IL CONCETTO DI POTERE PER I CINESI
di Riccardo Achilli
Dalla fondazione della Cina attuale, cioè dal regno di
Qin Shi (221 a.c. - 206 a.c.) fino al ventesimo secolo, le monete in uso erano
circolari, con un foro quadrato nel mezzo. Nella simbologia del Tao, il cerchio
è il Cielo, il quadrato la Terra. Se accettiamo l'idea ovvia che una moneta è
un simbolo del potere politico ed economico, il fatto che il Potere sia stato,
per quasi tutta la storia cinese, associato ad una immagine di Assoluto, di
Universo nel suo insieme, dovrebbe farci riflettere profondamente sul
significato che i cinesi danno al potere, evitando quindi di assegnargli un
epiteto di assolutismo, sulla base dei nostri criteri
occidentali-illuministici.
A differenza di noi occidentali, abituati sin dai
tempi greco-romani ad associare il potere politico agli individui che lo
detengono (infatti nelle monete romane di epoca imperiale figurava sempre
l'effigie del volto dell'imperatore allora in carica) per il cinese il potere è
un concetto meno personale, più astratto, coincidente con un'idea di assoluto.
Se anche vi è un imperatore personale, o un Grande Leader, come Mao, egli
infatti altro non è che il fu-mu (padre e madre) in uno Stato concepito come
una grande famiglia, in cui i sudditi sono i figli che devono rispetto. Non
esiste il monarchismo individualizzato tipico della cultura occidentale, che
porta Luigi XIV ad affermare "l'Etat, c'est moi". Molto più
semplicemente, se la famiglia anagrafica è il microcosmo in cui l'individuo
vive la sua vita, la famiglia statuale è il suo macrocosmo, ed ingloba tutto
quanto. Per cui, esattamente come nella sua famiglia anagrafica, il cittadino
dovrà venerare l'autorità dei genitori e degli avi, nella famiglia statuale
egli dovrà obbedire agli ordini superiori dei suoi leader.
Da questo punto di vista, i concetti di
rappresentatività e di controllo popolare sull'operato del Governo, cari alla
democrazia liberale occidentale, sono semplicemente privi di senso per un
cinese. Che senso ha controllare o pretendere rappresentatività dai propri
genitori? Esattamente come in una famiglia, ogni individuo vive esclusivamente
in funzione del ruolo che occupa, ed il rispetto assoluto per le gerarchie e
per i ruoli diviene la base stessa che dà significato all'esistenza
individuale. Rieccheggia in pieno l'insegnamento di Confucio: come afferma uno
studioso di Confucio come Piero Corradini: "l'uomo potrà realizzare se
stesso e i suoi valori soltanto nella società ed il fine ultimo della vita
umana viene considerato in funzione dell'attività che ogni singolo svolge nella
sua posizione sociale che, pur se suscettibile di miglioramento, è sempre, al
momento, fissa e ben determinata."
Poiché il confucianesimo non elabora
una dottrina metafisica, la società sarà l'immagine dell'intero cosmo, ed il
ruolo disciplinato ed ordinato dell'individuo nella società è fondamentale
proprio perché corrisponde al suo ruolo nell'intero universo, e quindi al suo
stesso significato essenziale. Da questo punto di vista il significato di
"autoritarismo", nell'accezione di noi occidentali, è insensato. E'
forse autoritario un padre? Forse, ma comunque e sempre per il nostro bene.
A differenza di
ciò che si potrebbe pensare superficialmente, il confucianesimo non contempla
un meccanismo sociale rigido ed ingessato. Al contrario, per il suo studio, i
suoi meriti intellettuali, la sua devozione ed abnegazione assoluta alle
gerarchie ed agli interessi superiori dello Stato, l'individuo può migliorare,
evolvere, divenire una sorta di "santo laico", il "junren".
Da ciò, deriva che nella mentalità cinese la meritocrazia ha un ruolo molto più
forte che da noi. Il funzionario, la vera spina dorsale di una società che, per
mantenere la sua unità nonostante un
territorio sterminato e distanze geografiche siderali, nonostante centinaia di
etnie e religioni diverse, nonostante le pressioni disgregatrici esterne, si è
sempre affidata al ruolo accentratore, autoritario (e quindi unificante) della
burocrazia, viene selezionato, anche dai ceti contadini ed operai più poveri,
con esami severi. E questo sia in epoca imperiale che in epoca moderna. l'ambizione assume quindi un connotato
diverso da quello occidentale: non è la legittima volontà di dispiegare appieno
tutte le potenzialità dell'individuo, come la intendiamo noi, è bensì la
capacità dell'individuo di agire per il bene dell'intera collettività: per
Confucio l'uomo deve fare e "fare per niente". La pace e la
prosperità del popolo e del Paese si realizza soltanto se ciascuno compie
disinteressatamente il proprio dovere.
La stessa forma di ragionare dei cinesi è plasmata dal
metodo confuciano: a differenza dell'occidentale, che parte dal generale (la
teoria) per arrivare al particolare (l'applicazione pratica) il cinese parte da
un'immagine concreta per indurne una teoria generale. Ciò peraltro mi ricorda
alcuni episodi molto divertenti: durante il mio master, uno dei miei compagni
era cinese. Quando i tipici docenti italiani esponevano le classiche lezioni
cattedratiche di teoria generale, egli era solito interromperli chiedendo
"e allora? In pratica?" Facendoli imbestialire non poco.
Ciò però significa anche che il cinese, proprio per
l'abitudine a non ragionare in termini di schemi teorici generali, tende a non
utilizzare lo schema dialettico hegeliano: non arriva ad una sintesi come
negazione della negazione di una tesi. Al contrario, in ottemperanza al
principio confuciano dell'armonia, cercherà sempre il "giusto mezzo"
fra tesi ed antitesi, spesso arrivando ad una posizione che fa astrazione della
tesi e dell'antitesi iniziali. Lo stesso maoismo teorico è impregnato di questa
cultura (inconscia, ovviamente, perché ufficialmente il maoismo rigettava il
confucianesimo, in quanto dottrina socialmente tradizionalista e
conservatrice). Tutta l'elaborazione maoista sulle contraddizioni, per cui si
differenziano le contraddizioni fra popolo ed avversari di classe e le
contraddizioni interne al popolo, queste ultime gestibili anche in termini
tattici (si veda l'iniziale alleanza fra Mao ed il Kuomintang in funzione
anti-giapponese) esprime la ricerca di un punto mediano che in qualche modo
smussi la dialettica estrema fra tesi ed antitesi. Molto più consapevolmente,
la dirigenza comunista post-maoista ha
esplicitamente fatto riemergere
il confucianesimo dall'inconscio collettivo cinese, cui era stato confinato da
Mao, per farne la base dell'istruzione scolastica, sin dalle elementari.
Questa visione del potere, imperniata sul
collettivismo che prevale rispetto all'individualismo, sul familismo, sulla
costante ricerca del punto mediano di armonia sociale, comporta ovviamente due
aspetti, che noi occidentali, con la nostra mentalità, tendiamo a vedere in
modo denigratorio, se non addirittura ad utilizzare come sintomi di un presunto
"tracollo" imminente del sistema cinese: il paternalismo e la
corruzione. Il sistema di potere cinese è paternalista. Lo è sempre stato,
proprio perché è concepito come una famiglia. Non esistono però soltanto gli
aspetti negativi (scarsa libertà individuale, sacrifici individuali imposti
dallo Stato, come ad esempio quelli legati all'adesione a programmi
obbligatori, quali quello sul controllo delle nascite o altro, compressione
degli spazi per la contestazione e la critica, ecc.) Ha anche effetti positivi,
che costruiscono legami di comunità molto più solidi che da noi. In epoca
maoista, i cinesi erano organizzati per piccole comunità: la danwei (unità di
lavoro) nelle fabbriche, la comunità rurale nelle campagne: queste unità
comunitarie di base erano certo il luogo del controllo politico/ideologico del
partito, ma anche il luogo della solidarietà, del mutuo soccorso, dei servizi
sociali di base (poiché ogni danwei o comune rurale aveva la scuola,
l'ospedale, l'asilo, negozi, servizi, ecc.).
Ancora oggi, in nome di questo
paternalismo che noi occidentali esecriamo, ogni cittadino può andare alla
locale sezione del partito comunista per esporre problemi di vita quotidiana e
chiedere aiuto. Ogni funzionario di base del partito è tenuto ad assicurarsi
che i cittadini "siano felici". Fa parte dei suoi obblighi. Ora, nel
paradiso occidentale, faccio fatica a vedere il cittadino che si reca alla
locale sezione del PD o del PDL per lamentarsi di una bolletta che non riesce a
pagare, oppure un attivista di base di tali partiti che fa il giro del
quartiere per chiedere ai cittadini se sono felici o se hanno qualche angustia
che possa essere risolta dal partito.
Ancora oggi, le imprese occidentali che
investono in Cina sono stupite di sentirsi rivolgere, dai loro lavoratori
cinesi, richieste per avere un asilo-nido, una abitazione, il trasporto da casa
all'azienda, o la scuola per i figli. Per l'individualismo occidentale, è
invece normale regolare il rapporto fra lavoratore e datore di lavoro
esclusivamente sulla base di un salario monetario, che poi il lavoratore, nella
sua libertà, può spendere per mandare a scuola i figli oppure per ubriacarsi
all'osteria. Ciò fa sì che il senso di comunità, di solidarietà e di legame
interpersonale, in Occidente, si sia perso, segnando di fatto un arretramento
culturale rispetto al tanto vituperato paternalismo cinese. Con enormi danni,
ovviamente, per i più deboli, per gli oppressi, e anche per la stessa sinistra
politica, la cui malattia degenerativa dipende proprio dall'individualismo
crescente, che si è imposto dopo il declino della cultura del '68 (ed anzi,
tale cultura conteneva inconsapevolmente i germi di questo individualismo,
nella sua ricerca di libertà intesa come auto-realizzazione del Sè: con
l'invecchiamento e l'integrazione nel sistema della generazione del '68, tale germe
è diventato la pianta velenosa del rampantismo degli anni Ottanta).
Venendo al tema della corruzione, anche questo è
distorto, se visto con occhi occidentali. Intanto, per ciò che si è detto, il
fattore unificante fondamentale della Cina, che le ha permesso di rimanere
unita nonostante le enormi spinte centrifughe e centripete che avrebbero
facilmente potuto disintegrarla, è stata la burocrazia. La Cina è da sempre uno
Stato burocratico, dai madarini imperiali ai funzionari di partito odierni. La
burocrazia ha infatti unificato lo Stato, conferendogli autorità, stabilità,
legalità. Però la burocrazia è una classe che non si riproduce generando valore
aggiuntivo, poiché è esterna al ciclo di produzione. La sua forma di
riproduzione (in un sistema fondamentalmente meritocratico come quello cinese,
in cui si accede al funzionariato tramite esami) è, quindi, esattamente basata
sulla corruzione, come forma, da un lato, di sfruttamento delle classi
produttive, e dall'altro di affermazione del suo potere nella società. Potere
necessario a tenere insieme un Paese immenso e profondamente diversificato come
la Cina.
La corruzione è infatti esistita da sempre, era endemica nella Cina
imperiale come in quella attuale, e diversi episodi sanguinosi e radicali della
storia cinese, quelli cioè in cui l'armonia sociale confuciana si è
momentaneamente spezzata, possono essere interpretati anche (benché non
solamente) come necessarie fasi di lavacro sociale, nel momento in cui la
corruzione raggiungeva livelli oramai eccessivi e socialmente distruttivi. Ad
esempio, la fase di instabilità e violenza che va dalla rivolta del Loto Bianco
del 1774 alle rivolte degli Hui e dei Miao del 1873, una fase in cui le vittime
delle violenze furono il doppio rispetto ai morti della prima guerra mondiale,
fu legata anche all'eccessivo livello di corruzione della burocrazia. La stessa
Rivoluzione Culturale di Mao, con i suoi strascichi di violenza, fu anche un
modo per sovvertire le posizioni di potere acquisite da una burocrazia
corrotta. La strage quotidiana e silenziosa perpetrata dai vertici comunisti
attuali, mediante la condanna a morte di centinaia di funzionari e dirigenti di
partito accusati di corruzione, è la guerra che si sta combattendo oggi. In
sintesi, per quanto sia odioso, occorre riconoscere pragmaticamente che la
corruzione, in quanto forma di riproduzione sociale della mezza classe dei
burocrati, è un male necessario ed inevitabile in un Paese che per sua natura
può essere tenuto insieme proprio dalla burocrazia dello Stato. E che la storia
cinese ha elaborato sanguinosi anticorpi per ricondurre la corruzione entro
limiti fisiologici, quando diviene eccessiva e pericolosa per la stessa tenuta
dello Stato.
Queste brevi note possono quindi servire, mi auguro,
per contestualizzare le caratteristiche di un sistema politico/sociale che non
è né migliore né peggiore del nostro, e per far vedere in diversa luce le tante
sciocchezze dette sulla Cina, con le lenti di ingrandimento della nostra
cultura occidentale. Ci lamentiamo dell'autocrazia cinese? Però nelle nostre
società occidentali, per fasce crescenti della popolazione, sta venendo meno la
libertà sostanziale, quella cioè che ci libera dalle esigenze elementari della
sopravvivenza dignitosa, perché la nostra libertà è basata sull'individualismo,
seme del liberismo, mentre i cinesi ragionano in termini di comunità. Ci
lamentiamo del paternalismo del sistema politico cinese? Però, anche nelle fasi
economiche prospere, le nostre società sono caratterizzate dalla solitudine e
dall'emarginazione e comunque siamo schiacciati, come direbbe Marcuse, in una
unidimensionalità produttore/consumatore che non abbiamo scelto e che ci è
stata imposta. E poi è anche difficile accusare gli altri di paternalismo da
parte di una civiltà che ha prodotto Mussolini e Berlusconi. Ci lamentiamo
della corruzione del sistema burocratico cinese? Pur senza avere l'esigenza di
tenere unito, con la burocrazia, un Paese sterminato di un miliardo e mezzo di
abitanti, anche noi abbiamo una diffusione della corruzione non certo
invidiabile.
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