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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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lunedì 4 aprile 2011

LA RIVOLUZIONE ARABA - Manifesto della Tendenza Marxista Internazionale





LA RIVOLUZIONE ARABA
Manifesto della Tendenza Marxista Internazionale

Rivoluzione fino alla vittoria! - Thawra hatta'l nasr!

La rivoluzione araba è fonte di ispirazione per i lavoratori e i giovani di tutto il mondo. Ha scosso tutti i paesi del Medio Oriente alle fondamenta e le sue ripercussioni si fanno sentire in tutto il pianeta. Gli eventi drammatici in Nord Africa e in Egitto segnano una svolta decisiva nella storia. Non sono incidenti isolati ma parte del processo generale della rivoluzione mondiale.


Ciò che vediamo aprirsi dinanzi a noi è la fase iniziale della rivoluzione socialista mondiale. Lo stesso processo generale si svolgerà, anche se a ritmi diversi, in tutto il mondo. Ci saranno inevitabilmente alti e bassi, sconfitte e vittorie, delusioni e successi. Dobbiamo essere preparati per questo. Ma la tendenza generale è verso un’accelerazione della lotta di classe su scala mondiale.

Il meraviglioso movimento delle masse in Tunisia e in Egitto è solo l'inizio. Sviluppi rivoluzionari sono all'ordine del giorno e nessun paese può ritenersi immune dal processo generale. Le rivoluzioni nel mondo arabo sono una manifestazione della crisi del capitalismo su scala mondiale. Gli eventi in Tunisia ed Egitto mostrano ai paesi a capitalismo avanzato il loro futuro come in uno specchio.



Tunisia

La Tunisia era apparentemente il paese arabo più stabile. La sua economia era in forte espansione e gli investitori esteri facevano grassi profitti. Il Presidente Zine al-Abidine Ben Ali, governava con il pugno di ferro. Tutto sembrava andare per il meglio nel migliore dei mondi capitalisti.

I commentatori borghesi guardavano la superficie e non vedevano i processi che avvenivano nel profondo della società. Perciò erano ciechi ai processi in atto in Nord Africa. Negavano ogni possibilità di una rivoluzione in Tunisia. Ora tutti gli strateghi borghesi, economisti, accademici, "esperti" manifestano pubblicamente la loro perplessità.


Il paese è esploso dopo l'auto-immolazione del giovane disoccupato Mohamed Bouazizi. Hegel ha osservato che la necessità si esprime attraverso il caso. Questo non è stato l'unico episodio di suicidio da parte di un giovane disoccupato disperato in Tunisia. Ma questa volta ha avuto effetti inattesi. Le masse si sono riversate in strada e hanno cominciato una rivoluzione.


La prima reazione del regime è stata di schiacciare la ribellione con la forza. Quando non ha funzionato, ha fatto ricorso alle concessioni, che sono servite solo a versare benzina sul fuoco. La pesante repressione della polizia non ha fermato le masse. Il regime non ha utilizzato l'esercito perché non poteva. Uno scontro sanguinoso e si sarebbe frantumato.


La classe operaia tunisina ha promosso un'ondata di scioperi regionali a scacchiera, culminata in uno sciopero nazionale. È stato a questo punto che Ben Ali ha dovuto fuggire in Arabia Saudita. Questa è stata la prima vittoria della rivoluzione araba, che ha cambiato tutto.


Quando Ben Ali è fuggito, si è creato un vuoto di potere che doveva essere riempito da comitati rivoluzionari. Questi hanno preso il potere a livello locale e in alcuni luoghi a livello regionale. A Redeyef, nel bacino minerario di Gafsa, non c'è altra autorità che quella dei sindacati. La stazione di polizia è stata bruciata, il giudice è scappato e il municipio è stato occupato dal sindacato locale che ora ha sede lì. Nella piazza principale si svolgono regolarmente assemblee guidate dai leader sindacali. Sono stati creati comitati che si occupano di trasporto, di ordine pubblico, di servizi locali, ecc.


Le masse non erano soddisfatte o pacificate dalla loro prima vittoria. Sono tornate in forze in piazza contro qualsiasi tentativo di ricreare il vecchio ordine sotto un altro nome. Tutti i vecchi partiti sono stati completamente screditati. Quando Gannouchi ha provato a nominare nuovi governatori regionali, la gente li ha respinti. Centinaia di migliaia hanno protestato e hanno dovuto essere rimossi.

In Tunisia la lava di rivoluzione non si è ancora raffreddata. I lavoratori chiedono la confisca della ricchezza della famiglia di Ben Ali. Dal momento che controllava buona parte dell'economia, si tratta di una sfida diretta al dominio della classe capitalista in Tunisia. La confisca dei beni della cricca di Ben Ali è una richiesta socialista.


I lavoratori tunisini hanno cacciato despoti impopolari. Il movimento di sinistra 14 gennaio ha chiesto la convocazione di una assemblea nazionale dei comitati rivoluzionari. È una rivendicazione corretta, ma finora nessun passo concreto è stato preso per la sua attuazione. Nonostante la mancanza di una direzione, la rivoluzione continua ad avanzare con passi da gigante, ha rovesciato Gannouchi e indirizzato il movimento verso nuovi traguardi. Il nostro motto deve essere: Thawra hatta'l nasr - Rivoluzione fino alla vittoria!



La rivoluzione egiziana


La Tunisia ha aperto la rivoluzione araba, ma è un piccolo paese ai margini del Maghreb. L’Egitto, invece, è un grande paese di 82 milioni di persone, e sorge nel cuore del mondo arabo. Il suo proletariato numeroso e combattivo ha mostrato molte volte il suo spirito rivoluzionario. La rivoluzione egiziana, senza dubbio, riflette l'influenza della Tunisia, ma si è basata anche su altri fattori: alto tasso di disoccupazione, tenore di vita in calo e odio verso un governo corrotto e repressivo.

La Tunisia ha agito come un catalizzatore. Ma un catalizzatore può funzionare solo quando ci sono tutte le condizioni necessarie. La rivoluzione tunisina ha mostrato quello che era possibile. Ma sarebbe del tutto falso supporre che questa sia stata l'unica causa, o anche quella principale. Le condizioni per un'esplosione rivoluzionaria erano già maturate in tutti questi paesi. Serviva solo una scintilla per incendiare la polveriera. La Tunisia l’ha fornita.


Il movimento in Egitto ha mostrato l'incredibile eroismo delle masse. Le forze di sicurezza non hanno potuto sparare contro le manifestazioni principali in piazza Tahrir, per paura che si sviluppasse uno scenario tunisino. Il regime pensava che sarebbe stato sufficiente, come in passato, rompere qualche testa. Ma non è bastato. L'umore era cambiato. La quantità si era trasformata in qualità. La vecchia paura era scomparsa. Questa volta ha dovuto fuggire la polizia, non il popolo.

Ciò ha portato direttamente all’occupazione di piazza Tahrir. Il regime ha inviato l'esercito, ma i soldati hanno fraternizzato con le masse. L'esercito egiziano è composta da militari di leva. I ranghi più elevati dell'esercito, i generali sono corrotti. Fanno parte del regime, ma la truppa viene dai lavoratori e dai contadini poveri. I ranghi bassi e medi del corpo ufficiali sono tratti dalla classe media e sono aperti alla pressione delle masse.


I partiti di opposizione chiedevano riforme, tra cui lo scioglimento del parlamento nato a dicembre dopo le elezioni truffa, l'organizzazione di nuove elezioni, e una dichiarazione da Mubarak che né lui né suo figlio correranno per la presidenza alle elezioni previste per settembre. Ma in realtà la direzione era molto indietro rispetto alle masse. Il movimento era andato ben al di là di queste richieste. Il popolo rivoluzionario non avrebbe accettato niente di meno che l'immediata rimozione di Mubarak e l'abolizione del suo regime.


A partire da richieste elementari, come la fine delle leggi di emergenza, il licenziamento del ministro degli interni, e un salario minimo più alto, i manifestanti, incoraggiati da numeri, hanno portato le rivendicazioni su un livello più alto, più rivoluzionario: "Abbasso Mubarak!" "Il popolo vuole la caduta del regime!" o semplicemente "Vattene". In questo modo, la coscienza rivoluzionaria delle masse aumentava a passi da gigante.




Stato e rivoluzione


Non si possono spiegare gli eventi in Egitto e in Tunisia senza partire dal ruolo centrale delle masse, la forza motrice degli avvenimenti, dall'inizio alla fine. Gli “esperti” borghesi e piccolo borghesi, ora cercano di sminuire l'importanza dell'azione delle masse. Vedono solo quello che sta accadendo al vertice. Per loro si tratta di un "golpe", di "potere dell’esercito che passa a se stesso”. Gli stessi storici borghesi ci assicurano che la rivoluzione bolscevica del 1917 è stata “solo un colpo di stato”. Non sono in grado di guardare in faccia la storia, sono affascinati solo dalle sue parti posteriori.


La loro "profonda" analisi è superficiale, nel senso più letterale della parola. Per i filosofi borghesi in generale, tutto esiste solo nelle sue manifestazioni esteriori. È come cercare di capire il movimento delle onde senza preoccuparsi di studiare le correnti oceaniche sottomarine. Anche dopo che le masse occupavano le strade del Cairo, Hillary Clinton ha insistito sul fatto che l'Egitto fosse un paese stabile. Basava la sua conclusione sul fatto che lo stato e il suo apparato repressivo erano intatti. Ma in appena due settimane sono stati frantumati.


L'esistenza di un potente apparato repressivo statale non garantisce contro affatto la rivoluzione, e potrebbe anzi produrre l’effetto opposto. In una democrazia borghese, la classe dominante ha certe valvole di sicurezza che la avvertono quando la situazione è fuori controllo. Ma in un regime dittatoriale o totalitario, non vi è alcuna possibilità per la gente di esprimere ciò che pensa all'interno del sistema politico. Pertanto si possono produrre sconvolgimenti improvvisi, senza preavviso, e prendere immediatamente una forma estrema.


Le forze armate costituivano la base principale del vecchio regime. Ma come ogni altro esercito, riflettono la società e subiscono l'influenza delle masse. Sulla carta erano una forza formidabile. Ma gli eserciti sono composti da esseri umani, e sono soggetti alle stesse pressioni di qualsiasi altro strato sociale o istituzione. Nel momento della verità, né Mubarak né Ben Ali hanno potuto usare l'esercito contro il popolo.


Gli eserciti di molti paesi arabi non sono gli stessi gli eserciti del mondo capitalista sviluppato. Essi sono, in ultima analisi, anche eserciti capitalistici, corpi di uomini armati in difesa della proprietà privata, ma allo stesso tempo sono anche il prodotto della rivoluzione coloniale. Naturalmente, i generali sono corrotti e reazionari. Ma i soldati di leva sono operai e contadini. I ranghi medio-bassi della casta degli ufficiali riflettono la pressione delle masse, come è stato mostrato con il colpo di stato di Nasser nel 1952.


La rivoluzione ha provocato una crisi dello stato. Sono aumentate le tensioni tra l'esercito e la polizia e tra polizia e manifestanti. Per questo motivo il consiglio dell'esercito, alla fine, ha deciso di abbandonare Mubarak. L'esercito era chiaramente scosso dagli eventi e ha mostrato segni di cedimento sotto la pressione delle masse. Ci sono stati casi di ufficiali che hanno abbandonato le armi e si sono uniti ai manifestanti in piazza Tahrir. In queste circostanze non vi può essere possibilità di usare l'esercito contro il popolo rivoluzionario.



Il ruolo del proletariato


Durante le prime due settimane, il potere era nelle piazze. Ma dopo aver vinto la battaglia nelle strade, i leader del movimento non sapevano cosa fare con quel potere. L'idea che bastava raccogliere un gran numero di persone in piazza Tahrir era fatalmente entrata in crisi. In primo luogo, essa lasciava fuori la questione del potere dello stato. Ma questa è la questione centrale che decide tutte le altre questioni. In secondo luogo, si trattava di una strategia passiva, mentre ciò che serviva era una strategia attiva e offensiva.


In Tunisia, manifestazioni di massa hanno cacciato Ben Ali in esilio e hanno rovesciato il partito di governo. Questi eventi hanno convinto molti egiziani che il loro regime poteva rivelarsi altrettanto fragile. Il problema è che Mubarak ha rifiutato di andare. Nonostante tutti gli sforzi sovrumani e il coraggio dei dimostranti, le manifestazioni non sono riuscite a rovesciare Mubarak. Le manifestazioni di massa sono importanti perché sono un modo per risollevare le masse prima inerti, dando loro il senso del proprio potere. Ma il movimento non poteva vincere a meno ce non fosse portato a un nuovo e più alto livello. Ciò poteva farlo solo la classe operaia.


Questo risveglio del proletariato è stato espresso negli ultimi anni in una ondata di scioperi e proteste. È stato uno dei fattori principali che ha preparato la rivoluzione. È anche la chiave del suo successo futuro. L’ingresso tumultuoso del proletariato egiziano sulla scena della storia ha segnato una svolta nei destini della rivoluzione. L’ha salvata e ha portato al rovesciamento di Mubarak. In una città dopo l'altra i lavoratori egiziani hanno organizzato scioperi e occupazioni di fabbriche. Hanno scacciato i dirigenti più odiati e i dirigenti sindacali corrotti.


La rivoluzione si è posta su un livello superiore. Da una manifestazione si è trasformata in una insurrezione nazionale. Che cosa dobbiamo concluderne? Questo: che la lotta per la democrazia può essere vittoriosa solo nella misura in cui è guidata dal proletariato: i milioni di lavoratori che producono la ricchezza della società, e senza il cui permesso non si accende una lampadina, non squilla un telefono, non gira una ruota.




Il risveglio della nazione egiziana


Il marxismo non ha nulla in comune con il determinismo economico. La disoccupazione di massa e la povertà sono un problema esplosivo. Ma c'era qualcos'altro presente nell'equazione rivoluzionaria: qualcosa di più sfuggente, che non può essere quantificato, ma una causa non meno potente di malcontento della deprivazione materiale. È l’intensa sensazione di umiliazione nei cuori e nelle menti di un popolo antico e nobile dominato per generazioni dall'imperialismo.


C'è la stessa sensazione di umiliazione in generale tutti i popoli arabi, schiavi e oppressi dall'imperialismo per oltre 100 anni, subordinati ai voleri, prima delle potenze europee, poi del gigante americano. Questa sensazione può trovare un'espressione distorta nelle vesti del fondamentalismo islamico che rifiuta tutto ciò che è occidentale come il male. Ma l'ascesa dell'islamismo in questi ultimi anni è stata solo l'espressione del fallimento della sinistra di offrire una vera alternativa socialista ai problemi pressanti delle masse arabe.



Negli anni ‘50 e ‘60, il sogno di Gamal Abdel Nasser del socialismo arabo e del panarabismo suscitò le speranze delle masse arabe in tutto il mondo. L'Egitto divenne un faro di speranza per le masse arabe oppresse e sfruttate. Ma Nasser non portò quel programma alla sua logica conclusione e sotto Anwar Sadat si fece marcia indietro. L'Egitto è diventato una pedina nella politica di una grande potenza come gli Stati Uniti. Nei tre decenni di governo di Mubarak queste tendenze sono state moltiplicate mille volte. Mubarak era un burattino degli Stati Uniti e di Israele che ha spudoratamente tradito la causa palestinese.


Negli ultimi tre o quattro decenni la psicologia araba si è colorato di delusioni, sconfitte e umiliazioni. Ma ora la ruota della storia si è capovolta e tutto sta cambiando. L'idea di rivoluzione ha un significato molto concreto nel mondo arabo di oggi. Sta catturando la mente di milioni di persone e sta diventando una forza sostanziale. Idee che prima interessavano pochi ora hanno convinto e stanno mobilitando milioni di persone.


Le rivoluzioni aiutano a mettere molto bene in chiaro le cose. Mettono alla prova tutte le tendenze: in una notte, le idee del terrorismo individuale o del fondamentalismo islamico sono state spazzate via dal torrente rivoluzionario. La rivoluzione ha risvegliato idee quasi dimenticate. Promette un ritorno alle vecchie tradizioni del socialismo e del nazionalismo pan-arabo, che non sono mai del tutto scomparse dalla coscienza popolare. Non è un caso che le canzoni della resistenza del passato tornano di moda e che immagini di Nasser siano ricomparse nelle manifestazioni.

Stiamo assistendo a un nuovo rinascimento arabo, dove una nuova coscienza si forgia nel calore della lotta. Le rivendicazioni democratiche sono fondamentali per le masse, in tali circostanze: schiave per lungo tempo, finalmente hanno messo da parte la vecchia mentalità passiva e fatalista e si sollevano alla loro vera statura.


Si può vedere lo stesso processo in ogni sciopero; uno sciopero è simile a una rivoluzione in miniatura e una rivoluzione è simile a uno sciopero di tutta la società contro i suoi oppressori. Una volta che si attivano, uomini e donne riscoprono la loro dignità. Cominciano a prendere il destino nelle proprie mani e a rivendicare i propri diritti: chiediamo di essere trattati con rispetto. Questa è l'essenza di ogni vera rivoluzione.


La rivoluzione è una presa di coscienza a un livello superiore. Taglia l'erba sotto i piedi dei reazionari che hanno ingannato le masse e confuso i loro sensi con i fumi velenosi del fondamentalismo religioso. Nonostante la propaganda menzognera degli imperialisti, gli islamisti hanno giocato un ruolo marginale nella rivoluzione in Tunisia e in Egitto. La rivoluzione disprezza le divisioni religiose. È trasversale a tutte le divisioni e unisce uomini e donne, giovani e vecchi, musulmani e cristiani.


Il movimento rivoluzionario unisce tra le religioni. Unisce i generi. Porta le donne arabe per le strade per combattere al fianco dei loro uomini. È trasversale a tutte le divisioni nazionali, etniche e linguistiche. Difende le minoranze oppresse. Si riunisce tutte le forze vive della nazione araba e le unisce in una lotta comune. Consente al popolo rivoluzionario di ergersi alla sua vera altezza, per recuperare la dignità e la gioia nella sua libertà. Uomini e donne possono alzare la testa e dire con orgoglio: "Noi non saremo più schiavi".




I limiti dello spontaneismo


Le rivoluzioni in Tunisia ed Egitto sono venute dal basso. Non sono state organizzate da uno dei partiti politici esistenti o leader già conosciuti. Tutti loro sono rimasti sorpresi da un movimento che non avevano previsto e per cui erano del tutto impreparati. Se c'è una lezione da trarre dall'esperienza della rivoluzione egiziana, è questa: il popolo rivoluzionario non può fidarsi che di se stesso, basarsi sulla fiducia nelle proprie forze, nella propria solidarietà, nel proprio coraggio e nella propria organizzazione. Quando si guarda all'Egitto, il confronto storico che viene subito in mente è Barcellona nel 1936. Senza partito, senza leader, senza programma, senza piani, i lavoratori hanno marciato sulle caserme con straordinario coraggio e hanno distrutto i fascisti. Hanno salvato la situazione e avrebbero potuto prendere il potere. Ma la domanda è proprio perché non hanno preso il potere? La risposta è la mancanza di direzione. Più precisamente, sono stati delusi dai dirigenti anarchici della CNT in cui hanno posto la loro fiducia. Chi ha illusioni nell’anarchismo dovrebbe studiare la storia della rivoluzione spagnola!


A prima vista, i movimenti in Tunisia e in Egitto sembrano una rivoluzione spontanea, senza organizzazione o leadership. Ma questa definizione non è proprio esatta. Il movimento è stato solo in parte spontaneo. È stato promosso da alcuni gruppi e individui. Ha dei dirigenti che prendono iniziative, propongono slogan, promuovono manifestazioni e scioperi.


Molta enfasi è stata posta sul ruolo dei social network, come Facebook e Twitter in Tunisia, Egitto (e in precedenza in Iran). Non vi è dubbio che la nuova tecnologia ha giocato un ruolo ed è estremamente utile per i rivoluzionari e ha reso impossibile per stati come l'Egitto mantenere il monopolio dell'informazione che avevano una volta. Ma quelli che esagerano il lato puramente tecnologico delle cose distorcono la vera essenza della rivoluzione, ossia, il ruolo delle masse e della classe operaia in particolare. Lo fanno per rappresentare la rivoluzione come un movimento soprattutto della classe media, guidata esclusivamente da intellettuali e appassionati di Internet. Ciò è del tutto falso.


In primo luogo, solo una piccola percentuale della popolazione ha accesso a internet. In secondo luogo, il regime ha praticamente scollegato Internet e smantellato i servizi di telefonia mobile. Questo non ha fermato il movimento un solo minuto. Senza internet e cellulari il popolo ha organizzato manifestazioni con una tecnologia molto vecchia, conosciuta come linguaggio umano. La stessa tecnologia è stata utilizzata per la rivoluzione francese e la rivoluzione russa, che purtroppo non avevano accesso a Facebook o Twitter, ma hanno fatto comunque un buon lavoro. Un ruolo ancora più grande di Facebook, però, è stato svolto da Al Jazeera. Milioni di persone hanno potuto guardare l’evolversi degli eventi, giorno per giorno, ora per ora.


Come abbiamo visto, non è vero che la rivoluzione egiziana non ha avuto leader. C’è stata una sorta di leadership fin dall'inizio. Si trattava di una coalizione di più di una dozzina di piccoli partiti e gruppi di attivisti. Sono stati loro che hanno lanciato un appello su Facebook per una "giornata della collera" in concomitanza con la giornata della Polizia, il 25 gennaio. Circa 80.000 utenti egiziani di internet l’hanno sottoscritto, impegnandosi a manifestare nelle piazze per esprimere richieste di riforma.

Sia in Tunisia che in Egitto, inizialmente, le manifestazioni sono state convocate da parte di gruppi di giovani che fornivano la direzione che quella "ufficiale" dei partiti di opposizione non dava. L'Economist si riferisce a "l'emergere di gruppi con pochi legami, che fanno pressioni per le riforme, che passano via internet, da parte di giovani con una prospettiva laica ma senza nessuna ideologia particolare. Alcuni si occupano di diritti del lavoro. Altri di diritti umani o della libertà d’insegnamento".

Queste azioni, poi, sono state effettuate da una minoranza decisa e quindi non erano puramente spontanee. Ma questa era solo la punta di un iceberg molto grande. La gente comune era dalla parte dei manifestanti. La protesta a livello nazionale si è trasformata in una rivolta generale contro il regime di Mubarak, con proteste di massa simultanee in tutto l'Egitto. Quindi, in effetti, una direzione c'era, anche se non con idee molto chiare. Tuttavia, sia in Tunisia e in Egitto la risposta da parte delle masse ha preso di sorpresa gli organizzatori che nemmeno sognavano la portata del sostegno che avrebbero ottenuto. Nessuno degli organizzatori ha anticipato i grandi numeri che hanno risposto al loro appello e meno ancora prevedevano che la polizia anti-sommossa li avrebbe fatti arrivare molto lontano.



È vero che il carattere "spontaneo" della rivoluzione ha fornito una certa protezione contro lo stato, e in questo senso è stato positivo. Ma la mancanza di una direzione adeguata è anche una grave lacuna che ha effetti molto negativi in seguito.



Il fatto che in entrambi i paesi le masse siano riuscite a rovesciare Ben Ali e Mubarak, senza l'aiuto di una direzione cosciente del proprio ruolo, è testimonianza eloquente del colossale potenziale rivoluzionario della classe operaia in tutti i paesi. Ma questa affermazione non esaurisce affatto il problema. La debolezza di un movimento puramente spontaneo si è vista in Iran, dove, nonostante l'enorme eroismo delle masse, la rivoluzione si è conclusa con una sconfitta, almeno per il momento.
L'argomento secondo cui "non abbiamo bisogno di leader", non resiste alla minima analisi. Anche in uno sciopero di mezz'ora in una fabbrica c'è sempre una direzione. I lavoratori eleggeranno chi tra loro deve rappresentarli e organizzare lo sciopero. Coloro che sono eletti non sono elementi arbitrari o casuali, ma in genere i lavoratori più coraggiosi, esperti e intelligenti. Sono selezionati su questa base.


La leadership è importante, e il partito è importante. Un bambino di sei anni lo capisce, è l'ABC del marxismo. Ma dopo A, B e C, ci sono altre lettere dell'alfabeto. Ci sono alcuni che si definiscono marxisti che immaginano che senza un partito marxista alla testa del proletariato, non ci può essere alcuna possibilità di una rivoluzione. Tale pedanteria ridicola non ha nulla in comune con il marxismo. La rivoluzione non si svilupperà in maniera ordinata, con il partito rivoluzionario che guida le masse con un bastone.


Nel 1917 Lenin disse che la classe operaia è sempre molto più rivoluzionaria anche del partito più rivoluzionario. L'esperienza della rivoluzione russa ha dimostrato che aveva ragione. Ricordiamo che nel mese di aprile 1917, Lenin dovette fare appello ai lavoratori bypassando il Comitato Centrale Bolscevico, che aveva adottato un atteggiamento conservatore sulla questione della rivoluzione proletaria in Russia.


La stessa mentalità conservatrice, la stessa diffidenza aristocratica delle masse può essere vista in molti di coloro che si considerano come "avanguardia" della classe, ma che, in pratica, sono un freno al movimento nelle situazioni decisive. È sufficiente fare riferimento al triste ruolo della vecchia cosiddetta "avanguardia" in Iran, sopravvissuta alla rivoluzione del 1979, ma che era lontano dalle masse rivoluzionarie che si sono riversate per le strade a milioni per sfidare il regime nel 2009.


Forse che i marxisti dicono che a meno che e fino a quando si costruisce il partito rivoluzionario e guida la classe operaia, la rivoluzione è impossibile? No, non abbiamo mai detto una cosa simile. La rivoluzione procede secondo leggi proprie, che si sviluppano indipendentemente dalla volontà dei rivoluzionari. Una rivoluzione avverrà quando tutte le condizioni oggettive sono presenti. Le masse non possono attendere che il partito rivoluzionario si costruisca. Tuttavia, quando sono presenti tutte le condizioni oggettive, il fattore della leadership è davvero determinante. Molto spesso è la differenza tra vittoria e sconfitta.


La rivoluzione è una lotta di forze vive, dove la vittoria non è predeterminata. In realtà, a un certo punto, la rivoluzione egiziana è arrivata molto vicino alla sconfitta. Tatticamente parlando, starsene a piazza Tahrir non era la cosa migliore da fare. Ciò ha dimostrato la prospettiva limitata degli organizzatori. Mubarak ha quasi aggirato il movimento, comprandone alcuni settori, e mobilitando i teppisti sottoproletari per sferrare attacchi feroci, e avrebbe potuto vincere. Solo l'intervento deciso delle masse, e in particolare l'intervento della classe operaia, ha impedito la sconfitta.





Il problema della direzione


Le masse non hanno mai un piano bell'e pronto all'inizio di una rivoluzione. Imparano attraverso la lotta. Non possono sapere esattamente quello che vogliono, ma sanno molto bene ciò che non vogliono. E questo è sufficiente per spingere il movimento in avanti.


La direzione è un elemento molto importante in guerra. Questo non vuol dire che è l'unico elemento. Anche il più brillante leader non può garantire il successo se le condizioni oggettive sono sfavorevoli. E a volte si può vincere una battaglia con cattivi generali. In una rivoluzione, che è l'espressione più alta della guerra tra le classi, la classe operaia ha il vantaggio dei numeri e il controllo di parti fondamentali dell'apparato produttivo della società. Ma la classe dominante possiede molti altri vantaggi.


Lo stato è un apparato per il mantenimento della dittatura di una minoranza di sfruttatori sulla minoranza sfruttata. La classe dominante detiene molte altre potenti leve nelle sue mani: la stampa, la radio e la televisione, le scuole e le università, la burocrazia statale e anche i burocrati dello spirito e la polizia del pensiero nelle moschee e nelle chiese. Inoltre possiede un esercito di consulenti professionali, politici, economisti e altri esperti nelle arti della manipolazione e dell'inganno.

Per lottare contro questo apparato repressivo, che è stato costruito e perfezionato nei decenni, la classe operaia deve sviluppare le sue organizzazioni, guidate da una direzione esperta e determinata, che ha assorbito le lezioni della storia ed è pronta per ogni evenienza. Chi sostiene che è possibile sconfiggere la classe dominante e il suo stato senza organizzazione e la leadership sta invitando un esercito ad andare in battaglia non addestrato e impreparato ad affrontare una forza professionale guidata da ufficiali esperti.


Nella maggior parte dei casi, un tale conflitto si conclude con una sconfitta. Ma anche se la rivoluzione riesce a sopraffare il nemico alla prima carica, ciò non sarà sufficiente a garantire la vittoria finale. Il nemico si raggrupperà, riorganizzerà, modificherà la sua tattica, e preparerà una controffensiva, che sarà tanto più pericolosa perché le masse sono state indotte a credere che la guerra è già vinta. Ciò che in un primo momento sembrava essere un momento di trionfo e di gioia si rivela essere il momento di estremo pericolo per le sorti della rivoluzione, e la mancanza di una direzione adeguata, in questi casi, si rivelerà essere il suo tallone d 'Achille, una debolezza fatale.

La direzione del movimento di protesta conteneva elementi diversi e differenti tendenze ideologiche. In ultima analisi, ciò rifletteva diversi interessi di classe. All'inizio, questo fatto è emerso dal appello generale all’"unità". Ma lo sviluppo della rivoluzione, inevitabilmente, darà luogo a un processo di differenziazione interna. Gli elementi borghesi e la classe media "democratica" accettano le briciole offerte dal regime. Sono pronti al compromesso e a stipulare accordi alle spalle delle masse. A un certo punto diserteranno la rivoluzione e passeranno al campo della reazione. Questo sta già succedendo.


Alla fine sono gli elementi rivoluzionari più determinati che possono garantire la vittoria finale della rivoluzione: quelli che non sono disposti a compromessi e sono disposti ad andare fino in fondo. Nuove esplosioni sono implicite nella situazione. Alla fine, uno o l'altro campo devono trionfare. La situazione oggettiva è matura per la presa del potere della classe operaia, solo la mancanza del fattore soggettivo, il partito rivoluzionario e la direzione, la impediscono per ora. Il superamento del problema della direzione è dunque il problema centrale della rivoluzione.



Intrighi al vertice


È stata l'insurrezione nazionale che ha convinto i generali che solo la cacciata di Mubarak poteva calmare le piazze in Egitto e ripristinare "l'ordine". Questa era, e rimane, la loro ossessione principale. Tutte le chiacchiere sulla democrazia sono solo una foglia di fico per mascherare questo fatto. I generali sono parte del vecchio regime e hanno partecipato a tutto il lavoro sporco della corruzione e della repressione. Temono la rivoluzione come la peste e vogliono solo un ritorno alla "normalità", cioè un ritorno al vecchio regime con un nome diverso.


La classe dominante ha molte strategie per sconfiggere una rivoluzione. Se non può farlo con la forza, farà ricorso all'astuzia. Quando la classe dirigente rischia di perdere tutto quello che ha, offre sempre concessioni. La cacciata di Ben Ali e Mubarak sono state una grande vittoria, ma erano solo il primo atto del dramma rivoluzionario.


I rappresentanti del vecchio regime restano in posizioni di potere, il vecchio apparato statale, l'esercito, la polizia e la burocrazia, sono ancora lì. Gli imperialisti intrigano con i vertici dell'esercito e i vecchi leader per defraudare le masse di tutto ciò che hanno vinto. Offrono un compromesso, ma è un compromesso per mantenere il loro potere e i loro privilegi.


Sconfitto nelle piazze, il vecchio regime si sta sforzando di trovare un accordo, cioè, cercare di ingannare i dirigenti dell'opposizione, in modo che a loro volta possano ingannare le masse. L'idea è che, una volta che l'iniziativa è nelle mani dei "negoziatori", le masse diventino semplici spettatori passivi. Le vere decisioni verranno prese altrove, dietro porte chiuse, alle spalle del popolo.


Gli uomini del vecchio regime si stanno lentamente tranquillizzando. Hanno cominciato a sentirsi più sicuri e raddoppiare le loro manovre e intrighi, basandosi sui settori più moderati dell'opposizione. Le masse si sentono a disagio. Non vogliono che il movimento sia dirottato nelle mani di politici professionisti e carrieristi che contrattano con i generali, come mercanti in un bazar. Ma il punto rimane: come portare avanti la rivoluzione? Che cosa bisogna fare?


Mentre il movimento si radicalizza, alcuni degli elementi che hanno giocato un ruolo da protagonisti nelle prime fasi rimarranno indietro. Alcuni lo abbandonano, altri passeranno al nemico. Ciò corrisponde a interessi di classe diversi. I poveri, i disoccupati, i lavoratori, gli "uomini senza proprietà" non hanno alcun interesse a mantenere il vecchio ordine. Vogliono spazzare via non solo Mubarak, ma l'intero regime di oppressione, sfruttamento e disuguaglianza. Ma i liberali borghesi vedono la lotta per la democrazia come un mezzo per assicurarsi una comoda carriera in parlamento. Essi non hanno alcun interesse a portare la rivoluzione fino in fondo o a turbare i rapporti di proprietà esistenti.


Per i borghesi liberali il movimento di massa è solo una merce di scambio conveniente, qualcosa con cui possono minacciare il governo perché dia loro qualche briciola di più. Saranno sempre pronti tradire la rivoluzione. Non si può avere nessuna fiducia in queste persone. El Baradei ha detto oggi di essere contrario agli emendamenti costituzionali, ma invece di chiedere un'assemblea costituente immediata, dice che le elezioni devono essere rinviate, che non ci sono le condizioni, che non è il momento giusto, e così via. Per questi signori il tempo per la democrazia non viene mai. Per le masse che hanno versato il loro sangue per la rivoluzione, il tempo per la democrazia è ora!

La TMI propone:

  • Nessuna fiducia nei generali!

  • Nessuna fiducia per i dirigenti auto-nominati che propongono il ritorno alla "normalità"!

  • Mantenere vivo il movimento di massa!

  • Organizzare e potenziare i comitati rivoluzionari!

  • Per un’epurazione di tutti i sostenitori del vecchio regime!

  • Nessun accordo con il vecchio regime!


L'attuale "regime transitorio" non ha alcuna legittimità e deve essere rimosso immediatamente. È necessaria la convocazione di una Assemblea Costituente subito!



I Fratelli Musulmani


Alcuni, tra cui Khamenei in Iran, dicono che il movimento rivoluzionario a cui assistiamo riguarda la religione, che si tratta di "un risveglio islamico", ma ciò chiaramente non è vero. Anche i principali leader religiosi in Egitto, lo devono ammettere. Temono di essere spazzati via se cercano di presentare la rivoluzione come movimento religioso. È un movimento di tutte le religioni, e quindi di nessuna religione. Non c'era animosità contro i cristiani nelle manifestazioni. Non c'era nemmeno un accenno di anti-semitismo.


Il settarismo religioso è un'arma usata dai reazionari per confondere la gente. Gli attacchi di dicembre contro i cristiani copti sono stati chiaramente progettati dalla polizia segreta al fine di creare una divisione settaria e distogliere l'attenzione dai problemi reali delle masse. Sono ricorsi alla stessa sporca tattica ora, al fine di dividere le masse su linee confessionali, fomentando conflitti tra musulmani e copti, nel tentativo di dividere e disorientare le masse e indebolire la rivoluzione.


Le rivolte in Tunisia ed Egitto sono in gran parte laiche e democratiche, e spesso volutamente escludono gli islamisti. L'idea che la Fratellanza Musulmana sia stata "l'unica vera opposizione" è completamente falsa. Le esigenze di base dei manifestanti egiziani sono il lavoro, il cibo e i diritti democratici. Questo non ha niente a che fare con gli islamisti ed è un ponte verso il socialismo, che ha profonde radici nelle tradizioni in Egitto e in altri paesi arabi.


Alcune persone di sinistra poco informate hanno descritto i movimenti in Tunisia ed Egitto come rivoluzioni della classe media. Questi stessi cosiddetti uomini di sinistra hanno flirtato per lungo tempo con gruppi reazionari come Hezbollah, Hamas e la Fratellanza musulmana. Cercano di giustificare questo tradimento del marxismo sulla base della supposta posizione anti-imperialista dei dirigenti. È un argomento totalmente falso. Gli islamisti cosiddetti anti-imperialisti a parole, in pratica rappresentano una tendenza reazionaria. Essi sono, infatti, la ruota di scorta del vecchio regime.

Gli imperialisti hanno cercato di utilizzare i fondamentalisti come uno spauracchio per confondere le masse e nascondere la vera natura della rivoluzione araba. Ci dicono: "Guarda! Se Mubarak se ne va, Al-Qaeda prenderà il suo posto ". Mubarak stesso ha detto al popolo egiziano che se fosse andato via sarebbe finita "come l'Iraq". Si trattava di bugie. Il ruolo dei fondamentalisti e di organizzazioni come la Fratellanza Musulmana è stato grottescamente esagerato. Tali organizzazioni non rappresentano una forza per il progresso. Si pongono come anti-imperialisti, ma difendono gli interessi dei latifondisti e dei capitalisti. In ultima analisi tradiranno sempre la causa degli operai e dei contadini.


È francamente scandaloso che alcuni gruppi europei di sinistra, e anche alcuni che si dicono marxisti, abbiano sostenuto gli islamisti. Si tratta di un tradimento della rivoluzione proletaria. È vero che i Fratelli Musulmani sono divisi su linee di classe. La leadership è nelle mani di elementi conservatori, capitalisti e ricchi uomini d'affari, mentre alla base vi sono sezioni più militanti di giovani e di coloro che provengono dai contesti più poveri della classe lavoratrice. Tuttavia, il modo per convincerli a passare dalla parte della rivoluzione non è fare alleanze con i loro leader capitalisti, ma piuttosto sottoporli a critica implacabile, al fine di esporre le loro risibili pretese di essere anti-imperialisti e a favore dei poveri.



Questo è esattamente l'opposto di ciò che questi gruppi hanno fatto quando hanno stretto un'alleanza con i leader dei Fratelli Musulmani per l'organizzazione della Conferenza del Cairo contro la guerra. In effetti, queste organizzazioni di sinistra hanno dato ai dirigenti dei Fratelli Musulmani una copertura a sinistra, dando per buone le loro false credenziali anti-imperialiste e rafforzando così la presa sulla propria base.


In passato i Fratelli Musulmani sono stati sostenuti dalla CIA per indebolire il movimento nazionalista di sinistra di Gamal Abdel Nasser. Il fondamentalismo islamico è una creazione di John Foster Dulles e del Dipartimento di Stato, per indebolire la sinistra dopo la guerra di Suez del 1956. Ma quando Sadat e Mubarak sono diventati fantocci americani, i loro servizi non erano più necessari. Hilary Clinton e altri hanno detto che i Fratelli Musulmani non sono una minaccia, che sono persone con cui si può lavorare. Questa è una chiara indicazione che gli imperialisti cercheranno ancora una volta di utilizzare gli islamisti per scongiurare la rivoluzione.


Allo stesso modo, Hamas e Hezbollah sono stati inizialmente creati per indebolire la FPLP e altre tendenze di sinistra in Palestina. Più tardi, la CIA ha creato Osama Bin Laden come contrappeso alle forze sovietiche in Afghanistan. E ora intrigano di nuovo con i leader dei Fratelli Musulmani per scongiurare la rivoluzione in Egitto e ingannare il popolo. Ma i Fratelli Musulmani non sono un movimento omogeneo e ora sono divisi in diverse fazioni su linee di classe.


La povera gente che sostiene la Fratellanza è una cosa. I leader sono un'altra. Nel 1980 i leader della Fratellanza erano principali beneficiari della liberalizzazione economica - il programma di infitah o di "apertura" - con cui Sadat e Mubarak hanno smantellato il settore statale, favorendo il capitale privato. Uno studio di imprenditori della Fratellanza evidenzia che ora controllano il 40 per cento di tutte le iniziative economiche private. Sono parte del sistema capitalista e hanno tutto l'interesse a difenderlo. Il loro comportamento non è determinato dal Corano, ma da interessi di classe.

Gli islamisti più “duri” sono spaventati delle masse rivoluzionarie come il regime stesso. I Fratelli Musulmani avevano dichiarato che non avrebbero negoziato con il governo fino a quando Mubarak non si fosse dimesso. Ma nel momento in cui il regime ha accennato a muovere il mignolo, hanno cambiato idea. Uno dei loro leader è andato a piazza Tahrir, dove i manifestanti resistevano impedendo ai tank di occupare la piazza con i loro corpi, facendo appello di non scontrarsi con l'esercito.

Il nostro atteggiamento verso queste persone è stato elaborato tempo fa da Lenin, che ha spiegato al Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista:


"11) Per quanto riguarda stati e nazioni più arretrati, in cui predominano relazioni feudali o patriarcali-contadine, è particolarmente importante tenere a mente: in primo luogo, che tutti i partiti comunisti devono aiutare il movimento di liberazione democratica borghese in questi paesi, e che il dovere di rendere più attiva la resistenza spetta in primo luogo ai lavoratori del paese che li domina come colonie o comunque economicamente; in secondo luogo,
occorre una lotta contro il clero e altri elementi influenti di matrice reazionaria e medievale in paesi arretrati;
in terzo luogo,
occorre combattere il pan-islamismo e tendenze simili, che cercano di coniugare il movimento di liberazione contro l'imperialismo europeo e americano, con un tentativo di rafforzare le posizioni dei khan, dei proprietari terrieri, dei mullah, ecc." (Lenin, Progetto di tesi sulla le questioni nazionali e coloniali, 5 giugno 1920, corsivo nostro)


Questa è la reale posizione del marxismo nei confronti delle tendenze reazionarie religiose. È la posizione che la TMI difende con fermezza.


La TMI propone:

  • Difendere l'unità del popolo rivoluzionario!

  • Abbasso i fautori di pogrom e i mercanti di odio!

  • Opporsi a ogni discriminazione basata sulla religione!

  • Nessun compromesso con le tendenze reazionarie e oscurantiste!

  • Ogni uomo e donna deve avere libertà di culto o di non averne alcuno! Completa separazione della religione dallo stato!



Le rivendicazioni democratiche

All'inizio le rivendicazioni della rivoluzione sono democratiche. E’ ovvio! Dopo 30 anni di dittatura brutale la gioventù desidera la libertà. Naturalmente, il loro desiderio di democrazia può essere sfruttato dai politici borghesi per favorire le loro carriere in un futuro parlamento democratico. Ma noi siamo obbligati ad impugnare le rivendicazioni democratiche e a darle un chiaro contenuto rivoluzionario.

Perché questo porterà inevitabilmente alla richiesta di un cambiamento decisamente più radicale della società.


Durante uno sciopero o una rivoluzione, le persone si sentono veri esseri umani, con la propria dignità e i propri diritti. Dopo una vita di silenzio forzato, scoprono di avere una voce. Le interviste che vengono fatte per le strade ne sono una fantastica testimonianza. Gente povera e analfabeta che dice: lotteremo e non abbandoneremo le piazze. Vogliamo diritti e vogliamo essere trattati con rispetto. E' una cosa profondamente progressista. Ed è l'essenza autentica di una vera rivoluzione.


Non c'è bisogno di dire che per i marxisti le rivendicazioni democratiche sono sempre subordinate alla rivoluzione socialista. Ma nella pratica le rivendicazioni rivoluzionarie più avanzate e coerenti sono quelle che arrivano in un secondo momento a sollevare la questione del potere operaio e della rivoluzione socialista. Il miglior esempio che si può fare è quello della rivoluzione russa. Nel 1917 i Bolscevichi presero il potere sulle basi dello slogan “Pace, pane e terra”, che non ha alcun contenuto socialista. In teoria, questo slogan poteva trovare una risposta anche sotto il capitalismo. In pratica, però, per farlo era necessario rompere con la borghesia, mettendo il potere nelle mani della classe operaia.


Certa gente dice che questo non è altro che un movimento nazionalista borghese, non una vera rivoluzione. Semplicemente rivelano la propria ignoranza su quanto è importante il ruolo delle rivendicazioni democratiche in una rivoluzione come questa. L'esperienza della stessa rivoluzione russa dimostra l'importanza di un uso corretto (rivoluzionario) delle rivendicazioni democratiche. La rivendicazione di un'assemblea costituente ha giocato un ruolo determinante per mobilitare un settore più ampio della popolazione per la causa rivoluzionaria.


Pur lottando per le rivendicazioni democratiche più avanzate, i Marxisti non le considerano un fine in sé ma come una parte della lotta più generale per un cambiamento radicale della società. E’ questo che contraddistingue i Marxisti dai volgari democratici piccolo borghesi.



L’obiettivo più immediato in Egitto era quella di rovesciare Mubarak e il suo regime corrotto. Ma questo era solo il primo passo, che ha aperto la diga e permesso alla rivoluzione di farsi strada. Ora il popolo nelle strade sta scoprendo di giorno in giorno la propria forza, l’importanza dell’organizzazione e della mobilitazione di massa. E questa è già una conquista enorme. Essendo passati attraverso l’esperienza di una dittatura trentennale, ora non permetteranno che gliene sia imposta una nuova, o un qualsiasi altro intrigo che permetta al vecchio regime di riciclarsi con un nuovo nome. La Tunisia ne è una prova tangibile.


Ora che hanno avuto prova del loro potere, le masse non si accontenteranno di mezze misure. Sanno che quello che hanno conquistato e lo hanno conquistato con le loro stesse mani. La lotta per la democrazia permetterà la formazioni di veri sindacati e partiti operai. E non solo, porrà anche la questione della democrazia economica e della lotta all’ineguaglianza.


Slogan e tattiche dovranno essere concrete. Dovranno riflettere la situazione reale e i reali problemi delle masse. I compiti oggettivi della Rivoluzione Russa erano democratici e nazionali: rovesciare lo zar, la democrazia formale, la libertà dall’imperialismo, la libertà di stampa ecc. Noi chiediamo la completa democrazia, l’abolizione immediata di tutte le leggi reazionarie e un’assemblea costituente.

Sì, perché dobbiamo rovesciare il vecchio regime, non solo Ben Ali e Mubarak, ma tutti i “piccoli Mubarak” e i “piccoli Ben Ali”. Si deve fare una profonda pulizia dello stato. E non deve esserci una sola figura nel governo che abbia giocato un qualsivoglia ruolo nel vecchio regime. Perché il popolo rivoluzionario, che ha sacrificato tutto in questa lotta, dovrebbe permettere a persone che non hanno fatto parte della rivoluzione di andare al potere, anche in un governo ad interim? Prendiamo una grande scopa e sbarazziamocene! Questa è la nostra prima richiesta. Non accetteremo nulla di meno.


Ma anche questo è insufficiente. Per decenni queste persone hanno saccheggiato e rapinato la ricchezza della società. Hanno vissuto nel lusso mentre la gente era ridotta in povertà. Adesso dobbiamo riprenderci ogni centesimo che è stato rubato al popolo. Rivendichiamo la confisca immediata delle ricchezze e delle proprietà di questi parassiti, e l’espropriazione delle proprietà degli imperialisti che li hanno appoggiati.


Questo dimostra come le rivendicazioni democratiche della rivoluzione debbano portare direttamente alle rivendicazioni socialiste. Chiunque non sia i grado di utilizzare correttamente le rivendicazioni democratiche in maniera rivoluzionaria sarà sempre condannato al ruolo di settario impotente. Una persona del genere non sarà mai capace di connettersi al movimento reale delle masse.

Comunque, la democrazia assume significati diversi a seconda delle persone. La gente povera dell’Egitto non lotta per la democrazia nel senso di conquistare posti al ministero per i carrieristi, ma piuttosto vede la democrazia come un mezzo per risolvere i propri problemi più pressanti: la mancanza di lavoro e di alloggi, l’alto costo della vita. Questi problemi sociali ed economici sono troppo endemici per poter essere risolti da un governo borghese.


Democrazia è una parola vuota se non significa mettere le mani sulla ricchezza oscena dell'élite dominante. Confiscare le proprietà della cricca dominante! Espropriare le proprietà degli imperialisti che hanno spalleggiato il vecchio regime e sfruttato il popolo dell’Egitto! La lotta per la democrazia, se condotta fino in fondo, deve inevitabilmente portare alla espropriazione dei banchieri e dei capitalisti e alla costituzione del governo degli operai e dei contadini. Sotto il regime di Mubarak i capitalisti egiziani hanno favorito il capitale straniero e sostenuto l’imperialismo mentre rapinava la ricchezza del paese e sfruttava i lavoratori egiziani. Rivendichiamo l'espropriazione delle proprietà imperialiste a beneficio del popolo.



La TMI propone:



• Per l’immediata abolizione di tutte le leggi reazionarie!

Per la libertà totale di assemblea e il diritto a organizzarsi e a scioperare!

Per un assemblea costituente rivoluzionaria!

Per la confisca di tutti i soldi rubati dal vecchio regime!

Per l'espropriazione di tutte le proprietà degli imperialisti!


Lo slogan dell’Assemblea Costituente


Se fosse esistito in Egitto un partito come il Partito Bolscevico, la questione del potere sarebbe stata già posta. Ma in assenza di una direzione con le idee chiare, la Rivoluzione dovrà passare attraverso tutti i tipi di vicissitudini. Allo stato attuale l’onda rivoluzionaria non si è ancora ritirata. Ma le masse non possono rimanere costantemente in stato di ebollizione. Devono lavorare per guadagnarsi da mangiare. La lava rivoluzionaria si raffredderà un poco. La rivoluzione potrebbe anche essere spinta verso una qualche forma di democrazia borghese.


In una situazione del genere le rivendicazioni democratiche avrebbero una grandissima importanza. In una situazione come quella in cui si trovava l’Egitto di Mubarak, le rivendicazioni democratiche sono una leva potente per mobilitare i più ampi strati di masse per la rivoluzione. Dobbiamo lottare per tutti i diritti democratici - il diritto di voto, di sciopero ecc. - perché è nell’interesse della classe operaia avere il campo più libero possibile per sviluppare la lotta di classe. Non è affatto indifferente per un lavoratore vivere sotto un regime totalitario o avere questi diritti basilari. Le rivendicazioni democratiche devono occupare un posto centrale nel nostro programma.


Alcune sono rimasti perplessi per il fatto che adesso noi sosteniamo la rivendicazione dell'Assemblea costituente per questi paesi mentre ne siamo strenui oppositori in Bolivia e in Argentina. La spiegazione è però davvero semplice. Gli slogan non esistono fuori dal tempo e dallo spazio. Devono necessariamente riflettere le condizioni della lotta di classe in un dato momento dello sviluppo del paese.



In Bolivia, durante l'insurrezione rivoluzionaria dell'Ottobre 2003 e di Maggio/Giugno 2005 lo slogan della Assemblea Costituente era controrivoluzionario. Perché? A quel tempo, i lavoratori boliviani era già passati attraverso due scioperi generali e due insurrezioni. Avevano già costituito organi simil-sovietici come le Juntas di vicinato, le Assemblee popolari e i cabildos apiertos (riunioni di massa).


I lavoratori boliviani avrebbero potuto prendere facilmente il potere. Sarebbe stato sufficiente che i leader della COB (il sindacato) si proclamassero governo. In queste condizioni, avanzare lo slogan dell'assemblea costituente sarebbe stato un tradimento. Avrebbe deviato l'attenzione dei lavoratori dal compito più importante – la presa del potere – portandola verso il parlamentarismo.


La natura controrivoluzionaria di questo slogan era confermato dal fatto che la Banca Mondiale e gli USA avevano fondato un Ufficio per l'Iniziativa Transitoria promuovendo l'idea di una assemblea costituente. Si potrebbe aggiungere anche il piccolo dettaglio che a quel tempo la Bolivia era già una democrazia borghese. Nel caso dell'Argentina, lo slogan era stato lanciato da alcuni gruppetti di estrema sinistra dopo l'insurrezionale dell'Argentinazo nel Dicembre 2010.


Nel contesto di una democrazia borghese già esistente, lo slogan dell'assemblea costituente era completamente sbagliato e finiva per suonare come: ”A noi non piace il parlamento borghese che abbiamo. Noi ne vogliamo un altro al suo posto.”


Una persona dovrebbe essere completamente cieca per non vedere quanto tutto questo abbia a che fare con la Tunisia e l'Egitto. Dopo decenni di dittatura, ci saranno inevitabilmente grandi illusioni nella democrazia, non solo tra i piccoli borghesi ma nelle grandi masse. È questo che detemina il nostro atteggiamento. Noi siamo per la democrazia, ma deve essere una democrazia completa. Una delle rivendicazioni democratiche è, “abbiamo bisogno di una nuova costituzione, e quindi di un'assemblea costituente, ma non possiamo aspettarci che l'esercito egiziano la convochi e pertanto la lotta deve continuare nelle strade.”


Chiaramente i Marxisti non possono avere un atteggiamento meccanico nei confronti degli slogan democratici, che devono sempre essere subordinati agli interessi generali della rivoluzione socialista. Non condividiamo l'atteggiamento dogmatico della piccola borghesia verso la democrazia. L'approfondirsi della Rivoluzione dimostrerà tutti i limiti della democrazia borghese. E attraverso l'esperienza, i lavoratori capiranno la necessità di prendere il potere nelle loro mani. Esperienza che si può fare solo alla “scuola della democrazia”. Questo presuppone una lotta seria per gli slogan democratici più avanzati.


Dopo decenni di autoritarismo in Egitto, non possiamo essere indifferenti al problema della Costituzione. L’attuale proposta del Consiglio Militare è quella di sottoporre a referendum un qualche emendamento costituzionale, stilato da esperti indicati dall’esercito. La Costituzione di Mubarak non può essere emendata, dev’essere rigettata, e dev’essere convocata un’Assemblea Costituente democratica e rivoluzionaria per discuterne una completamente nuova. Il ruolo reazionario dei generali è stato dimostrato anche dalla violenza con cui l’accampamento in Piazza Tahrir è stato sgomberato.


Dopo aver rovesciato la dittatura attraverso la lotta, il popolo rivoluzionario non può mettere il potere nelle mani degli stessi generali che hanno appoggiato Mubarak fino all’ultimo istante. I lavoratori non possono fidarsi dei capi dell’esercito o di un qualche esperto nominato da loro per scrivere una costituzione realmente democratica. Noi siamo per un Assemblea Costituente: un organo eletto democraticamente per scrivere la costituzione. Questa è una richiesta democratica elementare.

Ma il problema rimane: chi convocherà l’Assemblea Costituente? Non possiamo affidare questo compito all’esercito egiziano. Quindi, la lotta deve continuare nelle strade, nelle fabbriche, tra i giovani, tra i disoccupati, finché la battaglia per la democrazia non è completa.


La situazione in Egitto non è analoga alla Bolivia del 2003/2006 o all’Argentina del 2001, ma alla Russia del 1905 o 1917. Dobbiamo usare gli slogan democratici più avanzati per porre il problema del potere operaio. Dobbiamo dire ai giovani e agli operai: ”Volete la democrazia? Anche noi! Ma non dovete fidarvi dell’esercito o di El Baradei - lottiamo per la vera democrazia!” In Egitto, Tunisia e Iran oggi lo slogan dell’Assemblea Costituente è per questo estremamente importante.


I lavoratori dell’Egitto hanno già tratto la conclusione corretta. Questo è stato incredibilmente dimostrato in un comunicato dei lavoratori del ferro e dell’acciaio di Helwan, che, durante la lotta, avanzavano queste rivendicazioni:

1. L’immediato allontanamento di Mubarak e di tutti i personaggi del regime e dei suoi simboli.

2. La confisca delle ricchezze e delle proprietà di tutti i simboli del regime e di tutti coloro di cui sarà provata la corruzione, nel vero interesse delle masse.

3. Le dimissioni immediate di tutti i lavoratori dai sindacati controllati o affiliati al regime e la costituzione di sindacati indipendenti che preparino un congresso, formino una struttura ed eleggano democraticamente i dirigenti.

4. L’esproprio delle aziende pubbliche vendute o chiuse e la loro nazionalizzazione nell’interesse del popolo e la formazione di un nuovo consiglio di amministrazione, comprendente operai e tecnici.
5. La formazione di comitati per la supervisione dei lavoratori in tutti i luoghi di lavoro, per il controllo della produzione e dei prezzi e della distribuzione dei salari.


6. Convocazione di un’assemblea costituente rappresentante di tutte le classi del popolo e di tutte le tendenze per stilare una nuova costituzione e l’elezione di comitati del popolo senza attendere le trattative con il vecchio regime.


Queste richieste sono assolutamente corrette. Dimostrano un alto livello di consapevolezza rivoluzionaria e coincidono completamente con il programma avanzato dai marxisti. Un programma che fornisce alla Rivoluzione Egiziana tutto ciò di cui ha bisogno per avere successo.




I Sindacati


La Rivoluzione pone la necessità di un’organizzazione. I sindacati sono sempre stati la forma più elementare di organizzazione della classe operaia. Senza organizzazione la classe operaia non è altro che materiale grezzo da sfruttare. Quindi il compito di costruire e rafforzare i sindacati è una priorità urgente.

In Egitto e in Tunisia i sindacati erano strettamenti connessi con il vecchio regime oppressivo. Erano parte dello stato in tutto e per tutto. I loro vertici erano corrotti e spesso iscritti al partito al potere. Il loro compito era quello di guardiani dei lavoratori. Anche se la loro base era costituita da lavoratori e onesti militanti.


Anche nelle democrazie borghesi esiste una tendenza organica dei vertici sindacali a fondersi con lo stato. Ma la storia dimostra che quando la classe operaia si muove anche il sindacato più corrotto e burocratico può, sotto la pressione dei lavoratori, trasformarsi nel corso della lotta. I vecchi leader cambiano e cominciano a riflettere la pressione dei lavoratori per non essere rimossi e sostituiti da altri meglio preparati a mettersi alla testa del movimento.


In Tunisia i leader della UGTT erano compromessi con il regime di Ben Ali. I vecchi leader erano pronti a entrare in un governo provvisorio formato da Gannouchi ma sono stati costretti a non farlo sotto la pressione dei lavoratori. Ma a livello locale, la UGTT ha giocato un ruolo di primo piano nella Rivoluzione. In alcune aree, come Redeyef, la UGTT ha di fatto preso il controllo della società civile. Altrove, i sindacati locali hanno avuto un ruolo chiave nell’organizzazione del movimento rivoluzionario attraverso i comitati rivoluzionari. Questo dimostra il ruolo vitale del sindacato come veicolo della rivoluzione.


Quello che serve è una profonda pulizia della UGTT a tutti i livelli, che rimuova tutti i burocrati compromessi con il vecchio regime, a partire dal segretario generale Abdessalem Jerad, che sta giocando un ruolo apertamente reazionario. Le strutture regionali e le federazioni nazionali che sono controllate dagli attivisti democratici e di sinistra e che rappresentano la maggioranza della UGTT dovrebbero convocare un congresso nazionale d’emergenza. Una svolta verso la democratizzazione del sindacato e verso il riallineamento con il movimento rivoluzionario avrebbe sicuramente un sostegno massiccio tra i lavoratori della base. Se i lavoratori e i giovani sono stati in grado di rimuovere Ben Ali prima e Gannouchi poi, dovrebbe essere decisamente più facile per loro rimuovere quei leader sindacali corrotti che li hanno sostenuti.


In Egitto i leader sindacali corrotti non sono stati in grado di prevenire l’ondata di scioperi che sono stati la scuola propedeutica alla Rivoluzione. I lavoratori Egiziani sono andati contro i vecchi leader corrotti e hanno lottato per creare sindacati realmente democratici e organizzazioni militanti della classe. Facendo ciò hanno dimostrato un infallibile istinto di classe. La lotta per la democrazia non è confinata all’arena politica. Deve entrare anche nei sindacati e nei luoghi di lavoro.


La lotta sembra muoversi verso la formazione di una nuova Federazione Egiziana dei Sindacati Indipendenti. In una situazione rivoluzionaria come quella attuale, potrebbe diventare la principale organizzazione dei lavoratori egiziani. Anche se sarebbe un errore abbandonare la battaglia all’interno dei vecchi sindacati ufficiali, che continuano comunque a rappresentare milioni di lavoratori. In alcuni casi, intere fabbriche e interi settori saranno sindacalizzati da zero. In altri, un sindacalismo democratico e militante emergerà tra i lavoratori prendendo il controllo delle strutture ufficiali.

La borghesia e gli imperialisti capiscono l’importanza centrale che hanno i sindacati. E manderanno i loro agenti prezzolati a corrompere e deviare i lavoratori per evitare che si avvicinino alle idee rivoluzionarie e socialiste. La CIA ha contatti stretti con la AFL-CIO e la Socialdemocrazia europea e la cosiddetta Confederazione Sindacale Internazionale. Tenteranno di mettere sotto controllo il movimento sindacale più combattivo.


I lavoratori devono stare attenti a questi “amici” che vogliono solo corromperli e minare la Rivoluzione dall’interno. Devono anche guardarsi dalle cosiddette Ong che sono agenti mascherati dell’imperialismo. Il ruolo dele Ong è di deviare i lavoratori dal sentiero rivoluzionario, intrappolandoli in mille compiti inutili, caritatevoli ecc., trasformando dei rivoluzionari in lacchè ben pagati, impiegati e burocrati. Questo è un veleno che può corrodere il movimento operaio.


Il compito dei sindacati non è quello di sostenere il capitalismo ma di rovesciarlo. Il nostro primo obiettivo è lottare per migliorare gli standard di vita, i salari e le condizioni di lavoro. Dobbiamo lottare per ogni miglioramento, non importa quanto sia piccolo. Ma dobbiamo anche capire che è impossibile ottenere questi diritti basilari finché un’oligarchia parassitaria ha la proprietà della terra, delle banche e delle industrie più importanti.


Nella lotta contro il vecchio regime, i sindacati si sono collegati ad altri settori della società: i disoccupati, le donne, i giovani, i contadini, gli intellettuali. Questo è assolutamente necessario. La classe operaia deve aspirare a diventare la guida della nazione e la guida della lotta contro tutte le forme di ingiustizia e di oppressione.


Il popolo rivoluzionario sta organizzando comitati popolari di tutti i tipi. Questo è un passo necessario per dare al movimento rivoluzionario una forma organizzata e coerente. Ma anche il comitato più grande, non può sostituire il sindacato, che deve rimanere l’organizzazione basilare del movimento operaio.


I sindacati sono una scuola rivoluzionaria che avrà un ruolo principe nel rovesciamento del vecchio regime e nella costruzione della nuova società socialista, in cui il sindacato sarà mille molte più importante, avendo un ruolo determinante nella gestione delle industrie nazionalizzate, nella pianificazione della produzione e in generale nel funzionamento della società.


La TMI propone:

Costruire il sindacato e trasformarlo in una organizzazione genuina di lotta!

Espellere dal sindacato tutti gli elementi corrotti e i burocrati!

Per il sindacato democratico: elezioni a tutti i livelli e diritto di revoca per tutte le cariche!

Contro la corruzione! Nessun funzionario deve ricevere uno stipendio più alto di un operaio specializzato!
• Nessun controllo statale sul sindacato! Il sindacato deve essere nelle mani dei lavoratori!

Per il controllo operaio dell’Industria! Per l’espropriazione dei banchieri, dei latifondisti e dei capitalisti! Per un piano democratico e socialista della produzione!



Il ruolo della gioventù


Karl Liebnecht, il grande martire e rivoluzionario tedesco una volta ha detto: “La gioventù è la fiamma della Rivoluzone Socialista”. Queste parole potrebbero ornare la bandiera della Rivoluzione Araba. In ogni passaggio i giovani hanno avuto un ruolo chiave. I manifestanti che hanno fatto irruzione nelle strade della Tunisa e dell’Egitto erano per lo più giovani, disoccupati e senza un futuro. Alcuni erano laureati, altri erano poveri provenienti dai quartieri popolari.


I tutti i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, la maggioranza della popolazione è composta da giovani. Sono loro che stanno soffrendo gli effetti peggiori della crisi del capitalismo. In Tunisia il 70% dei giovani sotto i 25 anni è disoccupato. Il 75% in Algeria, il 76 in Egitto. E la situazione è simile negli altri paesi.


I laureati che escono dalle università non trovano lavoro e quindi non possono avere come prospettiva il matrimonio o l’acquisto di una casa, non possono pensare a un futuro. Questi sono fatti che dimostrano l’impasse a cui è giunto il capitalismo. In questi paesi c’è bisogno di dottori, insegnanti, ingegneri, ma non ci sono posti di lavoro. Milioni di giovani non sono in grado di trovare un impiego, e di conseguenza non possono sposarsi e metter su famiglia. Per questo sono spinti da un profondo senso di ingiustizia, di rabbia bruciante e risentimento contro un sistema che gli nega il futuro e un regime corrotto che si è arricchito alle spalle del popolo.


L’unica speranza che hanno questi giovani è la lotta per un cambiamento radicale della società. Così hanno messo da parte tutte le paure e ora sono pronti rischiare le proprie vite nella lotta per la libertà e la giustizia. In Tunisia i giovani rivoluzionari si sono organizzati e hanno convocato una manifestazione di massa a Tunisi, sfilando davanti all’ufficio del Primo Ministro e accampandosi li di fronte, nella spianata della Kasbah. Il movimento di massa degli studenti ha avanzato la richiesta di un’Assemblea Costituente e hanno manifestato urlando “Abbasso il Governo!”. Sono stati loro il catalizzatore dell movimento che a fine Febbraio ha cacciato il governo di Gannouchi. E in Egitto vediamo la stessa cosa. I manifestanti che hanno aperto la via erano per lo più giovani egiziani, disoccupati e senza un futuro.


La storia si ripete. Nel 1917 i Menscevichi accusavano i Bolscevichi di essere “un branco di marmocchi”, e non sbagliavano del tutto. L'età media degli attivisti Bolscevichi era davvero bassa. Il primo settore a muoversi è sempre la gioventù, perché è libera dai pregiudizi, dalla paura e dallo scetticismo che caratterizza le generazioni più vecchie.


La gioventù in tutti i paesi è aperta alle idee rivoluzionarie. Dobbiamo indirizzarci verso i giovani! Se lo facciamo armati con le idee del Marxismo rivoluzionario e dell’internazionalismo proletario avremo una risposta entusiasta.



La TMI dice:


• Lavoro per tutti!

Ad ogni giovane deve essere garantito un lavoro a tempo pieno e un’educazione gratuita!

Stessa salario per le stesse mansioni!

Fine alle angherie della polizia!

Pieni diritti democratici e di voto a 16 anni!


Il ruolo delle donne


Il fattore decisivo è che le masse hanno acquisito il senso della propria forza collettiva e stanno abbandonando le proprie paure. A partire dai giovani, gli elementi più energici e determinati, l’aria di sfida si è trasmessa ai più anziani, i settori più cauti e inerti della popolazione.


Uno degli aspetti più incoraggianti della Rivoluzione in Tunisia e in Egitto, comunque, è stata la partecipazione attiva delle donne. La vecchia sottomissione sta scomparendo. Ad Alessandria vecchie casalinghe tiravano pentole e padelle contro la polizia dai balconi dei loro appartamenti. Alle manifestazioni giovani studentesse in jeans lottavano fianco a fianco con donne che indossavano lo hijab (il velo). Ed erano le operaie a giocare un ruolo chiave negli scioperi dei lavoratori tessili a Mahalla al Kubra negli anni scorsi, scioperi che hanno preparato l’attuale sollevazione rivoluzionaria.



Le donne sono sempre state in prima linea in tutte le rivoluzioni della storia. Le immagini delle donne in Bahrain, che manifestano impavide, alcune con il velo, alcune senza, sono una rappresentazione perfetta della rivoluzione in atto. Stanno ripetendo l’esperienza delle eroiche donne di Parigi nel 1789 e di Pietrogrado nel Febbraio del 1917.


Il risveglio delle donne è un sicuro sintomo di Rivoluzione. La società non può avanzare e prosperare finché le donne sono schiavizzate. Non è un caso che i reazionari in Egitto, mentre fomentavano progrom religiosi, abbiano attaccato la manifestazione a Piazza Tahir del 8 Marzo. La Rivoluzione Araba recluterà i suoi combattenti più determinati e coraggiosi proprio tra le donne, e la loro emancipazione è il primo compito della Rivoluzione. Il posto delle donne non è in cucina ma nelle strade a lottare a fianco degli uomini. Sono gli elementi più coraggiosi. E sono quelle che hanno di più per cui lottare.



La TMI propone:

Abbasso la discriminazione e la diseguaglianza!

Pieno riconoscimento delle donne come cittadini ed esseri umani!

Piena uguaglianza politica, sociale ed economica per le donne!

Fine di tutte le leggi discriminatorie!

Organizzare le lavoratrici in sindacati liberi e democratici, indipendenti dallo stato!

Stesso salario per le stesse mansioni!







La rivoluzione non è finita



Dire che una rivoluzione è cominciata non vuol dire che è stata completata, ancor meno che la vittoria è assicurata. È una lotta di forze vive. Una rivoluzione non è un dramma ad atto unico. È un processo complesso con molti alti e bassi. Il rovesciamento di Mubarak, Ben Alì e Gannouchi segna la fine del primo stadio, ma la rivoluzione non è ancora riuscita ad abbattere completamente i vecchi regimi, mentre questi ultimi non sono ancora riusciti a ristabilire pienamente il controllo.



Nel 1917 la rivoluzione in Russia durò nove mesi, da febbraio ad ottobre, quando i lavoratori infine presero il potere sotto la direzione del Partito bolscevico. Tuttavia, la rivoluzione russa non si è dispiegata linearmente, ma attraverso ogni tipo di vicissitudini e contraddizioni. Ci fu un periodo di aperta reazione in luglio e agosto. Lenin dovette fuggire in Finlandia e il Partito bolscevico fu praticamente ridotto alla clandestinità. Ma ciò non fece altro che aprire la strada per una nuova avanzata della rivoluzione, che culminò nell’insurrezione di Ottobre.


In Spagna abbiamo visto un processo simile, a partire dalla caduta della monarchia nel 1931 seguita da un’enorme ascesa della lotta di classe. Ma la sconfitta della Comune delle Asturie nell’ottobre del 1934 portò ad un periodo di reazione, il Bienio Negro, nei due anni neri nel 1935-’36. Questo però si dimostrò per essere solo il preludio di una nuova ascesa della rivoluzione, cominciata con la vittoria del Fronte popolare nelle elezioni del 1936, che portò alla guerra civile finita con la sconfitta e il fascismo.


Dopo la caduta di Mubarak, la rivoluzione egiziana è stata come un grande carnevale. Ma le masse stanno lottando per delle cose che nessun governo borghese può offrirgli. Come i lavoratori russi nel febbraio 1917, i lavoratori egiziani sono riusciti a rovesciare un tiranno ma non a raggiungere i loro principali obiettivi. La vera lotta è ancora da affrontare. Cosa ha risolto la caduta di Mubarak? Cosa è stato ottenuto con la fuga di Ben Alì in Arabia Saudita? Nulla di fondamentale è stato risolto. I lavoratori stanno lottando per cibo, posti di lavoro e case, non per la parodia di una formale democrazia borghese nella quale tutto cambia per non cambiare nulla.


Attraverso esperienze dolorose le masse stanno imparando delle importanti lezioni. Prima o poi arriveranno alla conclusione che la classe operaia deve prendere il potere. Ci sarà un prolungato processo di apprendimento, di differenziazione interna. Questo di fatto è già cominciato. Gli elementi più moderati dei comitati rivoluzionari che hanno guidato il movimento nelle sue prime fasi, sono ora sfidati da nuovi strati di giovani e lavoratori che non vogliono scendere a compromessi. Temono che ciò che hanno conquistato col proprio sangue possa essergli portato via per mezzo di sotterfugi. Questo sospetto è fondato.


Con la caduta di Mubarak la rivoluzione egiziana ha ottenuto la sua prima grande vittoria. Ma nessuno dei problemi fondamentali della società egiziana è stato risolto. I prezzi continuano a salire, i senzatetto dormono nei cimiteri e circa il dieci percento della forza lavoro è disoccupata secondo le statistiche ufficiali, nonostante la cifra reale sia molto più alta.



C’è una rabbia bruciante contro l’inuguaglianza e la corruzione pervasiva che è la principale caratteristica del vecchio regime. Miliardi di dollari di denaro pubblico sono andati perduti. La somma depredata dalla sola famiglia Mubarak è stimata tra 40 e 80 miliardi di dollari. Ciò ha provocato rabbia e indignazione, in un paese dove il 40 percento della popolazione vive sotto la soglia di povertà.


Non si può dire con certezza cosa accadrà. Tuttavia, possiamo dire che la rivoluzione si protrarrà nel tempo e sperimenterà ogni sorta di alti e bassi. Al momento, le masse sono inebriate dall’idea della democrazia. Il sentimento di euforia tocca anche gli elementi più avanzati e rivoluzionari. Questo periodo di illusioni democratiche e costituzionali rappresenta una fase inevitabile, ma non durerà. La rivoluzione scuote la società dalle fondamenta. Risveglia nuovi strati, prima inerti e “arretrati”, alla vita politica. Stanno rivendicando i loro diritti. Quando queste persone dicono "thawra hatta'l nasr" (rivoluzione fino alla vittoria), lo intendono sul serio.



Tutti i tentativi di ristabilire un equilibrio politico si riveleranno vani perché la crisi del capitalismo non permette alcuna soluzione per i bisogni primari della popolazione. Ci sarà una serie di regimi borghesi instabili. Uno dopo l’altro governi instabili cadranno. Ciò pone un pericolo. Quando la lotta di classe raggiunge un punto morto, lo Stato tende a porsi al di sopra della società e ad acquisire una relativa indipendenza. Il risultato sono regimi militari instabili o, per chiamarli col nome corretto, regimi bonapartisti. La sola esistenza di un regime di questo tipo indica che la rivoluzione che è cominciata il 25 gennaio non è finita. Passerà attraverso numerose svolte prima che possa essere scritto un finale.


Nonostante tutti gli appelli all’“unità nazionale”, la società egiziana si sta polarizzando in modo acuto. La rivoluzione gode ancora di ampie riserve di appoggio tra la popolazione. Gli studenti sono in mobilitazione nelle università. I lavoratori organizzano scioperi e occupazioni di fabbriche, cacciando i manager detestati e i dirigenti sindacali corrotti. Lo sciopero dei lavoratori petroliferi egiziani ha conquistato tutte le rivendicazioni, comprese le dimissioni del ministro del petrolio, in soli tre giorni. Ciò mostra dove risiede il vero potere.



Il regime militare in Egitto non può mantenersi a lungo. Tutti i tentativi di restaurare l’“ordine” (ovvero il dominio dei ricchi e dei potenti) sono falliti. L’esercito ha tentato di fermare gli scioperi, ma questi sono continuati. Lungi dal ritirarsi, il movimento dei lavoratori sta montando. Cosa possono fare i generali? Se non sono stati in grado di usare i carri armati per schiacciare l’insurrezione, ancor meno possono farlo per schiacciare gli scioperi in ciò che si suppone essere un regime democratico.


I generali dovranno passare il potere ad un governo civile (cioè borghese). Sarà una controrivoluzione in veste democratica. Ma per la controrivoluzione non sarà facile riportare la situazione alla stabilità. Per i lavoratori la democrazia non è una parola vuota. Se non porta un miglioramento delle condizioni di vita, posti di lavoro e case, alla fine per cosa si è combattuto?


Se tutto ciò fosse successo dieci anni fa, avrebbero potuto consolidare una qualche forma di regime democratico borghese. Il boom capitalistico avrebbe offerto dei margini di manovra. Ma ora c’è una crisi profonda su scala mondiale. Questa è la ragione sia per il fermento rivoluzionario che il motivo per cui questo non potrà essere facilmente spento. Il sistema capitalista non può offrire nulla alle masse. Non può offrire posti di lavoro e condizioni di vita decenti neanche negli Stati Uniti e in Europa. Come possono sperare di farlo in Egitto?


Le azioni dei lavoratori in sciopero, che occupano le fabbriche e cacciano i manager hanno un’enorme importanza. Indicano che la rivoluzione sta entrando nelle fabbriche e nei posti di lavoro. Mostrano che i lavoratori egiziani stanno passando dalla lotta per la democrazia nella società alla lotta per la democrazia economica nei posti di lavoro. Ciò vuol dire che la classe operaia egiziana sta cominciando a partecipare alla rivoluzione sotto le sue insegne, lottando per le proprie rivendicazioni di classe. Si tratta di un fattore decisivo per il futuro della rivoluzione.


I lavoratori protestano contro la corruzione e i bassi salari. Si stanno ribellando contro manager imposti dallo Stato e stanno costituendo comitati rivoluzionari per gestire le fabbriche e gli altri posti di lavoro. Questa è la linea giusta da intraprendere.


I commentatori borghesi hanno enfatizzato il fatto che molti di questi scioperi sono di natura economica. Certo! La classe operaia spinge per rivendicazioni immediate. Ciò vuol dire che vede la rivoluzione come un mezzo per lottare non solo per una democrazia formale, ma per salari migliori, per condizioni di lavoro migliori, per una vita migliore. Stanno lottando per le proprie rivendicazioni di classe. E questa lotta non può fermarsi solo perché Hosni Mubarak non risiede più nel palazzo presidenziale.




Per la democrazia operaia!


A Suez lo Stato è completamente collassato per quattro o cinque giorni. Come era già successo in Tunisia, sono stati istituiti comitati rivoluzionari e posti di blocco armati per difendere la popolazione. Questi fatti dimostrano ulteriormente che i soviet (cioè i consigli proletari) non sono un’invenzione arbitraria dei marxisti ma sorgono spontaneamente in ogni autentica rivoluzione.


Ciò pone la questione centrale dello Stato. Il vecchio potere statale è stato messo in ginocchio dalla rivoluzione e deve essere sostituito con un nuovo potere. Cioè un potere nella società che è più forte di qualsiasi apparato statale: il potere del popolo rivoluzionario. Ma questo deve essere organizzato. Sia in Egitto che in Tunisia ci sono elementi di dualismo di potere nei comitati rivoluzionari. Intere città e regioni sono sotto il controllo di questi comitati.


In Tunisia, l’organizzazione rivoluzionaria popolare è andata oltre che in Egitto. Questi organi, in molti casi organizzati attorno alle strutture locali del sindacato Ugtt, hanno preso in mano la gestione di tutti gli aspetti della vita sociale nei paesi, nelle città e persino in intere regioni, dopo aver cacciato le vecchie autorità legate al regime dell’Rcd. A dispetto di tutte le denunce di “caos” e “mancanza di sicurezza” da parte della classe dominante, la verità è che i lavoratori si sono organizzati per garantire l’ordine e la sicurezza, ma un tipo diverso di ordine, un ordine rivoluzionario.

In Egitto, dopo il collasso delle forze di polizia il 28 gennaio, le persone si sono attivate per difendere i quartieri. Hanno istituito posti di blocco, armati con coltelli, spade, machete e bastoni per perquisire le auto che passavano. In alcune aree i comitati popolari hanno praticamente preso il controllo delle città, arrivando persino a gestire il traffico. Qui abbiamo gli embrioni di una milizia popolare – un potere statale alternativo.


E così come sono stati messi in piedi comitati popolari per proteggere i quartieri dagli elementi criminali quando la polizia veniva sguinzagliata nelle strade per provocare caos e disordini, ora per organizzare la rivoluzione nel modo più efficace questa stessa idea deve essere ripresa e generalizzata. Per difendere ed estendere la rivoluzione, dobbiamo formare comitati di difesa ovunque!

Comitati eletti per la difesa della rivoluzione, che in alcune aree già esistono, si dovrebbero formare in ogni fabbrica, strada e villaggio. I comitati rivoluzionari dovrebbero coordinarsi a livello locale, regionale e nazionale. Ciò rappresenterebbe l’inizio per un futuro governo democratico dei lavoratori e dei contadini – una vera alternativa al marcio regime dittatoriale.


La Tmi rivendica:

· Una completa epurazione e democratizzazione dell’esercito.

· L’istituzione di comitati di soldati e comitati di ufficiali di base rivoluzionari.

· Via i generali corrotti e reazionari.

· Smantellamento immediato di tutti gli organismi repressivi.

· Tutti coloro che hanno commesso atti di terrore contro la popolazione devono essere processati e puniti.
· Consegna delle armi alla popolazione.

· Istituzione di una milizia popolare.

· Per un governo operaio e contadino!




La rivoluzione non ha confini


Il carattere internazionale della rivoluzione è stato chiaro fin dall’inizio. Altri paesi arabi hanno gli stessi problemi di Tunisia ed Egitto: aumento dei prezzi dei generi alimentari, profondo peggioramento delle condizioni economiche, disoccupazione e corruzione rampante dell’apparato. Milioni di persone lottano per la sopravvivenza. E nella società, così come in natura, condizioni simili producono esiti simili. Ciò che è successo in Tunisia e in Egitto può succedere in molti altri paesi, non solo nel mondo arabo.


Gli imperialisti hanno cercato di consolarsi con l’idea che non ci fosse un effetto domino. Ma i tasselli del domino hanno già cominciato a cadere: Libia, Marocco, Sudan, Iraq, Gibuti, Yemen, Bahrein e Oman – tutti questi stanno entrando nel vortice rivoluzionario. Come in Tunisia e in Egitto, le popolazioni di Algeria, Giordania e Yemen vivono in povertà sotto cricche dominanti dittatoriali che vivono nel lusso saccheggiando la nazione.


Nel caso dell’Iraq, la rivoluzione è legata alla lotta contro l’imperialismo e la dominazione straniera e per il diritto all’autodeterminazione del popolo curdo. Allo stesso tempo, una caratteristica del movimento di protesta in Iraq è che è stato trasversale alle divisioni settarie tra sciiti e sunniti, arabi, turchi e turkmeni, che rappresentano la base per il dominio di politici reazionari.


Tra le questioni principali sollevate dai manifestanti ci sono l’aumento del costo della vita, in parte causato dal ritiro da parte del governo dei sussidi per il petrolio e lo zucchero – una questione esplosiva per il mondo arabo. I leader di Giordania, Algeria e Libia hanno ridotto le tasse sui cibi importati o i prezzi degli alimenti di prima necessità per evitare disordini. In Algeria il regime ha fatto concessioni nel tentativo di evitare un’esplosione che potrebbe essere maggiore dell’insurrezione nelle aree berbere nel 2001.


Persino le monarchie del Golfo ricche di petrolio sono preoccupate. Il Kuwait ha distribuito 4.000 sterline (4.600 euro) a tutti i cittadini per mantenere calma la popolazione. Ma misure di questo tipo possono tutt’al più rimandare l’inevitabile sollevazione rivoluzionaria.


I media occidentali hanno spudoratamente ritratto il movimento in Bahrein come una lotta tra sette religiose, tra la maggioranza sciita e i sunniti. è una menzogna. I bahreniti stanno lottando contro la corruzione, per elezioni libere, contro la discriminazione e per i diritti degli immigrati e delle donne, per una distribuzione equa della ricchezza e contro la disoccupazione. Ovunque vediamo lo stesso coraggio delle masse di fronte alla repressione. In Bahrein l’esercito è stato costretto a ritirarsi da Pearl Square. Ancora una volta, il ruolo della classe lavoratrice è stato cruciale, dato che è stata la minaccia dello sciopero generale da parte dei sindacati bahreniti a costringere il regime a fare delle concessioni.
In tutti gli stati del Golfo c’è uno sfruttamento brutale dei lavoratori, soprattutto immigrati. Nella sola Arabia Saudita lavorano un milione e centomila pakistani. Una situazione simile è comune a tutto il Golfo. In passato ci sono stati scioperi e rivolte di cui non si è parlato, come lo sciopero di 8mila lavoratori edili in Dubai.


Lo stesso regime saudita, il bastione della reazione in Medio Oriente, sembra una pentola a pressione senza valvola di sicurezza. In un tale regime, quando l’esplosione arriverà, si svilupperà senza preavviso e con estrema violenza. La famiglia reale saudita è corrotta, degenerata e marcia fino al midollo. è divisa sulla successione e tra la popolazione stanno montando rabbia e malcontento. Quando il momento cruciale arriverà, non basterà tutto il petrolio del regno a salvarli. è significativo il fatto che ora persino il clero wahabita si sta spostando contro di loro.

La rivoluzione araba ha ravvivato il movimento rivoluzionario in Iran, dove gli ufficiali della Guardia rivoluzionaria hanno detto di non essere pronti a sparare sulla gente e hanno intimato ai Basij di lasciare a casa i manganelli. Le crepe nell’apparato statale svelano la profonda crisi del regime che è diviso da cima a fondo.


Avendo ognuno di questi casi le sue peculiarità, è difficile dire che tipo di regime emergerà in ognuno di essi. Il tipo di tendenze politiche e di regimi che sorgeranno dipenderà da molteplici fattori e sarà diverso da un paese all’altro. I processi in Tunisia e in Egitto sono stati quasi identici. Ma in Libia la situazione è diversa. Il regime ha una base maggiore, specialmente nella zona di Tripoli. La sollevazione è stata in buona parte circoscritta alla parte orientale e la rivoluzione si è trasformata in una guerra civile, il cui esito è ancora incerto.


A Gheddafi non importa se l’intero paese affonda insieme a lui. Avendo perso il controllo di tutta la parte orientale compresa la seconda città, Bengasi, ha deciso di lottare fino all’ultimo, facendo piombare la Libia in un conflitto sanguinario. Nell’esercito libico ci sono stati ammutinamenti diffusi, anche ai livelli superiori. Ma non hanno avuto lo stesso effetto che in Egitto a causa della diversa natura dell’esercito e del regime.


Una cosa è chiara: sta cambiando tutto. Nessuno di questi regimi alla fine sopravviverà. Ci sono diverse possibilità, a seconda dei rapporti di forza e di tutta una serie di fattori interni ed esterni impossibili da prevedere. Ma una cosa è certa: indipendentemente da quale regime verrà instaurato, questo non sarà in grado di soddisfare anche solo le minime aspirazioni delle masse.



Impotenza dell’imperialismo


Gli imperialisti sono preoccupati su dove tutto questo porterà e fino a che punto si spingerà. Non si aspettavano quello che è successo e non sanno come reagire. Obama non ha osato invitare pubblicamente Mubarak a dimettersi per gli effetti che questo avrebbe potuto avere sugli altri stati. Ha dovuto soppesare le parole con molta cautela. Le sole parole “democrazia” e “diritti umani” in bocca a Obama e ai suoi colleghi europei puzzano di ipocrisia.


Il cinismo dei governi occidentali è evidente in tutta la sua crudezza. Dopo aver appoggiato per decenni l’odiosa dittatura in Tunisia, all’improvviso sono tutti a favore della democrazia e dei diritti umani. Sarkozy elogiava Ben Alì come amico della democrazia e dei diritti umani ancora quando torturava i suoi oppositori nelle prigioni. E Washington ha coperto gli atti barbari degli altri dittatori filo-occidentali. Ora stanno ottenendo la giusta ricompensa.


La politica si riflette sull’economia e viceversa. Il prezzo del petrolio è schizzato per il timore che i disordini si potessero estendere agli altri stati arabi, compreso il gigante del petrolio Arabia Saudita, o interferire con i rifornimenti di petrolio dal Mar Rosso al Mediterraneo attraverso il canale di Suez. Il Brent grezzo ha superato i 120 dollari a barile e viaggia ancora sopra i 110 dollari. Ciò minaccia di minare la debole e precaria ripresa dell’economia mondiale.


Per ragioni economiche, politiche e militari gli imperialisti hanno bisogno di un Medio Oriente stabile. Ma come possono ottenerlo? Questo è il punto! Fin dall’inizio gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per trovare una soluzione agli eventi che evolvevano di giorno in giorno, per non dire di ora in ora. In realtà il ruolo della potenza più forte del mondo è stato ridotto a quello di impotente osservatore. Significativo il titolo di un articolo del corrispondente da Washington dell’Indipendent, Rupert Cornwell che esprime la situazione reale: Le forti parole di Washington sottolineano l’impotenza degli Usa.


Alcuni “intelligentoni” pensano tuttavia che la rivoluzione araba faccia parte di una cospirazione imperialista. Nulla potrebbe essere più lontano dalla realtà. La borghesia è stata completamente presa in contropiede da quello che è successo. Queste rivoluzioni stanno destabilizzando completamente una delle zone più importanti per loro. Altro che gioirne! E ciò ha ripercussioni ben oltre il mondo arabo.


Il Medio Oriente è una zona chiave per gli imperialisti. Gli americani ci hanno messo quattro decenni per imporvi il loro controllo. L’Egitto era un elemento cruciale nei loro calcoli. Ora tutto questo è stato spazzato via nel giro di poche settimane. Lo stato più ricco e potente sulla terra si è ritrovato completamente paralizzato. Obama non è potuto intervenire e ha persino avuto difficoltà anche solo nel fare dichiarazioni per la paura di urtare i suoi alleati sauditi.


L’otto percento del commercio mondiale passa attraverso il canale di Suez e gli americani, pur essendo terrorizzati che potesse essere chiuso, non potevano farci nulla. Obama non poteva dire altro che la scelta stava alla popolazione egiziana. Non propriamente quello che gli americani dissero quando si trattò dell’Iraq o dell’Afghanistan, dove l’imperialismo statunitense non ci ha pensato due volte ad invadere.


Navi da guerra statunitensi sono di fatto state mandate nel Canale di Suez ma senza fare nulla. L’intenzione era di mostrare il pugno nascosto nel guanto di velluto della “democrazia “ di Obama. Ma in realtà si è trattato di un gesto inutile. Gli Usa si sono bruciati le dita in Iraq. Una nuova avventura militare in Egitto avrebbe provocato tumulti negli Stati Uniti e su scala mondiale. Non sarebbe rimasta in piedi una sola ambasciata statunitense in Medio Oriente e tutti gli altri regimi arabi filo-statunitensi si sarebbero trovati di fronte alla minaccia di essere rovesciati.


Gli Stati Uniti hanno un interesse particolare sul Bahrein per la sua posizione strategica a due passi dall’Arabia Saudita e dall’Iran. è la base della Quinta Flotta, la base navale Usa più importante di tutta la regione. Ciononostante si sono trovati impotenti di fronte alla possibilità di intervenire contro il movimento rivoluzionario in Bahrein. Se faceva parte di un piano imperialista, nessuno ne ha parlato ad Obama!


Nel caso della Libia non hanno esitato a denunciare Gheddafi e ad invocare la sua caduta – cosa che nel caso di Mubarak clamorosamente non sono stati in grado di fare. Questo è un altro esempio della loro doppiezza, cinismo e doppie misure. Nonostante inizialmente avevano accennato che l’azione militare non era esclusa, hanno esitato ad agire. Hillary Clinton aveva detto che una no-fly zone avrebbe dovuto essere approvata dall’Onu. Ciò è in piena contraddizione con la condotta degli Usa in Iraq, dove hanno completamente aggirato l’Onu.


Alla fine, sotto la pressione della Francia e del Regno Unito, gli Usa hanno accordato la no-fly zone. Ora abbiamo in Libia un aperto intervento imperialista che non ha nulla a che vedere con la difesa della popolazione libica, e ancor meno con la difesa della rivoluzione. è proprio il contrario. Il loro scopo e mettere un piede nella regione per strangolare le rivoluzioni che sono cominciate.



Ci opponiamo alla prova di forza imperialista. L’obiettivo di rovesciare Gheddafi appartiene al popolo libico. La verità è che l’iniziale impeto rivoluzionario partito dall’est è stato portato su un binario morto e preso sotto il controllo di elementi controrivoluzionari nel Consiglio provvisorio che ora hanno messo il destino del popolo libico nelle mani dell’imperialismo occidentale.


La TMI dichiara:

· No all’intervento straniero!

· Fine dell’occupazione in Iraq e Afghanistan!

· Fermare i bombardamenti sulla Libia!

· Abbasso l’imperialismo!

· Giù le mani dalla rivoluzione araba!




Israele e i Palestinesi


Da nessuna parte la rivoluzione araba ha suscitato più panico che in Israele. La potenza militare più forte della regione si è trovata paralizzata di fronte agli avvenimenti in Egitto. La cricca dominante israeliana è stata attenta persino a fare dichiarazioni sulla situazione in Egitto. Benyamin Netanyahu ha impedito ai ministri di fare dichiarazioni pubbliche. Israele ha fatto appello agli Stati Uniti e ad un certo numero di paesi europei perché contenessero le loro critiche al presidente Hosni Mubarak. Gerusalemme ha disperatamente cercato di convincere gli alleati che era nell’interesse dell’Occidente sostenere Mubarak per mantenere la stabilità del regime egiziano. Questo alla faccia degli sforzi di Stati Uniti ed Unione Europea per rimuoverlo in modo da garantire una “transizione ordinata” ed evitarne il rovesciamento per via rivoluzionaria.


Marx faceva notare come nessun popolo può mai essere libero se rende schiavo un altro popolo. Israele governa su un’ampia e disillusa popolazione di palestinesi che stanno imparando dalla televisione come si rovescia la tirannia. Nella Cisgiordania i palestinesi sono assoggettati con l’aiuto della polizia dell’Anp. Ma è da vedere se le unità di polizia palestinesi, o le forze di sicurezza israeliane sarebbero in grado di schiacciare un movimento di massa per la democrazia, dopo che il potente esercito egiziano si è rifiutato di sparare sulla popolazione.


La pace separata firmata da Israele ed Egitto nel 1979 è stata un tradimento della causa palestinese ed è fortemente impopolare nella maggior parte del mondo arabo. L’appoggio da parte dell’Egitto è stato un elemento fondamentale nell’aiutare a mantenere l’occupazione israeliana dei territori palestinesi conquistati nel 1967


Gli accordi di Oslo del 1993 tra Israele e palestinesi hanno rappresentato un ulteriore tradimento. I cosiddetti territori palestinesi non sono nient’altro che una versione dei bantustan sudafricani. è una crudele farsa di uno stato nazionale e nessuna delle rivendicazioni fondamentali dei palestinesi è stata concessa. Israele ha continuato a fare il bello e il cattivo tempo. Da allora si è passati dalla padella alla brace.


Ora la caduta dell’alleato più potente di Israele nella zona ha cambiato radicalmente la situazione. Ha scosso il governo israeliano e messo in discussione la convinzione profondamente radicata che l’occupazione dei territori palestinesi possa continuare indefinitamente. Tutto d’un colpo i piani preparati con tanta cura dagli imperialisti sono andati in fumo.
Decenni di cosiddetta lotta armata e negoziati non hanno portato a nulla. Ma il movimento rivoluzionario pone la questione palestinese in termini completamente diversi. La cricca dominante israeliana non è affatto preoccupata dei missili di Hamas e degli attentatori suicidi. Al contrario, ogni missile che cade su un villaggio israeliano serve a spingere l’opinione pubblica in Israele dalla parte del governo. Ma un’Intifada palestinese, insieme alla rivoluzione araba in Egitto e Giordania, è tutta un’altra storia.


Come potenza militare Israele potenzialmente sarebbe invincibile. In caso di guerra con l’Egitto, Israele vincerebbe probabilmente ancora una volta. Ma vincerebbe anche contro le masse nei villaggi della Cisgiordania, della striscia di Gaza e anche di Israele in lotta per la concessione dei diritti politici ai palestinesi? Questa è una domanda che probabilmente toglie il sonno ai generali e politici israeliani.


La caduta di Mubarak ha implicazioni molto gravi per Israele. Nel migliore dei casi, la spesa militare di Israele dovrà aumentare ulteriormente, ipotizzando la minaccia di una guerra nel sud. Ciò metterebbe ancora di più sotto pressione un’economia che è già entrata in crisi. Altri tagli e attacchi alle condizioni di vita ne conseguiranno, intensificando la lotta di classe che si prepara in Israele.

Netanyahu pensava al suo paese come a un’isola di stabilità e democrazia che non avrebbe potuto essere scossa dalla rivoluzione. Ma in fin dei conti, Israele è solo un altro paese mediorientale nell’onda rivoluzionaria che è partita dalla Tunisia e dall’Egitto. Ci sono nuove contraddizioni all’interno di Israele. Il rincaro dei carburanti e dell’acqua ha fatto di Israele uno dei paesi dove la vita è più cara al mondo. La direzione dell’Histadrut (il sindacato israeliano) ha paventato l’idea di uno sciopero generale.


Gli eventi in Tunisia ed Egitto avranno conseguenze profonde per i palestinesi. I palestinesi sono stati traditi da tutti quelli di cui si fidavano, a partire dai regimi arabi presunti amici fino ad arrivare ai loro stessi dirigenti. Le ultime rivelazioni di Wikileaks hanno smascherato la scandalosa collusione di Abu Mazen con gli israeliani e gli americani. Ciò avrà pesanti conseguenze sulla psicologia delle masse palestinesi.


I dirigenti dell’Olp tradiscono la causa palestinese da quarant’anni. L’Olp avrebbe potuto prendere il potere in Giordania nel 1970 e tutta la storia della regione sarebbe stata diversa. Ma la direzione nazionalista piccolo-borghese si rifiutò di attaccare i suoi “fratelli arabi”. Così il re giordano mobilitò i beduini che (con l’aiuto dell’esercito pakistano) massacrarono migliaia di palestinesi. è un dato di fatto che sono più i palestinesi uccisi dai “fratelli” arabi che dagli israeliani.

Gli stessi beduini, che hanno attaccato i palestinesi nel 1970, ora stanno protestando contro il re. Ex ufficiali dell’esercito stanno mettendo in guardia il regime che, a meno che non faccia concessioni, andrà incontro allo stesso destino di Ben Alì e Mubarak. Il movimento si è esteso dalle aree beduine ad Amman e ai palestinesi che costituiscono la maggioranza della popolazione di Giordania.

è ora di ridefinire la tattica e la strategia della lotta palestinese. Le rivelazioni di Wikileaks hanno mostrato come i dirigenti palestinesi non sono altro che scagnozzi di Israele. L’umore tra i palestinesi è di rabbia e amarezza. Ci sono stati diversi tentativi di organizzare mobilitazioni, sia contro Abu Mazen in Cisgiordania che contro Hamas nella striscia di Gaza, che sono state colpite da una pesante repressione. Sia Hamas che l’Autorità palestinese hanno persino vietato le manifestazioni in solidarietà con le rivoluzioni tunisina ed egiziana.


In questo momento è stato messo in piedi un movimento contro l’attuale direzione del movimento palestinese, contro l’occupazione israeliana e per l’unità della lotta palestinese, che sta attirando l’appoggio da parte di decine di migliaia su Facebook e sta convocando manifestazioni e azioni di protesta. Da decenni i palestinesi sognano di un’Intifada in Egitto. Ora è una realtà. La caduta dei reazionari regimi arabi da parte delle masse sferrerà un duro colpo contro Israele e l’imperialismo statunitense e trasformerà l’intera situazione. Adesso per la prima volta i palestinesi possono capire chi sono i loro unici veri amici: i lavoratori e i contadini di tutto il mondo arabo.


Ciò rappresenta un punto di svolta fondamentale. I palestinesi hanno visto come si può combattere contro gli oppressori, non con le bombe o i missili, ma con l’azione rivoluzionaria di massa. Lo stato d’animo ora cambierà. Ci saranno nuovi fermenti tra i giovani, movimenti contro Hamas a Gaza e contro i dirigenti dell’Olp in Cisgiordania. C’è una pressione montante per qualcosa di nuovo rispetto a quanto visto fin’ora. L’idea di una nuova Intifada guadagnerà rapidamente terreno tra i palestinesi. Ciò cambierebbe tutto.


Per una Federazione socialista!


Dopo la Prima guerra mondiale i cosiddetti Stati arabi sono stati creati artificialmente dall’imperialismo. Questa divisione non era basata su nessun criterio storico o naturale ma puramente sugli interessi dell’imperialismo. L’accordo Sikes-Picot divise Iraq, Libano, Siria e Giordania tra Gran Bretagna e Francia. Sotto la dichiarazione di Balfour nel 1918, la Gran Bretagna concesse la formazione di uno Stato ebraico in Palestina.



Nel Golfo furono creati piccoli Stati con immense riserve petrolifere in modo che l’imperialismo li potesse controllare facilmente per accedere alle loro risorse. La monarchia saudita consisteva di banditi del deserto, messi al potere dall’agente britannico Wilson Cox. L’imperialismo ha diviso la carne viva della grande Nazione Araba.



La rivoluzione araba non potrà essere vittoriosa fino a quando non si metterà fine alla vergognosa balcanizzazione del mondo arabo. L’unico modo per rompere le catene forgiate dall’imperialismo è lanciare lo slogan delle Federazione socialista del mondo arabo. Ciò significherebbe una comunità socialista che si estenderebbe dall’oceano Atlantico all’Eufrate.


Sulla base di un’economia nazionalizzata e pianificata, la disoccupazione finirebbe immediatamente. Una vasta riserva di forza lavoro non utilizzata verrebbe mobilitata per risolvere i problemi di alloggi, salute, istruzione e infrastrutture. Mettendo insieme le enormi risorse di tutti questi paesi sulla base di un piano comune di produzione, si potrebbero far fiorire i deserti e ci sarebbe una nuova rivoluzione culturale che farebbe impallidire tutte le conquiste del passato.


Una federazione socialista, con piena autonomia per tutti i popoli, è l’unico modo per risolvere le diatribe nazionali e religiose che da decenni avvelenano le vite di questi popoli, provocando una guerra dopo l’altra. Musulmani e copti, sunniti e sciiti, palestinesi ed ebrei, arabi, berberi, maroniti, curdi, turkmeni, armeni, drusi – tutti troverebbero spazio in una federazione basata su un principio di assoluta uguaglianza.


Le rivendicazioni della TMI:


· Difendere il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e di tutte le nazionalità oppresse!
· Abbasso gli aggressori imperialisti e israeliani! Fine dell’occupazione dell’Iraq, dell’Afghanistan e della Palestina!

· Via i collaborazionisti! Per il rovesciamento rivoluzionario dei fantocci dell’imperialismo!

· Espropriare le proprietà degli imperialisti e dei loro agenti arabi! La ricchezza delle terre arabe deve tornare nelle mani del popolo!

· Per l’unità rivoluzionaria dei popoli! Per la Federazione socialista del Medio Oriente e del Nord Africa, sulla base di un’unione libera, egualitaria e fraterna con piena autonomia per ogni nazionalità!




Balzi della coscienza


La rivoluzione egiziana è la risposta finale a tutti gli scettici e gli intellettuali snob che non fanno altro che insistere sul presunto “basso livello di coscienza” delle masse. Questi “esperti” occidentali, che con la puzza sotto il naso parlavano degli egiziani come di gente “apatica”, “passiva” e “indifferente alla politica”, devono rimangiarsi quello che hanno detto.


I marxisti comprendono che la coscienza umana in generale non è progressista o rivoluzionaria ma profondamente conservatrice. La resistenza al cambiamento è profondamente radicata nella mente umana come parte di un meccanismo di sopravvivenza che deriva dal passato remoto della nostra specie. Come regola generale, quindi, la coscienza rimane indietro rispetto agli eventi. Non cambia gradualmente, oggi più rivoluzionaria di ieri e domani più rivoluzionaria di oggi, non più di quanto l’acqua, raffreddata da cento a zero gradi, diventi prima una pasta, poi una gelatina e infine un solido.

Questa visione della coscienza è metafisica e meccanica, non materialista e dialettica. La dialettica ci insegna che le cose cambiano nel loro opposto e che cambiamenti piccoli e apparentemente insignificanti possono ad un certo punto, che in fisica viene chiamato punto critico, produrre trasformazioni esplosive su una scala gigantesca. I cambiamenti della coscienza avvengono all’improvviso, sotto la pressione di grandi eventi che la costringono a cambiare. Quando questo avviene, la coscienza velocemente si allinea alla realtà. Una rivoluzione è proprio questo balzo di coscienza.

Le masse, non importa se in Egitto, Iran, Gran Bretagna o Stati Uniti, non imparano dai libri ma dall’esperienza e in una rivoluzione, imparano molto più velocmente che in altre circostanze. I lavoratori e i giovani egiziani hanno imparato molto più in pochi giorni di lotta che in trent’anni di “normalità”. Nelle piazze le masse hanno sviluppato la consapevolezza del proprio potere. Si sono liberati dalla paura paralizzante della polizia antisommossa equipaggiata di cannoni ad acqua e migliaia di delinquenti in borghese, che hanno respinto e sconfitto.


In una rivoluzione il processo di apprendimento è enormemente accelerato. Vediamo esattamente lo stesso processo in Egitto e Tunisia. è come un grande laboratorio dove le diverse, vaghe piattaforme di rivendicazioni in competizione tra loro sono messe alla prova. Vedremo lo stesso processo ripetuto più e più volte, non solo in Medio Oriente e Nord Africa ma ovunque.




Dal Cairo a Madison


Nel 1917 ci volle circa una settimana perchè in India si venisse a sapere che c’era stata una rivoluzione in Russia. Oggi tutti possono vedere la rivoluzione in diretta sugli schermi televisivi. La situazione in Medio Oriente sta avendo effetti profondi in tutto il mondo. Recentemente in India, per la prima volta in 32 anni, sindacati e i partiti di sinistra hanno organizzato uno sciopero generale su salari e prezzi. C’è stato un corteo di 200mila persone a New Delhi contro l’aumento del prezzo dei beni alimentari. Nonostante l’India stia crescendo ad un tasso annuo del nove per cento, l’effetto è l’aumento della disuguaglianza concentrando la ricchezza ai vertici della società.



In Tunisia ed Egitto hanno cominciato ad aprirsi delle crepe nel sistema capitalista a partire dai suoi punti più deboli. I borghesi ci diranno che cose come queste non possono succedere nei paesi capitalisti avanzati, dove la situazione è diversa eccetera eccetera. Sì, la situazione è diversa, ma solo in intensità. Ovunque la classe operaia e i giovani si troveranno di fronte allo stesso bivio: o accettare la distruzione sistematica delle nostre condizioni di vita e dei nostri diritti, oppure lottare.


L’argomento che “qui non può succedere” non ha alcuna base scientifica o razionale. La stessa cosa è stata detta per la Tunisia solo un paio di mesi fa, quando il paese veniva considerato come il paese più stabile del Nord Africa. E lo stesso argomento è stato ripetuto sull’Egitto persino dopo che Ben Alì era stato rovesciato. Sono bastate poche settimane a smentire quelle parole. Questa è la velocità degli eventi nella nostra epoca. Prima o poi la stessa questione si porrà in ogni paese in Europa, Giappone e Canada, e anche negli Stati Uniti.


L’inflazione sta crescendo. I prezzi dei beni alimentari anche. Ciò avrà serie conseguenze ovunque, soprattutto nei paesi poveri. Secondo la Banca Mondiale, altri 44 milioni di persone cadranno in estrema povertà nel prossimo periodo, facendo arrivare la cifra a oltre un miliardo a livello mondiale. Milioni di persone lottano per avere cibo, posti di lavoro e case – cioè per le condizioni minime di un’esistenza semi-civilizzata. Queste condizioni dovrebbero essere accessibili liberamente a tutti nel primo decennio del ventunesimo secolo. Ma il decrepito sistema capitalista non è più in grado di garantirle persino in Europa e Nord America. È per questo che ci sono proteste e scontri. È una questione di vita o di morte.


La crisi attuale non è una normale crisi ciclica del capitalismo. Anche la ripresa non è normale. I capitalisti stanno cercando di spremere i lavoratori a più non posso nel tentativo di ristabilire l’equilibrio economico: pagare i debiti, ridurre il costo del lavoro ecc. Ma così facendo, destabilizzano l’intera situazione. Ciò spiega in parte sia la rivoluzione araba che le lotte di classe in Europa.

Tutti i paesi del mondo ne hanno subito le conseguenze. Non a caso la Cina ha unito la sua voce al coro di chi invocava il ritorno all’“ordine” in Egitto. In parte è una questione di interessi economici: il regime cinese è interessato alla stabilità economica mondiale perchè vuole continuare a guadagnare dalle esportazioni. Ma Pechino ha paura soprattutto di qualsiasi cosa che possa scatenare scioperi e proteste all’interno della stessa Cina. Hanno fatto un giro di vite su tutte le proteste e bloccato ogni riferimento all’Egitto su internet.


Ciononostante, ogni lavoratore con coscienza di classe al mondo saluterà con entusiasmo il meraviglioso movimento dei lavoratori e dei giovani in Tunisia ed Egitto. Gli effetti psicologici di questo non possono essere sottovalutati. Per molti, specialmente nei paesi capitalisti avanzati, l’idea della rivoluzione veniva vista come qualcosa di astratto e remoto. Ora gli avvenimenti che si sono dispiegati di fronte ai nostri occhi sulle televisioni mostrano non solo che la rivoluzione è possibile ma necessaria.


In Europa e Stati Uniti c’è un odio indignato contro i banchieri e i manager che si stanno ricompensando con bonus osceni mentre il resto della società subisce continui attacchi alle sue condizioni di vita. Gli straordinari eventi in Wisconsin sono un riflesso evidente di questo. Non è un caso che i lavoratori di Madison in Wisconsin hanno lanciato slogan come “lottiamo come in Egitto”. È un effetto delle odiose politiche imposte sulla classe lavoratrice durante la ripresa negli Stati Uniti.


Improvvisamente il mondo si è svegliato di fronte all’esplosione della lotta di classe in Wisconsin, con 100mila persone in piazza. Abbiamo visto immagini di lavoratori con cartelli che chiamavano il governatore Hosni Walker e lanciavano slogan come “il dittatore del Wisconsin se ne deve andare”. I lavoratori egiziani hanno persino mandato dei messaggi di solidarietà ai lavoratori del Wisconsin. Ci sono stati scioperi studenteschi, presidi permanenti al Parlamento e manifestazioni spontanee. I poliziotti mandati a disperdere i manifestanti sono passati dalla loro parte e hanno partecipato all’occupazione indossando giubbotti con la scritta “poliziotti per il lavoro”. Si tratta di uno sviluppo molto importante.


In Europa abbiamo visto grandi movimenti di lavoratori e giovani: otto scioperi generali in Grecia negli ultimi dodici mesi, uno straordinario movimento di scioperi in Francia che ha portato tre milioni e mezzo di lavoratori in piazza, il movimento degli studenti in Gran Bretagna, uno sciopero generale in Spagna, il movimento dei metalmeccanici in Italia. In Portogallo recentemente c’è stato il più grande sciopero generale dalla caduta della dittatura nel 1974. Persino in Olanda 15000 studenti hanno manifestato all’Aja. Anche in Europa orientale abbiamo visto grandi movimenti in Albania e Romania. In Bulgaria ha scioperato perfino la polizia.


Vent’anni fa, la borghesia festeggiava euforicamente la caduta del “comunismo”. Ma il loro giubilo era prematuro. Guardando indietro, la caduta dello stalinismo verrà vista solo come il preludio ad uno sviluppo ben più significativo: il rovesciamento rivoluzionario del capitalismo. Ovunque, anche negli Stati Uniti, il sistema è in crisi. Ovunque, la classe dominante sta cercando di mettere tutto il fardello della crisi del suo sistema sulle spalle degli strati più poveri della società.



Questi movimenti hanno notevoli somiglianze con i movimenti di massa che portarono alla caduta dei regimi in Europa orientale. Sulla carta questi governi avevano un potente apparato statale, grandi eserciti, polizia, servizi di sicurezza. Ma questo non li ha salvati. Neanche tutto l’oro del mondo, tutta la polizia e gli eserciti del mondo potranno salvare i governanti d’Europa e Stati Uniti una volta che i lavoratori si muoveranno per cambiare la società.


Le masse hanno mostrato più e più volte la determinazione e la volontà di lottare. Per vincere hanno bisogno di armarsi di un chiaro programma e di una direzione. Le idee del marxismo sono le uniche che possono offrirli. Il futuro è nostro.



· Viva la rivoluzione araba!


· Lavoratori del mondo unitevi!


· Viva il socialismo, unica speranza per il futuro dell’umanità!


· Thawra hatta'l nasr!


Londra, 14 marzo 2011


2 commenti:

Riccardo Achilli ha detto...

è davvero tutto molto interessante. Vorrei però per un attimo fare l'avvocato del diavolo:
- il paragone con la rivoluzione bolscevica sconta l'elemento che avete sottolineato nella nota: l'assenza, non solo di un'organizzazione rivoluzionaria solida, con idee chiare e capacità operative, anche se al momento minoritaria, in grado di prendere le briglie del processo rivoluzionario, indirizzandolo. Al momento sia in Egitto che in Tunisia le organizzazioni socialiste e comuniste appaiono molto deboli organizzativamente. Manca anche un gruppo dirigente con un leader carismatico, come nel caso dei bolscvichi, che avevano Lenin, Trostky, ecc. Un gruppo dirigente forte, con un leader carismatico, è fondamentale per attrarre consenso;
- prendere il controllo dei sindacati di regime è più facile adirsi che a farsi. Fare piazza pulita degli uomini legati ai vecchi regimi significa praticamente eliminare quasi il 100% dell'intera struttura organizzativa centrale e periferica di tali sindacati. Meglio sarebbe chiederne l'azzeramento e ripartire con sindacati democratici del tutto nuovi, composti da lavoratori che non hanno mai esercitato alcun ruolo, anche solo di tipo funzionariale, nei vecchi sindacati;
- attenzione al fondamentalismo islamico. e' assolutamente corretto il fatto che non ha giocato alcun ruolo significativo nella rivoluzione, però nei quartieri popolari e nelle aree più povere di quei Paesi cattura larghi strati di consenso, proprio nei ceti proletari e sottoproletari e fra i contadini, perché di fatto svolge funzioni di assistenza sociale e di assistenza ai poveri nelle zone dove lo stato è da sempre assente. credo che una priorità dei partiti socialisti di quei Paesi sia di organizzare reti di assistenza sociale e lotta alla povertà nelle aree più povere, che sottraggano consenso agli islamisti;
- sinora in Egitto l'esercito è ancora compatto attorno al gruppo che ha sostenuto Sadat, e poi Mubarak. Affinché una rivoluzione abbia qualche chance, sarebbe indispensabile identificare un gruppo di ufficiali di tendenze socialiste, in grado di formare un'ala rivoluzionaria, in dissenso rispetto allo stato maggiore, che è chiaramente orientato su linee reazionarie;
- attenzione a non resuscitare il nasserismo ed il pan arabismo. Per quanto queste tendenze registrino notevoli consensi popolari, sono portatrici di spinte nazionalistiche poco coerenti con una rivoluzione comunista

Bentornata Bandiera Rossa! ha detto...

Bé è normale che all'appello manchino i rivoluzionari, il partito ha scritto Alan Woods, è stato ricacciato indietro per decenni dallo stalinismo. Ci vorrà parecchio per risalire la china.

Ciao
Lorenzo Mortara

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