CONTRO LA DERIVA DELLA CGIL, PER UN SINDACATO CONFLITTUALE
a cura di Anna Lami
a cura di Anna Lami
In vista dell’assemblea della
Rete28Aprile-Opposizione Cgil che si svolgerà sabato 28 giugno a Roma, abbiamo
intervistato Sergio Bellavita, dirigente nazionale della Fiom.
E’ stato firmato l’accordo sulla rappresentanza
e democrazia tra Confindustria Cgil Cisl e Uil, successivamente sottoscritto
anche dall’Ugl. Il gruppo dirigente Fiom non solo non si è opposto ma ne ha
dato un giudizio sostanzialmente positivo. La valutazione della Rete 28 Aprile
è invece molto negativa, ci puoi argomentare i principali punti di disaccordo
tra voi e la maggioranza Fiom?
E' riduttivo parlare di
accordo negativo, con quell'intesa si instaura un vero e proprio regime
sindacale. Un regime riservato esclusivamente al sindacalismo complice ,
destinato cioè, a praticare la contrattazione di restituzione, di riduzione di
salari e diritti. In continuità peraltro con quanto previsto dall'accordo del
28 giugno 2011 e dall'articolo 8 di Sacconi, le deroghe cioè al Contratto ed
alla legge. In sostanza serve ad applicare sul terreno sociale le politiche
d'austerità. Sin da subito abbiamo parlato del giudizio positivo di Landini
come della firma tecnica sul modello Marchionne, la stessa per capirci che la
Cgil e settori Fiom proponevano di apporre nel 2010 a Pomigliano di fronte
all'intesa separata che cancellava la Fiom dagli stabilimenti. L'accordo su
rappresentanza e democrazia è appunto la piena affermazione del modello
Marchionne su scala generale. Lo stesso modello autoritario e sanzionatorio che
contempla solo il sindacalismo complice. E' sufficiente vedere cosa è previsto
sul terreno della rappresentanza: solo le organizzazioni sindacali firmatarie
e/o che piegano la testa accettando di non confliggere con l'impresa in
rispetto degli accordi vigenti, hanno il diritto a presentarsi alle elezioni
rsu. Così si cancella il diritto dei lavoratori ad opporsi agli accordi, a
lottare cioè per migliorare le proprie condizioni. Si cancella il sindacalismo
conflittuale. Se quest'accordo fosse stato sottoscritto prima del 2010, la Fiom
avrebbe dovuto firmare gli accordi di Mirafiori e Pomigliano, dove, non
dimentichiamolo, i lavoratori hanno votato. Hanno votato per cancellare la
Fiom, per peggiorare le proprie condizioni, per uscire dal Contratto nazionale.
Ecco perché il voto dei lavoratori previsto nell'accordo e che tanto viene
enfatizzato, altro non è che lo strumento per legittimare il ruolo di un
sindacato che sottoscrive accordi peggiorativi, è l'istituzionalizzazione del referendum
come strumento per imporre la contrattazione di restituzione. Quando nel 2010
decidemmo come Fiom di non firmare l'accordo di Pomigliano, decidemmo di
lottare mettendo al centro i diritti dei lavoratori, non quelli
d'organizzazione. Tutti ci invitavano al realismo, ci raccomandavano di stare
dentro. E' evidente che c'è un radicale cambio di linea.
Il corteo della Fiom dello scorso 18 maggio,
l’abbiamo potuto vedere tutti, non è stato particolarmente partecipato ed è
passato senza produrre risultati per i lavoratori. Per domani, venerdì 28
giugno, è previsto lo sciopero del settore auto, con corteo nazionale a Roma .
A tuo avviso può rappresentare un nuovo inizio e restituire un profilo
conflittuale al sindacato dei metalmeccanici o invece è ancora insufficiente?
Certamente la
manifestazione del 18 maggio non è stata delle più partecipate nella lunga
storia dei metalmeccanici. Le ragioni sono molteplici, pesa sopratutto la
profonda crisi di credibilità del sindacato nel nostro paese. La condizione di
chi lavora precipita e più nessuno crede, non a torto, che siano le
manifestazioni a Roma a poterla cambiare. In particolare tuttavia occorre
sottolineare che da molti mesi la Fiom non ha più nessuna grande vertenza in
campo, continua certamente a rappresentare un punto di vista importante,
radicale sul terreno politico, ma un punto di vista che non è più, da molto
tempo, conseguente sul piano dell'iniziativa concreta. E i lavoratori misurano
un sindacato su quello che fa concretamente, non su quello che dice, per quanto
importante. La stessa manifestazione su Fiat di venerdì 28 giugno ha questi
limiti. Non c'è più in piedi una vertenza Fiat che vada oltre le sacrosante
battaglie legali, oltre la denuncia dell'anomalia Marchionne. Tutti sanno che
nei prossimi anni Fiat metterà pesantemente le mani sull'occupazione. E' in
gioco forse più di metà dell'occupazione e degli stabilimenti. La
sovracapacità produttiva rispetto al dato delle vendite è persino eclatante.
Non risolveranno né nuovi modelli che pure sono necessari, né una nuova
indispensabile strategia industriale . Tra le altre cose non va sottovalutato
il fatto che per gli azionisti Fiat Marchionne è la gallina dalle uova d'oro
per i profitti che ha portato loro con le diverse operazioni finanziarie ed industriali.
Voglio dire che non c'è una proprietà arrabbiata per i dati disastrosi sulle
vendite, se non qualche ricco e attempato sabaudo nostalgico della Fabbrica
Italiana Automobili Torino. Cisl,Uil, la politica e le Istituzioni, a partire
dal Governo sanno benissimo cosa succede e cosa si prepara. Non ci si può
aspettare nulla visto che hanno legittimato e legalizzato il modello
Marchionne. Per queste ragioni occorre costruire una pura vertenza sindacale.
Senza una battaglia per la redistribuzione del lavoro su tutti gli stabilimenti
e la difesa intransigente di ogni sito si rischia semplicemente di accompagnare
la pesante ristrutturazione che verrà. Ed è in quella chiave che la lotta
contro il modello Marchionne va inserita. La leva della battaglia è la difesa
dell'occupazione. Diversi compagni che lavorano in Fiat da tempo propongono
inascoltati di riprendere il terreno della lotta, pur consapevoli della
difficilissima fase. A Pomigliano per esempio, è allucinante la contraddizione
tra il ricorso al lavoro straordinario e la cassa integrazione. Per queste
ragioni molti si aspettavano un blocco dei cancelli, qualcosa di più forte che
la semplice denuncia.
Sabato a Roma avrà luogo l’assemblea nazionale
della Rete28Aprile-Opposizione Cgil. Quale bilancio faresti dell’operato della
vostra area programmatica dalla sua nascita ad oggi? Per quale ragione
nonostante l’aggravarsi delle condizioni nel mondo del lavoro avete incontrato
così tante difficoltà a costruire un’opposizione di massa alla linea maggioritaria
della Cgil? Come mai siete ancora poco conosciuti in tanti luoghi di lavoro?
Cosa vi proponete di fare per il futuro?
L'assemblea di sabato è
un passaggio importante. Si tratta,per noi che abbiamo da tempo deciso di
presentare un documento alternativo al congresso Cgil , di qualificare il come
ma anche perchè continuare la battaglia in Cgil. Non ci misuriamo solo con la
deriva inarrestabile di una Cgil che ha sostanzialmente aderito al modello Cisl
consentendo così la totale destrutturazione del sistema dei diritti e delle
tutele del mondo del lavoro. Il quadro nel nostro paese, come peraltro nella
maggior parte dell'area euro, è segnato dalla durezza del combinato disposto
tra politiche d'austerità e crisi economica. Una si alimenta dell'altra e
entrambe, nell'assenza totale di rappresentanza politica e sociale delle classi
popolari, deflagrano creando impoverimento, disoccupazione ma anche, per ora,
rassegnazione e passività. Tutte le vecchie forme della rappresentanza sono
travolte, siano esse complici o antagoniste. E' lo spazio concreto
dell'iniziativa sindacale rivendicativa che è praticamente scomparso e non solo
per responsabilità del sindacalismo complice che c'è ed è enorme, non dobbiamo
dimenticare che la crisi è crisi del capitale, della sua capacità di generare
profitti, di garantire consenso e crescita. Ogni lotta sindacale in difesa
dell'occupazione, per il salario, per i diritti diviene immediatamente lotta
politica, immediatamente diviene sovversiva rispetto alle compatibilità date.
Questa è la ragione di fondo che rende complicata la costruzione del conflitto.
La condizione dei lavoratori è divenuta variabile dipendente dei margini del
capitale nella sua competizione globale. L'accordo sulla rappresentanza e
democrazia e le deroghe previste dal 28 giugno 2011 sono gli strumenti concreti
per applicare nel concreto questa subordinazione. Se questo è il quadro, il
punto centrale per la Rete 28 aprile è come essere parte della necessaria
ricostruzione del conflitto sociale a partire dai luoghi di lavoro. Stare nelle
lotte parziali, agire per una nuova coscienza di classe, stare nella
contraddizione che nei diversi soggetti si pare e che è sempre più esplosiva.
La Rete, sin dalla sua nascita nel 2005, ha cercato in ogni modo di contrastare
la deriva della Cgil, la sua progressiva cislizzazione. Sia nella battaglia
interna, per una lunga fase insieme alla Fiom ed a altri pezzi della Cgil, sia
nel tentativo di costruzione di un fronte sociale contro le politiche del
padronato e del Governo. Siamo un punto di riferimento per larghissima parte
dei militanti della sinistra antagonista nei luoghi di lavoro, ovviamente per
tutti quelli che continuano a lottare. Tanti compagni purtroppo sono
semplicemente tornati nel privato senza che nessuna nuova generazione si sia
affacciata sullo scenario sociale. Certamente si poteva fare di più, tuttavia
la marginalità della nostra esperienza non è cercata, ma imposta dalle
condizioni date. Il congresso da questo punto di vista è una straordinaria
possibilità di farci conoscere, di consolidare e aggregare nuovi quadri, di
ri-costruzione di una nuova esperienza collettiva interna alla Cgil.
Vi proponete di presentare un documento
alternativo al congresso della Cgil. Nel precedente furono denunciate procedure
quantomeno dubbie e risultati manipolati nonostante l’opposizione al gruppo
dirigente di pezzi importanti della Cgil quali gli allora segretari di
categoria dei metalmeccanici, funzione pubblica e bancari. Non hai timore che
possano ripetersi simili pratiche? E soprattutto, pensi sia ancora possibile
poter invertire la rotta del sindacato di Corso Italia in assenza di conflitti
costruiti dal basso?
Chiediamo un congresso
democratico, regole certe e trasparenti che garantiscano il diritto di ogni
iscritto di conoscere le diverse posizioni e di decidere. Lo scorso congresso è
stato devastante da questo punto di vista se si pensa che ancora oggi non
conosciamo i dati del voto disaggregati per territorio e categorie... regioni
del sud che hanno raddoppiato i voti di quelle industriali. Una cosa
inaccettabile. In più, la stretta autoritaria che viviamo nell'organizzazione e
che è direttamente figlia della crisi della forma sindacale, rischia di
degenerare nel tentativo di cancellare politicamente e sostanzialmente il
dissenso in Cgil. Le contraddizioni che apriamo sulle scelte
dell'organizzazione sono vissute dai gruppi dirigenti come atti di lesa maestà,
come aggressioni violente. Difenderemo con ogni mezzo, ripeto, con ogni mezzo,
il diritto al dissenso. Il sindacato non è proprietà dei suoi dirigenti. No,
senza un nuovo ciclo di lotte il sindacato, tutto, non cambierà mai. E'
illusorio pensare che sia la nostra battaglia congressuale a modificare
un'organizzazione come la Cgil. Solo un nuovo protagonismo sociale può obbligare
il sindacato a cambiare o ad adeguarsi.
Per rilanciare il conflitto sociale non si potrà
certamente fare a meno di coinvolgere i milioni di disoccupati e precari. L’Usb
a tal proposito ha iniziato a ragionare sulla costruzione del “sindacalismo
metropolitano” e della “confederalità sociale”. L’idea è che il sindacato si
debba porre il problema della relazione con i settori sociali esclusi dai
circuiti lavorativi tradizionali, dunque fuori dalla contrattazione ordinaria.
Questi soggetti, che è difficile come nel caso dei precari se non impossibile
come nel caso dei disoccupati organizzare nei luoghi di lavoro vanno
organizzati sul territorio, affiancando alle lotte sindacali classiche quelle
per le occupazioni di case, per la sanità, e per tutte le problematiche che
riguardano la vita nei territori. Cosa ne pensi? Ti sembra un esperimento
interessante?
Si, davvero molto
interessante. La crisi che tutto travolge riduce nei fatti la stratificazione
sociale e generalizza la condizione di massima delle classi popolari,
cancellando anche vecchie divisioni. La questione salariale,la lotta contro il
carovita ad esempio travalica da tempo le diverse appartenenze categoriali. Si
impone la necessità di promuovere un'azione unificante interna ed esterna ai
luoghi di lavoro, sia perché imposta dal processo di espulsione del sindacato
da fabbriche e uffici, sia per effetto della crescente disoccupazione di massa.
Non dimentichiamo che con la cancellazione dell'art.18 la Costituzione è uscita
dai luoghi di lavoro riducendo molto la possibilità della tradizionale
organizzazione interna ai luoghi di lavoro. Stesso processo riguarda la
contrattazione sindacale. Diviene quindi centrale il territorio che, guarda
caso, è una dimensione altamente unificante per le classi popolari. La casa, il
salario, i servizi, il lavoro. Senza dimenticare, ovviamente, un livello
generale che riunificando il parziale,dia alle lotte una prospettiva
progressiva e solidale impedendo che quella stessa dimensione che vogliamo
indagare non diventi causa di nuove separazioni, egoismi, o peggio.
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