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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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mercoledì 17 ottobre 2012

LA COSTITUENTE AUTOCONVOCATA di Norberto Fragiacomo





LA COSTITUENTE AUTOCONVOCATA
di 
Norberto Fragiacomo  


Il governo che ruba ai poveri (aumento dell’IVA, tetto a deduzioni e detrazioni IRPEF, stretta sui permessi previsti dalla legge 104/92 ecc.) per dare ai ricchi si è eretto ad assemblea costituente: dopo aver fatto approvare, a tempo di record, la riscrittura dell’articolo 81, ci riprova adesso con il Titolo V della Costituzione, quello che regola i rapporti tra lo Stato e le Autonomie locali, “riconosciute”, si badi bene, dalla Repubblica (art. 5). Un’altra volata? Vista la capacità di “resistenza” dimostrata, nei mesi scorsi, dal Parlamento, presumiamo che tutto filerà liscio, e degli enti territoriali, di qui a poco, residuerà solo un pallido ricordo.

Certo, l’Italia è amministrata male, ma ad ogni livello, al centro come in periferia, e cancellare (di fatto) le autonomie significa consegnare tutto il potere al direttorio che, per volontà degli investitori esteri, sta mutando la fisionomia del Paese. Abbiamo intuito da tempo l’obiettivo perseguito dalla banda Monti: svendere l’industria ed il patrimonio statali e “americanizzare” la penisola, cioè smontare il welfare pezzo per pezzo, privatizzando ogni cosa, diritti compresi. La volontà popolare (leggi: esito dei referendum sull’acqua) è un ronzio a stento percepibile, di cui nessuno tiene conto: attraverso lo spread comandano la crisi, spacciata per una colpa collettiva, e l’esigenza di ridurre un debito pubblico che, malgrado le terapie intensive, sta opportunamente aumentando. Ci aspetta il famigerato fiscal compact, sinonimo di miseria nera, e in questa congiuntura la scelta di annichilire ogni contropotere appare pienamente funzionale agli scopi del governo.

Ma quali modificazioni apporta, in sostanza, la riforma al testo attualmente vigente? Per scoprirlo, diffidando delle semplificazioni giornalistiche, siamo andati a vedere il sito Leggi Oggi.it, che pubblica, con commenti, una versione del disegno di legge costituzionale (la stesura definitiva? Parrebbe di no: nel primo comma dell’articolo 117 c’è un “oppure”, tra due formulazioni più o meno analoghe, che è indice di provvisorietà).   
Il nuovo articolo 100 introduce il controllo preventivo di legittimità sugli atti della Regione e quello successivo sulla gestione dei bilanci, investendone la Corte dei Conti (nello specifico, la sua Sezione regionale di Controllo). Si tratta di un’innovazione particolarmente rilevante, che rafforza – rispetto non solo alla visione pseudofederale accolta nel 2001, ma anche alla soluzione prescelta dall’Assemblea Costituente – la vigilanza delle istituzioni centrali sull’Ente regionale. La norma, e le logiche che la ispirano, fanno in qualche modo da premessa agli interventi successivi.

La materia del contendere è, evidentemente, la titolarità dei poteri di spesa: non sorprende, pertanto, che ad essere interessate dalla riforma siano pure le Regioni a statuto speciale, la cui autonomia “in materia finanziaria si svolge nel rispetto dell’equilibrio dei bilanci econcorrendo con lo Stato e con gli altri enti territoriali ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea (art. 116)” – un elegante giro di parole per dire che detta autonomia viene soppressa, perché incompatibile con il divieto di indebitarsi (art. 81) e le letterine BCE trasfuse in trattati capestro. Tanto per ribadire il concetto, l’articolo 117primo comma, spalanca di nuovo le porte all’interesse nazionale – invero, solo formalmente espunto dalla legge costituzionale 3/2001 – ribattezzato “unità giuridica ed economica della Repubblica”. Non inganni l’endiadi: ciò che sta cuore al governo sono i risparmi, che verranno garantiti da leggi dello Stato. Un interesse nazionale così pervasivo e, in fondo, discrezionale rappresenta lo strumento ad hoc per disinnescare futuri conflitti tra la capitale e la provincia: basterà un richiamo all’unità per mettere a tacere le regioni.

Coerentemente con questa impostazione si estende a dismisura l’ambito della legislazione esclusiva statale (art. 117, secondo comma): non sarà più consentito alle regioni intrattenere rapporti internazionali, neppure con i territori contermini (l’esperienza pre-Titolo V di Alpe Adria non sarebbe quindi ripetibile), mentre, così come avevamo previsto, si riforma la coppia armonizzazione dei bilanci pubblici-coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, che l’aggiustamento primaverile (l. cost. 1/2012) aveva temporaneamente separato. Tra unità, coordinamenti e controlli occhiuti la supremazia statale diventa a prova di bomba, ma l’estemporaneo legislatore non si ferma qui, e mette in saccoccia anche quelle materie (norme generali sul procedimento amministrativo, livelli minimi generali di semplificazione amministrativa) che, non essendo menzionate nel testo in vigore, avevano generato contenzioso. Maggiori preoccupazioni desta, in chi scrive, l’attribuzione in esclusiva, allo Stato, di “disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” (lett. g), “porti marittimi e aeroporti civili, di interesse nazionale, grandi reti di trasporto” (lett. t) e “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” (lett. v). Per quanto riguarda il pubblico impiego, si va verso un appiattimento verso il basso, che non terrà conto delle particolarità regionali: sarà da vedere se residuerà una competenza in capo alle Regioni autonome (il Friuli Venezia Giulia ha, ad esempio, potestà primaria in materia), costrette a passare sotto le forche caudine dell’articolo 116 di nuovo conio; il riferimento agli aeroporti potrebbe preludere all’accorpamento/cancellazione di scali (es.: Ronchi dei Legionari, vicino Trieste), con pesanti conseguenze sull’utenza ed il territorio, mentre una gestione accentrata delle reti di trasporto peggiorerà situazioni già oggi al limite dell’insostenibilità (da triestino, so bene che l’Italia ferroviaria termina a Mestre, e i pendolari non saranno certo beneficiati da uno Stato micragnoso e senza soldi). Di cattivo augurio, poi, quel richiamo alla produzione d’energia: vorrà dire che si impianteranno rigassificatori senza tener conto della volontà espressa dalle popolazioni, e magari si farà retromarcia sul nucleare, calpestando gli esiti di unreferendum? Forse no, ma il sospetto è legittimo, vista l’allergia del governo c.d. “tecnico” alla sovranità popolare.

Novità anche a proposito della legislazione concorrente, che sarà esercitata dalle regioni all’interno di una cornice piuttosto angusta: mentre prima allo Stato spettava “la determinazione dei principi fondamentali”, ora si precisa che lo “Stato, nelle medesime materie, disciplina i profili funzionali all’unità giuridica ed economica (rieccola!) della Repubblica stabilendo, se necessario, un termine non inferiore a centoventi giorni per l’adeguamento della legislazione regionale”. Viste le circostanze, ha ancora senso parlare di legislazione concorrente, o faremmo meglio a definirla (meramente) attuativa? Fatto sta che le regioni perdono i porti locali ed anche il turismo, che ben difficilmente verrà sviluppato da un’autorità centrale distante e poco consapevole di problemi e peculiarità del territorio.
Il quarto comma è una norma di chiusura, nel senso che chiude i conti con la c.d.competenza residuale delle regioni, che viene ricompresa in quella concorrente; il sestoamplia la potestà regolamentare dello Stato centrale. Si costituzionalizza poi l’esperienza dellaConferenza permanente Stato-regioni, che sarà chiamata, in pratica, a dare il proprio assenso alle decisioni governative.
Fin qui le modifiche di sostanza, che non concernono l’articolo 119, già rinnovato dalla riforma di aprile. Invariato risulta pure l’articolo 114 che, riscritto nel 2001 in un’ottica “federale”, sopravvive come una suggestiva rovina, o una beffa alle istanze autonomiste: dopo l’entrata in vigore della legge, mettere sullo stesso piano Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato – come elementi costitutivi della Repubblica, dotati di pari dignità - sarà lecito solo ai retori più impudenti (che in Italia, peraltro, mai sono mancati né mancheranno).

Due parole di conclusione. La riforma del 2001 è stata fatta in fretta, per motivi politico-elettorali, e la sua attuazione si è rivelata problematica – quella odierna risolve le difficoltà tagliando con l’accetta, e svuotando di significato la previsione dell’articolo 5, ad esclusivo vantaggio dell’autorità centrale. Regioni e Comuni vengono sterilizzati non perché covo di ladroni (le vicende Fiorito, Formigoni ecc. valgono al più come casus belli, convenientemente enfatizzato dai media) o per il loro cattivo funzionamento, ma per il semplice fatto che rappresentano ostacoli sulla strada della normalizzazione economico-finanziaria imposta dalla troika. Punto.
Questa controriforma in senso centralista avrà però un risvolto positivo: il voto favorevole e senza tentennamenti che arriverà dai gruppi parlamentari del PD - si accettano scommesse - farà cadere la maschera di sinistra indossata da Pierluigi Bersani in vista di primarie (truffaldine per l’elettorato progressista) che solo assumendo pose “comuniste” può sperare di aggiudicarsi.
L’eterno alternarsi sulla scena di questi arlecchini ci ha proprio stufato: visto che non hanno il coraggio di opporsi a politiche distruttive se ne vadano tutti in vacanza in Africa, e ci risparmino questo desolante spettacolo pieno di stranezza e di furia, che non significa niente.



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