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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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martedì 13 gennaio 2015

PARIGI 2015: QUEL CHE RESTA DI LIBERTA’ E DEMOCRAZIA STA IN UNO SLOGAN di Norberto Fragiacomo





PARIGI 2015: QUEL CHE RESTA DI LIBERTA’ E DEMOCRAZIA STA IN UNO SLOGAN

di

Norberto Fragiacomo



Malgrado il suo costo elevato (in termini di vite umane), il megaspot girato domenica 11 a Parigi ha soddisfatto in pieno i committenti.

La catena umana di leader a passeggio per i boulevard resterà impressa nella memoria collettiva, ma – grazie anche alla felicissima trovata delle matite levate verso il cielo - i rischi di una progressiva decontestualizzazione della scena nel ricordo sono ridottissimi: il “prodotto” è stato reclamizzato con perizia. Quale di preciso fra libertà, democrazia, tolleranza e fraternità giudaico-cristiana (l’uguaglianza è passata di moda, non è più in catalogo)? A ben vedere, un insieme capace di contenere tutti questi “valori”: a venir pubblicizzato è stato il sistema occidentale nel suo complesso. La sfilata lanciava un messaggio incontrovertibile: per quanto impoverito e malconcio, l’Occidente resta il migliore dei mondi possibili.

La scena madre era ovviamente destinata al prime time: l’ingresso trionfale di Benjamin Netanyahu, quasi “scortato” dal Presidente Hollande (oltre che da una barriera umana di agenti dai cento occhi), richiama alla mente la celebre ascesa del generale americano Clark, immortalata da un cineoperatore, nell’azzurro di una Roma appena liberata. Rai News ci ha proposto in diretta l’intera orazione del premier israeliano, sul cui volto balenavano espressioni di compiacimento: tra applausi scroscianti l’ospite-padrone di casa ha miscelato antisemitismo e antisionismo, da condannare in blocco (l’aveva già fatto Hollande, ma repetita iuvant), sferzato con violenza Hamas (il movimento palestinese ed Hezbollah sarebbero “rami di uno stesso albero da sradicare1”) e nobilmente manifestato la vicinanza di Israele alla Francia e all’Europa. Noi siamo come voi, voi siete come noi… in nome della resistenza alla barbarie islamista si scorda tutto, dall’osteggiato riconoscimento della Palestina alla diatriba sulle colonie, dai crimini commessi a Gaza alle dichiarazioni estremistiche di alcuni rappresentanti del governo israeliano.

I cinque giorni appena trascorsi passeranno alla Storia, e poco importa se una ventina di morti ammazzati sarebbe oggi, in Iraq o in Siria, notiziola da pagine interne: ad essere colpita è stata l’Europa, le modalità sono inquietanti, l’epoca fra le più incerte e travagliate. Come è stato mille volte preannunciato, Hannibal è ad portas, la civiltà in pericolo ecc. ecc.

L’ultimo atto ben inscenato e ancor meglio recitato riscatta, per così dire, una sceneggiatura piena di buchi, di contraddizioni e di punti oscuri. I due fratelli Kouachi, abbattuti venerdì dalle forze speciali, non avranno modo di spiegarci come sia possibile essere, al contempo, guerrieri efficientissimi e dilettanti fantozziani. Nell’agghiacciante video, rilanciato dalle televisioni infinite volte2, si muovono e sparano (lo stretto indispensabile!) come incursori, ma prima e dopo l’azione si comportano da sprovveduti: sbagliano indirizzo finendo in archivio, perdono la scarpa, dimenticano persino in auto il documento di identità! Nessun appostamento preventivo, nessuna prova generale, evidentemente… ma neppure un’occhiata alle mappe (con foto) di Google, che pure a gente nata negli anni ’80 dovrebbero essere familiari. L’elemento più sorprendente, invero, non è lo smarrimento della carta di identità (dove la teneva, il Koauchi sbadato?), ma l’inesplicabile scelta di portarla con sé: si è mai visto un terrorista che, dirigendosi sull’obiettivo, verifica di avere a portata di mano patente e libretto? Non nego che nell’eventualità di un controllo stradale tornino piuttosto utili… ma non se si guida un veicolo trasformato in arsenale, si vantano specifici precedenti penali e – nell’era degli archivi informatici – si è noti alle forze dell’ordine!

I martiri, in effetti, non sembravano troppo ansiosi di morire – ma neppure di sopravvivere: quando, giunti al loro estremo rifugio, si imbattono in un tizio lo lasciano andare, affermando che non è loro intenzione uccidere dei civili3. Ammirevole, ma una gestione oculata di eventuali ostaggi avrebbe dato loro qualche chance in più di salvare la pelle. Uno dei tanti personaggi apparsi in questi concitati pomeriggi televisivi – un avvocato israeliano esperto di negoziazione – ha confessato di essere rimasto sorpreso dall’implicito rifiuto della polizia di intavolare un’ipotesi di trattativa: secondo lui il negoziato non va mai escluso a priori. Certo, la faccenda Coulibaly è diversa: l’uomo, descritto come un balordo convertito all’Islam, avrebbe immediatamente ammazzato quattro degli astanti dopo essersi asserragliato nel supermercato kosher, precludendosi ogni via di uscita “diplomatica”. Strana strategia: un aspirante suicida avrebbe accoppato tutti i presenti per poi immolarsi, un tipo razionale avrebbe salvaguardato la sua merce di scambio, alternando aperture a minacce e ricorrendo a singole esecuzioni come extrema ratio. Niente da fare: si è comportato da sanguinario imbecille (pare), andando incontro ad una cruenta e meritata fine.

Bizzarrie su bizzarrie, che forniscono elementi ai patiti del complottismo. Giulietto Chiesa non ha dubbi, ma a chi scrive gli elementi in nostro possesso sembrano piuttosto confusi. Inverosimile che i Koauchi fossero agenti speciali, o qualcosa del genere: certo, ogni pedina è sacrificabile all’occorrenza, ma – come insegna l’esperienza italiana degli anni di piombo – i servizi (deviati o meno che siano) preferiscono avvalersi delle prestazioni di “personale a contratto”, magari scovato nel sottobosco dell’eversione nera, rossa o verde. Utile manovalanza all’oscuro di molti particolari, di cui disfarsi al momento opportuno. All’inizio si insisteva molto su un terzo complice, un ulteriore membro del commando – poi quest’ombra si è volatilizzata. E’ ipotizzabile che qualcuno “da fuori”, magari presentatosi in veste di “sponsor” o spacciandosi per leader religioso/militare, abbia impartito delle “lezioni”, fornito indicazioni e suggerimenti, garantito una via di fuga… e poi, magari, fatto materializzare una carta d’identità in auto? Può anche darsi che i due siano stati ispirati indirettamente, e poi lasciati liberi di portare a termine l’odioso colpo.

Ipotesi, nient’altro che ipotesi, avvalorate però dai fatti. Charlie Hebdo era da tempo nel mirino dei fondamentalisti per le sue vignette irriverenti (in qualche caso oggettivamente blasfeme), la sorveglianza tuttavia era scarsa, la protezione si è rivelata pateticamente inefficace. Poche risorse a disposizione delle forze dell’ordine? La tragica epopea del gendarme in bicicletta sembra tratta da “Il bandito e il campione” ma, d’altra parte, se in ventiquattro ore sono stati mobilitati 88 mila poliziotti significa che il materiale (uomini e armi) non faceva difetto.

A ben vedere, però, c’è qualche elemento che sembra essere sfuggito ai commentatori. Questa tragica vicenda ha mietuto vittime in due gruppi umani: quello dei vignettisti (collaboratori compresi) e quello dei cittadini di religione ebraica. Wolinski apparteneva ad entrambi (era pure un po’ polacco e un po’ italiano), Maris era un economista strenuo avversario del neoliberismo, ma la semplificazione regge. Il caricaturista non è soltanto una persona che esercita, a modo suo, la professione giornalistica: è qualcosa di più. E’ un artista, un anarchico, un raddrizzatore di torti: l’erede spirituale dei giullari medievali cui (Dario Fo docet) era concesso dire qualsiasi cosa passasse per la mente, ridere del sovrano, dileggiare i notabili, motteggiare senza rispetto di convenienze e gerarchie. Il vignettista è dunque l’emblema della libertà di espressione, cardine – più o meno reale – della civiltà europea: è contornato perciò da un’aura di sacralità che non si estende ai più prosaici colleghi della carta stampata (indipendentemente dal fatto che siano cronisti seri o Sallusti). Mi chiedo, e domando al lettore: lo scatenarsi della furia omicida nella redazione di un quotidiano qualunque avrebbe provocato altrettanta commossa emozione? Forse sì, forse no. Di una cosa sono certo: se le vittime fossero state politici o finanzieri parecchia gente avrebbe trattenuto a stento un moto d’esultanza.

A differenza del loro correligionario Wolinski, gli ebrei ignobilmente scannati al supermercato non erano celebrità: i loro nomi quasi non appaiono, rimarranno nella memoria collettiva come “semplici” vittime. La quasi concomitanza delle due stragi, tuttavia, fa sì che gli eventi si confondano, si contaminino a vicenda: libertà di parola ed ebraismo diventano due facce della stessa medaglia, presidi di civiltà, obiettivi da proteggere.

Fino a prova contraria, diremo che i due crimini erano collegati solo nel cervello distorto degli esecutori (forse del più rozzo di essi, Coulibaly): alla fin fine, non esistono prove – o non sono disponibili al comune osservatore – che vi sia una regia occulta (o ci sia stato perlomeno un incoraggiamento). Per un fanatico musulmano, magari invogliato dalle profezie allarmistiche dei nostri media (il prossimo target potrebbe essere S. Pietro!, strillano stamane i giornali radio… auguriamoci che nessuno li ascolti), i vignettisti di Charlie Hebdo erano canaglie la cui blasfemia andava punita; quanto agli ebrei, non sono certo gli infedeli prediletti dall’Islam più o meno moderato (non è questa ovviamente la sede per chiederci di chi sia la colpa). Ciò non toglie che a beneficiare nell’immediato di questi odiosi fatti di sangue non saranno gli islamici fuori e dentro l’Europa, nei confronti dei quali crescono diffidenza, ripugnanza e avversione; a trarre profitto dall’accaduto hanno già iniziato quelle forze, presenti ieri con i loro esponenti a Parigi (da Juncker alla Merkel, da Hollande a Renzi), che riconoscono nell’isteria e nella paura di massa utili alleate in vista del raggiungimento dello scopo finale.

Cosa sono una manciata di diritti sottratti, prestazioni sanitarie a rischio, la rinuncia a tredicesima e ferie pagate a confronto dell’atroce prospettiva di vivere all’ombra di un burqa o sotto la costante minaccia di “kamikaze” imbottiti di tritolo? Una democrazia imperfetta, una libertà condizionata non sono incomparabilmente meglio della servitù e di un’autocrazia che schiaccia le opinioni personali? – questo insinuava il regista della kermesse parigina.

"Libertà! Democrazia!”: la folla parigina scandiva ieri queste due parole, gaiamente inconsapevole di ridurre tali concetti a ciò che resta di loro – slogan ad effetto, noci senza gheriglio; fantasmi che si aggirano per un’Europa afflitta e imbarbarita.

Tenerci l’Unione Europea e il Capitalismo non significa – come ci viene suggerito – optare per il male minore, per il semplice motivo che l’alternativa alla barbarie fondamentalista non può essere la barbarie neoliberista. Un altro mondo è possibile, senza Ak 47 ma anche senza derivati, Fiscal Compact e spread. Un mondo capace di esibire ottimismo, fiducia e sorrisi – come quello (genuino) stampato in faccia al presidente nero che, col suo elegante cappello anni ’50, ha approfittato di uno scambio di battute tra Hollande e la Merkel per riconquistare la prima fila nel luminoso pomeriggio francese. 


NOTE




1 Il fatto che abbiano condannato gli attentati non rileva: sono cattivi a prescindere!

2 Solo per dovere di cronaca? Chissà…


3 I vignettisti ai loro occhi non lo erano, perché impegnati nella “crociata” contro l’Islam.



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