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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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giovedì 25 ottobre 2012

PARTITO SOCIALISTA BERSANIANO di Norberto Fragiacomo




PARTITO SOCIALISTA BERSANIANO
di
Norberto Fragiacomo

La madre di tutte le primarie si approssima, e i condottieri del Partito Socialista (liberale, guai dimenticare l’aggettivo!) arringano la truppa via internet, incitandola a non “disertare” (sic!) e a costituire comitati, provincia per provincia, di appoggio a Pierluigi Bersani.
Di primo acchito saremmo tentati di definirla una scelta singolare: unico tra i tre partiti (PD, SeL e appunto PSI) del centro-sinistra in embrione, quello socialista non ha indicato nemmeno un candidato alla carica di premier (in pectore), respingendo un invito in tal senso formulato dalla sinistra interna; d’altra parte, i vertici non hanno manco preso in considerazione l’ipotesi di sostenere Valdo Spini, socialista doc, intenzionato a scendere in pista. Chi non gioca – viene da dire – neppure dovrebbe schierarsi, perché è sgradevole che il membro di un’alleanza parteggi per un sodale (il PD) anziché per un altro (SeL); soprattutto, in mancanza di un impegno diretto, una dirigenza che pretende di essere “liberale” dovrebbe avere il buon gusto di lasciar liberi gli iscritti di esprimere le proprie preferenze, votando, a seconda delle opinioni e dei gusti, Vendola, Bersani, Renzi o la coraggiosa Puppato.
Perché Bersani, allora? Perché non far competere Riccardo Nencini, o un altro big del partito? La risposta alla seconda questione è facilissima: per non certificare un’imbarazzante debolezza, proprio nel momento in cui, grazie al “patto tripartito”, il PSI gode della benevolenza dei media, e va spesso in tivù (ma, secondo i sondaggi, non si schioda dall’1%). La prima domanda è quasi altrettanto semplice, per chi abbia chiara la situazione attuale e non si lasci fuorviare da propaganda e chiacchiere. Il segretario del PD, ex comunista, sta combattendo una battaglia per la sopravvivenza: se perde è politicamente finito, e la sua creatura si disgrega. Matteo Renzi è una minaccia seria: in caso di trionfo, non farà prigionieri, e modellerà il partito a sua immagine e somiglianza. Più che un nuovo Berlusconi, è un blairista spregiudicato e (forse) fuori tempo massimo, che preferisce i simposi finanziari al dialogo col sindacato; i suoi punti di forza sono la battuta sferzante, che conquista l’elettorato “di sinistra” più superficiale, e la capacità di attrarre i delusi del centro-destra, dai quali, a differenza di Bersani e compagnia, non viene percepito come un alieno. Per contenere la sua avanzata, il segretario ha in mano una sola carta: quella della svolta – anzi, del ritorno – a sinistra. Per ora, la sta giocando decentemente, opponendosi a parole alle più recenti porcate liberiste del Governo Monti: la richiesta di “cambiare marcia su tasse, scuola ed esodati” (da: Il Piccolo del 24 ottobre) è ad acta. Dicendo “qualcosa di sinistra”, Pierluigi Bersani corteggia una base sfiduciata, ed al contempo taglia l’erba sotto i piedi di Vendola, che rischia di essere il grande sconfitto delle primarie, falciato da una riedizione del voto utile.
Non crediamo di sbagliare, però, predicendo che il “neocomunismo” dell’ex presidente emiliano durerà fino alla sera del 2 dicembre (o del 25 novembre, se riuscisse, per miracolo, ad imporsi al primo turno): quando dalle parole toccherà passare ai fatti, cioè ad affossare una manovra, a contraddire Napolitano o a fronteggiare l’onda spread, è probabile che il buon Pierluigi ingrani la retromarcia, biascicando, al solito, “non c’è alternativa, noi siamo responsabili ecc.”. Se uno il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare, e negli ultimi mesi (anni?) gli eredi del comunismo italiano confluiti nel PD hanno mostrato di non averne neppure un briciolo, né una visione alternativa al liberismo imperante. Insomma, prima arrivano le primarie e meglio è: un cozzo novembrino con la realtà sarebbe fatale al segretario-equilibrista.
Anche Nencini spera che il tempo passi in fretta, e che i mercati non si mettano di traverso. Investendo poco o nulla, può ottenere parecchio, cioè una manciata di deputati e senatori – e tutto questo senza assumersi la responsabilità di una linea politica. L’appoggio a Bersani, garante dell’intesa, non implica affatto uno slittamento a sinistra dei socialisti “liberali”: l’assessore toscano ha mangiato la foglia e, un attimo prima di annunciare la costituzione dei famosi comitati (19 ottobre), ha dichiarato testualmente che “sarebbe un errore rifiutare il confronto con i partiti cattolici che hanno contribuito ad aprire una pagina nuova in questa Italia. Di Pietro non è in questa alleanza, non bisogna escludere che domani Casini possa farne parte (…) Io lavoro a questa ipotesi da tre anni e mezzo, è ancora oggi valida, anzi io ritengo che sia la strada maestra (15 ottobre)”.
Secondo Nencini, dunque, la rottura con l’UDC è una mossa tattica: ridimensionato Nichi Vendola e respinto l’assalto di Renzi, Bersani tornerà sui suoi passi e, dopo mesi di mugugni e voti positivi in Parlamento, sarà pronto ad assicurare, in aprile, il rispetto di quell’agenda Monti che l’Uomo del Colle - a Roma e in trasferta - difende a corpo morto, neanche fosse la Costituzione.
L’auspicio di Riccardo Nencini è il timore di chi scrive, e la ragione per cui, di qui a un mese, risparmierò un paio di euro.
Abbigliato con un costume d’antan Bersani è convinto di poter gabbare il suo elettorato; per adesso ha gabbato Vendola, costretto, per galvanizzare se stesso e i suoi, a parafrasare Paolo Ferrero stando sul pulpito sbagliato. Nel frattempo, il presunto tecnico al governo porta avanti la “distruttiva” (parola di Zingales) missione assegnatagli.
Solo piazze in ebollizione, ormai, possono mutare il corso degli eventi.


Trieste, 24 ottobre 2012




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