche si ruba.
Molti si dicono sorpresi, oltre che sgomenti, dalla piega assunta dalla situazione; ma è colpa loro, anzi nostra, perché le premesse di quanto accade oggi, con una rapidità angosciante, erano state gettate almeno 20 anni or sono.
La nascita dell’Unione di Maastricht rispondeva a ben precise esigenze, sorte in seguito al rimescolamento, nel mondo e specialmente in Europa, delle carte geopolitiche. Non è affatto un caso che la nuova Europa abbia una “costituzione” esclusivamente economica, sia espansionista e votata all’euro, né che i suoi famosi tre pilastri (Comunità europee, politica estera e di sicurezza comune, cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale) siano tutt’al più lesene scolpite per abbellire una facciata disadorna. Il muro portante è, infatti, la tutela, o meglio la promozione della concorrenza a tutti i costi, di cui gli esclusivi beneficiari sono le lobby economico-finanziarie. E’ inutile distinguere tra banche corsare alla Goldman Sachs e multinazionali di seconda generazione: entrambe le categorie sfruttano la borsa come moltiplicatore dei rispettivi guadagni, e comunque oggi i soldi si fanno vendendo polizze assicurative, non producendo auto (ce ne sono fin troppe).
A partire dagli anni ’90, la legislazione comunitaria ha avuto un unico obiettivo: liberare i mercati dalla “tutela” (assai blanda) degli Stati nazional/assistenziali. Normative senza uscita hanno consegnato i servizi pubblici, anche quelli essenziali, all’iniziativa privata, e quando un Governo osava opporsi, ad esempio, alle delocalizzazioni, provando a scoraggiarle, interveniva la Corte di Giustizia, sancendo il pieno diritto degli imprenditori – quelli grandi – di fare ciò che desiderano (cfr. la sentenza Viking Line del 2007). Furbescamente venduto come un’ancora di salvezza, l’euro – moneta senza Stato e senza banca centrale – si è rivelato una camicia di forza capace di paralizzare gli Stati e, per loro tramite, le autonomie locali.
Se c’era qualcosa che non andava, ai padroni dell’economia finanziaria, era la lentezza del processo: quasi ogni giorno, sui giornali americani, si levavano alti lai contro le protezioni sociali europee, le normative in materia di licenziamenti, la permanenza di ammortizzatori sociali che permetterebbero ai lavoratori di “passare le mattine in riva al mare” anziché cercarsi un onesto lavoro da 60 ore a settimana.
Poi è successo il miracolo: è scoppiata la crisi, provocata dalla sete di guadagno di quegli stessi squali che, attualmente, preparano per noi “ricette” a base di austerità e degrado, e sguinzagliano in giro per il continente i loro supertecnici. Che quest’elite si ritrovi all’Hotel Bilderberg, su un panfilo dei Battenberg o nelle osterie di fuori porta è del tutto irrilevante: esistono, e per negarlo occorre essere ingenui o venduti. Esistono, ed hanno un programma preciso: regnare su moltitudini schiavizzate.   
La crisi europea è  niente altro che la continuazione delle politiche UE con altri mezzi, più rapidi ed efficaci.
Un grande sogno, quello dell’integrazione continentale, si è mutato in incubo.
I prossimi mesi ed anni promettono sofferenza e miseria – e, come stiamo vedendo in Italia (e in Grecia, Spagna ecc.) non si tratta di promesse al vento.
Fa specie, pertanto, che alcuni nostri politici dichiaratamente “di sinistra” agiscano come se nulla fosse, come se affogassimo nella bonaccia e tutto andasse per il verso giusto. La ridicola querelle sulla foto di Vasto lascia basiti: possibile che un Nichi Vendola non si renda conto che accostarsi al PD significa, a conti fatti, doverne scopiazzare la “politica”? Quanto varrebbe, in un Parlamento montiano, il 6% virtuale di SeL? Come si comporterebbero, i suoi rappresentanti, di fronte ad una nuova controriforma del lavoro? Voterebbero contro, per salvarsi l’anima? Proverebbero a rovesciare il tavolo, salvo accorgersi di non essere in grado di sollevarlo neppure di un millimetro? Chinerebbero il capo, perché “non c’è alternativa”, come fa la parolaia “sinistra” piddina?
Sia chiaro: le elezioni sono auspicabilissime, poiché consentono di coltivare l’illusione di mandare a casa Monti e Fornero – ma in questo quadro non possono essere risolutive. Mario Monti è solo un funzionario, ma ha la spalle ben coperte, e in ogni caso è sostituibile (Draghi, Montezemolo ecc.).
Ulteriori opzioni? Chi scrive ha già avanzato delle proposte, forse disperate – ma disperatissimo è lo stato in cui ci tocca languire.
L’inazione conduce inevitabilmente alla servitù, all’abbrutimento – di un tanto è opportuno tener conto, prima di prendere qualsivoglia decisione.
 
 
 
 

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