di Riccardo Achilli
La centralità
della Germania negli scacchieri europei dei prossimi anni impone una
preliminare, ed ovviamente provvisoria, analisi del candidato ufficiale
dell'Spd alle prossime elezioni tedesche, ovvero Peer Steinbrück. Economista
competente, esponente della destra interna all'Spd, Ministro delle Finanze ai
tempi della Grosse Koalition di Schroeder, spesso accreditato di dichiarazioni
ufficiali favorevoli al rigore e pilota
dei primi interventi rigoristi all'inizio della grande crisi nel 2008, è
considerato l'uomo con le maggiori chance di sconfiggere la Merkel per la sua
"presa" sull'elettorato centrista, anche se nei sondaggi di
popolarità fra i due vi è un abisso (la Merkel viene accreditata del 50% del
gradimento come prossimo cancelliere, a fronte del 36% di Steinbrück).
Descritto come uno stratega astuto, dalla dialettica sovente aggressiva e
caustica (definì la Germania della Merkel come "un idillio
piccolo-borghese avulso dalla realtà"). E' alla sua prima vera esperienza
in una campagna elettorale, per cui il suo carisma di leader è ancora da
mettere alla prova.
Non appena
investito della candidatura, Steinbrück si è pronunciato a favore di una più
cogente regolamentazione del sistema finanziario, di forme di mutualizzazione
del debito, di un salario minimo garantito decente, del rafforzamento della
imposizione patrimoniale e del potenziamento della sanità pubblica, oltre che
dell'opportunità di concedere una dilazione sui tempi del piano di rientro dal
debito della Grecia. Naturalmente, la sua grande sfida è quella di tenere il
suo elettorato centrista, superando la sfiducia dell'elettorato di sinistra. In
questo senso, in un Paese come la Germania, parlare di eurobonds veri e propri,di
mutualizzazione del debito pubblico in forma stretta, è è al limite del
suicidio politico. Su tale tema, c'è da giurarci, il neo candidato dell'Spd
sarà molto molto prudente. Infatti, secondo Quentin Peel, corrispondente dalla
Germania del Financial Times, l neocandidato socialdemocratico «si è espresso
per l’introduzione di una qualche forma di condivisione del debito
dell’eurozona, anche se solo a patto di forti garanzie sul rigore dei conti
pubblici dei paesi beneficiari». E ancora, «gli eurobond non rientreranno di
certo tra i temi della campagna elettorale», secondo Tobias Piller, del
Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Per quanto sopra,
è pressoché sicuro che, una volta al potere, Steinbruck proporrà interventi
progressisti rivolti primariamente alla Germania (un pò come Hollande) mentre
in materia europea, quasi sicuramente, non proporrà gli eurobonds (anche perché
non ci sono nemmeno le condizioni di unificazione politica europea per farlo)
mentre potrebbe, probabilmente, riproporre il redemption fund. Non a caso, tale
strumento è considerato alternativo agli eurobonds nella risoluzione finale del
PSE; inoltre, lo stesso Steinbrück ha più volte dichiarato di ritenere
"ingenua" ogni ipotesi di revisione dei trattati europei: il bello è
che, mentre gli eurobond sono incompatibili con il fiscal compact, il
redemption fund non richiede alcuna modifica dei trattati. Infine, il
redemption fund piace molto proprio alla destre dell'Spd cui appartiene il
Nosrto. Tale strumento consiste, sinteticamente, nel conferimento ad un fondo
comune di tutti i debiti nazionali eccedenti il 60% del PIL. Tale fondo è
garantito dal patrimonio pubblico e da una quota della fiscalità dei Paesi
aderenti, ed emette obbligazioni a 20 anni per finanziarsi. I Paesi membri sono
quindi tenuti a versare annualmente una quota al fondo, pari ad un ventesimo
della componente-capitale del debito nazionale conferito, più la quota di
interessi sui bond del fondo afferente al debito nazionale conferito.
Tale strumento
NON comporta quindi alcuna reale mutualizzazione dei debiti nazionali, NON
elimina la folle cadenza di riduzione dei debiti pubblici nazionali prevista
dal fiscal compact, NON consente di recuperare un utilizzo anticiclico della
spesa pubblica, e SOLTANTO IN TEORIA E NEL BREVE PERIODO riduce di qualche
decimale il costo del rendimento dei titoli pubblici dei Paesi più indebitati.
Infatti, tale riduzione dipende dalla credibilità di mercato dei titoli emessi
dal redemption fund stesso. Credibilità che è legata alla capacità stessa di
rispetto annuale del piano di rimborso al fondo di ogni Stato membro: Guzzini,
per Micromega, calcola che ciò comporterebbe, per l'Italia, un onere pari al 6%
del PIL ogni anno (50 miliardi/anno per
il rimborso della quota capitale, ed altri 40 per la quota interessi). Onere
che, ovviamente, strangolerebbe ogni possibilità di ripresa economica
consistente, e quindi impedirebbe un miglioramento dei saldi di finanza
pubblica (che sono endogeni al ciclo) e di conseguenza renderebbe non credibile
il percorso di riduzione del debito/PIL nazionale. Scaricandosi negativamente
sulla credibilità dei bonds emessi dal redemption fund, e quindi sui loro
rendimenti. Inoltre, la quota di debito pubblico non eccedente il 60% del PIL
rimarrebbe a totale carico dello Stato, e, divenendo debito subordinato
rispetto a quello privilegiato del redemption fund, finirebbe inevitabilmente
per pagare rendimenti più alti. Sempre Guzzini prevede che, per l'Italia,
l'onere complessivo dei costi pubblici necessari all'appartenenza al redemption
fund sia pari al 10% del PIL ogni anno. Forse il calcolo è troppo pessimistico,
però non vi è dubbio che il redemption fund appaia perlopiù come uno strumento
di rafforzamento del fiscal compact (e delle garanzie di rimborso per i creditori esteri dei debiti sovrani) che peraltro ne
irrigidirebbe anche i vincoli, posto che il patrimonio pubblico dei Paesi
membri e una quota del loro gettito fiscale rimarrebbero congelati come
garanzia del fondo. I socialdemocratici tedeschi, spesso entusiasti sostenitori
del redemption fund (perchè ai loro occhi rappresenta l'uovo di Colombo per
mettere insieme elettorato centrista e progressista) dovrebbero invece
inorridire al pensiero che tale strumento è nato da una commissione di saggi
nominata dalla Merkel!
La stessa
dichiarazione di Steinbrück a favore di una dilazione dei tempi del piano di
rientro greco è in realtà al di sotto di ciò di cui vi sarebbe esigenza. Egli stesso afferma che
la Grecia non potrà più rifinanziare sui mercati il proprio debito pubblico per
almeno altri 7-8anni, per cui certo non è con un pò di tempo in più che si può
rimediare ad un default “de facto”. In realtà, i socialdemocratici tedeschi
capiscono che la questione della dilazione dei tempi è soprattutto politica, e
non economica: serve per evitare la caduta del Governo-Samaras, fornendogli
qualcosa per placare la crescente inquietudine dei suoi alleati di Sinistra
Democratica. Che la questione stia in tali termini, ovviamente, lo sa anche il
centro-destra, per cui l'intransigenza su tale punto mostrata da ampi settori
della Cdu e dei liberali è indicativa della considerazione, dietro le parole
ufficiali, secondo cui una eventuale uscita della Gracei dall'euro, dopo una
nuova crisi di Governo, non sarebbe poi una tragedia, atteso che le banche
tedesche si sono già liberate di quasi tutti i titoli greci detenuti, e che la
probabilità di un effetto-domino su altri PIIGS di una “Grexit” non è valutata
come molto elevata. I socialdemocratici, al contrario, intuiscono che una soluzione
di uscita della Grecia dall'euro, probabilmente, accentuerebbe le spinte
centrifughe degli altri PIIGS in modo consistente, e cercano quindi una strada,
inutile dal punto di vista sostanziale, ma politicamnete spendibile, per
evitare una caduta di Samaras. Dopodiché, però, una volta evitata la caduta di
Samaras, non vi è in Steinbrück una idea precisa di cosa fare con la Grecia,
perché il suo rifiuto di modificare i trattati ed il fiscal compact impedisce
di trovare soluzioni strutturali.
Francamente, una
sinistra con responsabilità di governo che voglia realmente dare un senso allo
slogan "l'Europa di cui abbiamo bisogno" di cui alla recente
dichiarazione del PSE dovrebbe avere il coraggio di rimettere in discussione i
trattati europei, proprio perché senza questo passo le accuse di neoliberismo
mosse all'attuale gestione europea della crisi diventerebbero totalmente prive
di qualsiasi significato concreto. Chi scrive non vuole proporre "sic et
simpliciter" la mutualizzazione del debito e gli eurobond. E' chiaro
infatti che tale soluzione richiede un percorso di unificazione politica, di
democratizzazione delle istituzioni europee, ancora di là da venire, nelle
intenzioni stesse di parte rilevante delle opinioni pubbliche nazionali. Però
esistono anche soluzioni intermedie:
sempre chi scrive ha recentemente proposto una revisione del fiscal
compact che comporti cadenze temporali obbligatorie del rimborso del solo
debito estero, lasciando alla discrezione delle Autorità nazionali la gestione
del debito con residenti; ciò consentirebbe di ridurre lo spread (perché i
mercati assegnerebbero una maggiore probabilità di successo ad un piano di
rientro del solo debito estero, anziché del debito totale, poiché quest'ultimo
comporta effetti recessivi così gravi, e quindi impatti negativi così ampi
sulla finaza pubblica, da risultare poco affidabile) e di recuperare qualche
margine di manovra sulla spesa pubblica per cercare di far ripartire la
crescita. Per approfondimenti su tale mia proposta, cfr. http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2012/08/il-punto-di-equilibrio-fra-rigore-e.html
Ci sono anche
altre possibilità, ad esempio i cosiddetti stability bonds, ovvero titoli di
Stato europei, denominati anche “blue bonds”, da far emettere da un’entità
europea per rimpiazzare le aste dei titoli di Stato nazionali e garantire i
diversi debiti pubblici nazionali fino al 60% del loro PIL. I singoli Stati
rifinanzierebbero, in ogni caso, con emissioni di titoli di Stato puramente
nazionali (definiti come “red bonds”), il proprio debito pubblico per la quota
che oltrepassa il 60% del PIL. In questo modo, si invertirebbero i privilegi di
debito previsti dal redemption fund: il debito subordinato, suscettibile di
pagare maggiori rendimenti, sarebbe quello eccedente il 60% del PIL, creando in
questo modo un incentivo, per gli Stati membri, a ridurre rapidamente l'extra
debito (e così venendo incontro anche ai fautori del rigore). Tale soluzione
potrebbe essere abbinata all'elevazione dell'asticella dell'extra-debito dal
60% del PIL al 100% del PIL, poiché è di tutta evidenza che il debito pubblico
diviene pericoloso, anche in termini di psicologia degli investitori, soltanto
quando supera la capacità di creazione di ricchezza necessaria a ripagarlo.
Quanto alla
proposta di regolamentazione dei mercati finanziari di Steinbrück,
fondamentalmente esistono due filosofie per attuarla. Una filosofia è basata
sulla stabilizzazione dei rischi, e prevede strumenti di rafforzamento del
capitale di vigilanza anche tramite la creazione di riserve patrimoniali
bancarie più consistenti nelle fasi di crescita economica, di monitoraggio ed
allarme dell'insorgere di rischi sistemici, di separazione delle attività
commerciali e di negoziazione finanziarie
delle banche (con sistemi come il Glass-Steagall oppure con il divieto
di utilizzare i depositi della clientela per finanziare attività speculative
nell'interesse dei soci e dei dirigenti della banca, come prevede il
"Volcker Rule"), di proibizione di alcune attività (ad esempio, il
divieto per le vendite allo scoperto "nude", la proibizione delle
attività para-creditizie effettuate da soggetti non bancari, ecc.).
Un'altra
filosofia è più, per così dire, "populista", nell'accezione positiva
del termine: punta il dito sulla necessità di implementare strumenti di
protezione del piccolo risparmiatore che investe sui mercati, sull'esigenza di
ridurre i bonus ai dirigenti di banche e società finanziarie basati
sull'andamento dei titoli intermediati, sull'introduzione di imposte, come la
Tobin Tax, sulle transazioni finanziarie a scopo speculativo.
Sembra che la
proposta di Steinbrück stia prendendo entrambe le strade, prevedendo un fondo per
i fallimenti bancari alimentato dalle banche stesse, una riproposizione del
Glass-Steagall Act, ma anche restrizioni per i bonus degli amministratori delle banche. Con il rischio di creare una riforma troppo grande, troppo ampia ed ambiziosa, la cui attuazione sarebbe quindi difficile e lenta, e che potrebbe non essere realizzata nell'arco della legislatura, rischiando di essere cancellata da un successore di diverso colore politico, un pò come rischia di finire il Dodd-Frank Act di Obama (ovviamente sempre nel caso in cui la Spd vinca le elezioni, caso piuttosto difficile).
Una cosa però è sicura: una regolamentazione dei
mercati finanziari che non coinvolga anche piazze finanziarie strategiche come
la Svizzera, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, il Giappone, rischia di
tradursi in un fallimento: l'asimmetria regolamentare fra le varie piazze
finanziarie non farebbe altro che trasferire flussi di investimento dalla
piazza più regolamentata a quelle più deregolamentate. Da questo punto di
vista, è preferibile una piccola riforma, con obiettivi limitati ma ben
prioritarizzati, che possa essere "digerita" da tutti, piuttosto che
una riforma troppo ampia ed ambiziosa, che sarebbe rigettata dalle controparti
esterne all'area-euro. Sembra invece, purtroppo, almeno dalle prime
esternazioni, che i propositi di Steinbrück siano a favore di una riforma
omni-comprensiva, che vada dai bonus ai manager delle banche fino alla
separazione fra bache commerciali e di investimento, passando per l'abolizione
del segreto bancario in Svizzera. Una simile impostazione, se confermata,
sarebbe il modo migliore per fallire e quindi favorire i mercati finanziari.
Rimane in
sostanza una impressione generale di preoccupazione per le prime mosse del neo
candidato dell'Spd. Dichiarare che non farà mai alcuna alleanza con la Merkel,
come ha fatto Steinbrück ieri, rimane un proposito meramente elettoralistico,
se non c'è un cambiamento sostanziale, e non solo apparente, di politiche. E
rimane il rammarico per il non vedere una alleanza Spd-Grünen-Linke che, stando
ai sondaggi, raggiungerebbe circa il 48-49%, e sarebbe quindi ad un soffio
dalla maggioranza assoluta. Certo è colpa anche della Linke, troppo divisa al
suo interno e spesso aprioristicamente ostile all'Spd (che in fondo non è mica
come il PD nostrano, poiché la sua ala destra non esprime mica posizioni
socialmente conservatrici, economicamente puramente liberistiche, come invece
fanno le componenti centriste del PD). Però l'Spd dovrebbe interrogarsi su una
certa mancanza di coraggio interno: con tutto il rispetto per le sue esigenze
familiari, il momento per candidarsi, per Gabriel, era adesso. L'atteggiamento
tatticistico di risparmiarsi una candidatura quasi sicuramente destinata alla
sconfitta può servire alla carriera di Gabriel, così come l'aver favorito un
candidato teoricamente ben disposto a fare grandi coalizioni come Steinbrück, può servire ai fini di
potere del vertice dell'Spd, a priori convinto di non poter vincere e governare
senza il centro destra (e quindi caratterizzato da un pò di disfattismo, a dire
il vero). Ma non serve a noi.
Quello che
personalmente auspico di sentir dire a Steinbrück ai cittadini tedeschi, è che
la Germania stessa non può mantenere il suo benessere nel medio periodo se
l'arco mediterraneo della Ue non si salva. E non soltanto per fattori meramente
economici (l'estinzione di mercati di esportazione fondamentali per la stessa
Germania, il crollo finale dell'intero sistema creditizio europeo, che
coinvolgerebbe anche le banche tedesche, facendo tracollare anche l'industria,
stanti i peculiari legami banca/industria tipici dell'economia germanica,
l'eventualità di dover competere con economie in grado, dopo la recessione da
fuoriuscita dall'euro, di fare svalutazioni competitive del loro export verso i
mercati tedeschi, senza oltretutto dover nemmeno pagare i costi di trasporto
verso i mercati tedeschi che pagano altre economie emergenti). Ma anche per
motivi molto più semplici: l'Europa centro settentrionale diverrebbe una sorta
di fortino assediato da decine di milioni di poveri che premerebbero alle sue
frontiere per emigrare. Senza la barriera naturale del Mediterraneo che oggi
frena in qualche modo l'accesso dei poveri dell'Africa, e senza
Paesi-cuscinetto (come la stessa Italia) sufficientemente ricchi da trattenere
una parte dell'immigrazione, senza farla arrivare alle frontiere
tedesche.
Da questo punto di vista, sarebbe bene
che la sinistra dei Paesi mediterranei cercasse di fare rete, per influenzare
in forma coordinata, all'interno dei partiti del Parlamento Europeo cui
aderiscono le singole realtà nazionali, e un manifesto della “sinistra
mediterranea”, la linea di politica europea di di Steinbrück (e quella di
Hollande, che convergerà sicuramente con quella del leader tedesco) in modo da
darne un taglio più orientato verso forme di risoluzione della crisi del debito
sovrano più efficaci, che superino i piccoli egoismi nazionali, in nome di una
effettiva gestione maggiormente collettiva dei debiti sovrani, e di una
drastica revisione dei trattati europei che stanno aggravando la crisi stessa,
anziché risolverla.
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